Intervista al Dott. Massimo Orlandini sul ruolo della vitamina D nella prevenzione e cura del nuovo coronavirus
a cura di Valentina Bennati
La carenza di vitamina D è comune ed è fortemente legata all’aumento del rischio di una moltitudine di malattie, molte delle quali hanno storicamente dimostrato di migliorare drasticamente con un’adeguata integrazione orale della stessa o tramite esposizione della pelle ai raggi UVB.
Queste patologie includono asma, psoriasi, sclerosi, artrite reumatoide, rachitismo e tubercolosi, giusto per citarne alcune. La vitamina D, infatti, ha un ruolo attivo sulla modulazione del sistema immunitario ed è utile anche per ridurre il rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus, oltre che per contrastare il danno polmonare da iperinfiammazione.
Ma su questa vitamina (come anche sulla C) nei mesi scorsi abbiamo assistito all’uscita di notizie contraddittorie (“È utile”, “No, è una fake”) per cui è bene, in merito a questo argomento, passare la parola ad un medico esperto che abitualmente lavora con tale ormone anche ad alti dosaggi.
Si tratta del Dottor Massimo Orlandini, l’avevo già intervistato per il mio blog lo scorso mese di marzo, nel pieno della pandemia. Ho creduto opportuno ricontattarlo adesso che ci stiamo avvicinando alla prossima stagione autunnale per la quale molti, già da tempo, parlano di una nuova, temibile, ondata di contagi.
Dottor Orlandini siamo ancora in emergenza sanitaria?
“Assolutamento no. Sono molto in imbarazzo in questo periodo quando si deve parlare del Covid-19, perché non è più un problema medico, ma politico. Abbiamo assistito a quella che è l’evoluzione naturale del virus in questione, esattamente come tutti i virus simili. I virus hanno bisogno di un ospite per poter sopravvivere, quindi il loro codice genetico si adegua, subendo delle modificazioni, in modo da non danneggiare il corpo che li ospita, da non provocare lesioni o addirittura morte, garantendosi così l’ambiente nel quale continuare a vivere. In poche parole perdono la loro virulenza, cioè la loro capacità di penetrare le cellule e di fare infezione. A questo punto, come tutti i virus che danno sindromi influenzali, si possono annidare nelle nostre vie respiratorie senza dare nessuna malattia e nemmeno renderci contagiosi. Solo in rari casi di persone con un sistema immunitario defedato si potrebbero vedere delle sindromi da infezione.
Da qui si può comprendere quanto sia assurdo effettuare oggi i tamponi, soprattutto nelle persone sane, stabilire i distanziamenti fisici o l’obbligo di indossare la mascherina, soprattutto nelle scuole per i bambini ed i ragazzi che mai sono stati soggetti che hanno subito infezioni gravi, nemmeno nel periodo peggiore di questa epidemia stagionale.
Questi sono ragionamenti medico-scientifici e frutto dell’esperienza che ormai abbiamo su tutte le epidemie storiche che hanno colpito il nostro paese ed anche tutto il mondo. C’è poco altro da dire.
Inoltre, se anche dovesse succedere una reale ripresa dell’epidemia, oggi siamo in grado di fare subito una corretta diagnosi e di stabilire una corretta terapia, senza rischiare di far peggiorare l’infezione, cosa che è successa invece il primo mese di epidemia, nel Marzo 2020. Oggi con 200 ml di plasma di un paziente guarito si può guarire un paziente malato in tre giorni. Meglio delle terapie finora utilizzate per il banale raffreddore. Altro che vaccino”.
Conferma che la vitamina D può avere un ruolo importante nella gestione del Covid? Ci sono nuovi studi a riguardo? Perché può fare la differenza?
“La vitamina D svolge un fantastico ruolo di regolazione del sistema immunitario, in tutte le sue funzioni. Chi ha buoni dosaggi di questo ormone nel sangue ha un sistema immunitario più efficace ed è quindi meno predisposto a prendere una qualunque infezione, compresa quella da Covid-19 e anche nel caso in cui la contragga, riesce a combatterla con maggior efficacia. Ad oggi posso asserire che di tutti i miei pazienti che prendono quotidianamente la vitamina D, nessuno, e ripeto nessuno, ha contratto la malattia da Covid-19 ed essendo ormai 7 anni che la prescrivo regolarmente, sto parlando di un numero ingente di persone.
Che la vitamina D abbia un ruolo così importante sul sistema immunitario è risaputo dalla comunità scientifica internazionale ormai da qualche decennio e, nei più conosciuti archivi di pubblicazioni mediche, si possono trovare diverse migliaia di lavori scientifici redatti dalle più importanti università del mondo. Nello specifico dell’infezione da Covid-19, ad oggi, son stati pubblicati 176 nuovi studi, che ognuno può andare a leggere su PubMed, nei quali è dimostrato sia quanto la carenza di vitamina D nei pazienti affetti da Covid-19 abbia favorito un’evoluzione più grave della malattia, sia l’efficacia della prevenzione fatta con la somministrazione quotidiana di vitamina D.
La complicanza dell’infezione da Covid-19 è stata un’importante infiammazione generalizzata che, colpendo in particolare la parete dei vasi, ha portato alla formazione di trombi e quindi alla chiusura dei vasi stessi. È quella che si definisce la Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID). Questa condizione è stata determinata da un’abnorme reazione del sistema immunitario, mal regolato e tendente ad una iperattivazione, che ha portato alla produzione eccessiva di sostanze che hanno azione pro-infiammatoria, come la Interleuchina 6, la 2, la 1B, l’interferone g e le chemochine. Questa condizione ha portato ad una grave sofferenza dei vasi polmonari, determinando una vasculite polmonare, rendendo quindi impossibile il passaggio dell’ossigeno dai polmoni al sangue.
Una delle funzioni efficaci di alti dosaggi di vitamina D è proprio quella di regolare fino a livelli normali la produzione di queste citochine pro-infiammatorie, riducendo le conseguenze vascolari e quindi respiratorie. È lo stesso meccanismo che porta all’infiammazione articolare nell’artrite reumatoide, motivo per il quale la vitamina D è efficace in tutte le malattie autoimmunitarie o dove comunque il presupposto della malattia è determinato da una funzione disordinata del sistema immunitario”.
Dunque ribadisce sia il ruolo preventivo che terapeutico della vitamina D nella battaglia al Covid?
“Alla luce di quanto appena detto si può comprendere come la vitamina D svolga un ruolo fondamentale sia nella prevenzione che nella terapia. È il nostro sistema immunitario che ci difende dalle infezioni ed è sempre lui che ci fa guarire. Se lo mettiamo nella condizione di lavorare bene, ci si ammala meno e, qualora accada, si guarisce più rapidamente e con manifestazioni minime”.
Al di là del ruolo nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus, e della sua capacità di contrastare il danno polmonare da iper-infiammazione, che importanza ha, in generale, la vit D per il sistema immunitario?
“Provate ad immaginare il nostro sistema immunitario come un’orchestra. Ogni componente è come un musicista. Sono tutti musicisti molto esperti e virtuosi, ma quando manca la vitamina D è come se mancasse il direttore d’orchestra e quindi si può rischiare che i bravi musicisti suonino in modo casuale, senza seguire lo spartito. Il risultato non sarebbe una sinfonia, ma un fastidioso rumore.
Questo è quello che accade nelle malattie auto-immuni, dove addirittura il proprio sistema attacca il corpo stesso.
La vitamina D regola, come farebbe un direttore d’orchestra, le funzioni del sistema immunitario, riportando ordine nelle funzioni. Quindi non è un immunodepressore, come sono la maggior parte dei farmaci utilizzati nelle malattie del sistema immunitario. La vitamina D non va quindi a cercare di zittire i musicisti, ma riporta la loro attenzione allo spartito e alla musica d’insieme”.
Oggi c’è una diffusa carenza di vitamina D, come mai?
“Oggi possiamo affermare, secondo le ultime ricerche pubblicate, che circa l’80% della popolazione europea è carente di vitamina D. Il motivo principale è legato alla pochissima esposizione al sole.
Consideriamo, prima di tutto, che i raggi solari che ci fanno produrre vitamina D sono gli UV-B della frequenza compresa fra i 290 ed i 315 nm che sono presenti in Italia solo in certi periodi dell’anno, da giugno a settembre circa. Quindi è scontato che durante l’inverno si diventi carenti. In più sono cambiate molto le nostre abitudini di vita: si sta meno all’aria aperta, passiamo molte ore in ufficio o in qualche centro commerciale e quindi abbiamo notevolmente ridotto le occasioni di esposizione.
L’altra integrazione di vitamina D potrebbe provenire dagli alimenti, ma non può essere sufficiente per due motivi fondamentali.
Uno perché la vitamina D, essendo liposolubile, è presente negli alimenti grassi, maggiormente animali che vegetali (dove è presente la vitamina D2 e non la D3, che è meno efficace) e purtroppo siamo condizionati dall’idea che i grassi facciano male con la conseguenza che negli ultimi decenni sono stati notevolmente ridotti nelle nostre diete.
Il secondo motivo è comunque legato alla quantità di vitamina D presente negli alimenti. Considerate che l’alimento in assoluto più ricco di vitamina D è l’olio di fegato di merluzzo (1 cucchiaio corrisponde a 1360 U.I. di vitamina D) e per arrivare alle 10.000 U.I. giornaliere che un adulto sano dovrebbe prendere, ci vorrebbero 6/7 cucchiai di questo olio. Va da sé che non possiamo farlo”.
Vogliamo comunque ricordare quali sono gli alimenti più ricchi di vitamina D?
“Gli alimenti che contengono buone dosi di vitamina D possono essere ben raffigurati con uno schema:
Come dicevo prima, per mantenere nel sangue buoni valori di vitamina D, un adulto sano deve prendere 10.000 U.I. al giorno. Arrivare a queste concentrazioni solo attraverso l’alimentazione è veramente uno sforzo impossibile. Se comunque mettiamo in sinergia i nostri sforzi alimentari, con l’attività all’aperto (quando possibile) e con i giusti integratori, possiamo permettere al nostro organismo di funzionare al meglio con la giusta vitamina D circolante.”
Dunque come assicurarsi livelli adeguati di vitamina D?
“Sono circa 7 anni che studio articoli ed esperienze di colleghi di fama internazionale sull’utilizzo della vitamina D come prevenzione e trattamento di moltissime malattie, soprattutto del sistema immunitario. Ovviamente ogni caso deve essere attentamente valutato da un medico esperto, ma se parliamo di corretta integrazione per pazienti sani, possiamo seguire questo schema da me elaborato:
– da 0 a 12 mesi: 1.000 U.I. al dì
– da 1 anno a 18 anni: 4.000 U.I al dì
– sopra i 18 anni e soprattutto donne in gravidanza e in allattamento: 10.000 U.I. al dì.
Non necessitiamo di questa integrazione se, nei mesi di Giugno, Luglio, Agosto e metà Settembre, durante i quali arrivano sulla nostra pelle i raggi Uv-B di frequenza compresa fra i 290 ed i 315 nm, ci esponiamo al sole anche solo 20 minuti, perché così produciamo 10.000 U.I. di vitamina D.
Durante gli altri mesi dell’anno è molto difficile avere dei buoni livelli di vitamina D. Non basta purtroppo fare attività all’aperto, esporsi nelle giornate di sole e mangiare cibi grassi o nei quali sia stata aggiunta la vitamina D e quindi sarebbe una buona abitudine fare una integrazione”.
Quali sono gli esami da fare per sapere se abbiamo o meno una quantità sufficiente di Vitamina D e ogni quanto è necessario farli? E, soprattutto, che valori possiamo considerare ideali, quelli normalmente indicati nei limiti di riferimento sono realmente significativi?
“Grazie della domanda, che mi permette di spiegare una volta per tutte quanto siano sorpassate le concezioni mediche sulla vitamina D in Italia.
I valori di riferimento di normalità che sono indicati sui nostri esami danno un range di normalità che va da 30 ng/ml a 100ng/ml, sottolineando una potenziale tossicità nel caso si superi il valore massimo. Non è così. Nei paesi del nord Europa, in Asia ed in America, dove negli ultimi 20 anni sono stati fatti studi approfonditi, sono stati stabiliti valori di riferimento che vanno da un minimo di 50 ng/ml ad un massimo di 200 ng/ml.
E’ stato stabilito anche e soprattutto che non esiste una tossicità della vitamina D. Per farle due esempi limite riportati nella letteratura scientifica, “pazienti con livelli sierici di Vit. D = 746 ng/mL non hanno manifestato alcun sintomo e mantenuta normale la calcemia” (Nontoxic cases of vitamin d toxicity. Chakraborty, Sarkar , Bhattacharya , Krishnan , Chakraborty. Lab Med. 2015 Spring;46(2):146-9. doi: 10.1309/LM5URN1QIR7QBLXK.) oppure “a 25 pazienti affetti da Sclerosi Multipla è stata somministrata la vit. D a dosaggi crescenti, quotidianamente, per 6 mesi fino a 40.000 U.I. al giorno e poi decrescenti fino a 0 nei 6 mesi successivi. A questi pazienti sono stati somministrati anche 1.200 mg di calcio. I livelli di calcemia, calciuria e creatininemia sono rimasti nei range di normalità per tutta la durata del trattamento, con livelli sierici di vit. D che hanno raggiunto i 168ng/ml, senza alcun effetto collaterale” (A phase I/II dose-escalation trial of vitamin D3 and calcium in multiple sclerosis. J.M. Burton, MD, MSc, FRCPC, S. Kimball, MMLT, R. Vieth, PhD, A. Bar-Or,MD,MSc,FRCPC, H.M. Dosch, MD, PhD, R.Cheung, MSc, D. Gagne, C. D’Souza, PhD, M. Ursell, MS, MSc, FRCPC, and P. O’Connor, MS, MSC, FRCPC. Neurology. 2010 Jun 8; 74(23): 1852-1859. doi:10.1212/WNL.0b013e3181e1cec2).
Io consiglio di effettuare dei controlli ogni 4/5 mesi durante il primo anno di somministrazione e ogni 6/7 mesi negli anni successivi. In questi controlli si devono valutare i livelli di vitamina D, della calcemia, della calciuria e la creatinina”.
Con cosa integrare, se si è in carenza?
“Ci sono molti prodotti in commercio a base di vitamina D. Troppi!
Molti sono formulati per somministrazioni bi-settimanali o addirittura mensili. Dovendo prenderla tutti i giorni, non vanno bene per i costi a cui si andrebbe incontro. Altri sono in compresse, altro errore importante, perché per essere veicolata nell’intestino, dove viene assorbita, la vitamina D deve essere disciolta in un mezzo grasso, oleoso. Il miglior mezzo è l’olio d’oliva, meglio ancora se biologico, non solo per la sua naturalità, ma perché è un mezzo consistente e resistente alla digestione gastrica che quindi permette alla vitamina D di arrivare ‘integra’ nell’intestino.
Un altro aspetto che dà valore all’integratore è l’origine della vitamina D utilizzata e il meccanismo di estrazione. Si deve assolutamente utilizzare vitamina D da fonte naturale, meglio ancora se non ha subito estrazioni di tipo chimico.
Un altro aspetto importante è che l’integratore deve contenere solo ed esclusivamente la vitamina D, senza aggiunta di altre vitamine o altri principi o peggio ancora aromi”.
Al di là della vitamina D che indicazioni si sente di dare, a chi sta leggendo, per potenziare il sistema immunitario in vista dell’autunno e dell’inverno? Molte persone credono che, finché non ci sarà un vaccino per il Covid, non saremo davvero al sicuro e che sia bene vaccinarsi per l’influenza per favorire la diagnosi differenziale, qual è il suo pensiero a riguardo? Davvero i vaccini sono il miglior modo per prevenire malattie e problemi al servizio sanitario nazionale o esistono soluzioni diverse per limitare le infezioni respiratorie da Coronavirus e/o da influenza e sindrome influenzale?
“Rispondo subito dicendole che sono inorridito, come medico, all’idea di utilizzare la vaccinazione anti-influenzale come metodo di diagnosi differenziale dall’infezione da SARS-Cov-2.
Chi giustifica l’obbligatorietà probabilmente prossima di questo vaccino con questi argomenti è veramente un enorme ignorante al quale dovrebbero strappare la laurea in medicina. Non esiste nel ragionamento medico di somministrare un vaccino per fare una diagnosi differenziale. Forse chi ha fatto questo scempio si è confuso con la diagnosi ex adiuvantibus, che è un criterio che a volte si usa in medicina per avere conferma di una diagnosi verificando l’effetto di una terapia.
Detto ciò ribadisco quello che ho già detto e pubblicato ovunque che, finché non mi sarà data una corretta spiegazione scientifica sull’efficacia di un vaccino specifico per il Covid-19, non somministrerò questo vaccino a nessun mio paziente. Il virus SARS-Cov-2 è un virus che muta continuamente e rapidamente, anche nel giro di poche settimane; quindi ad oggi è impossibile produrre un vaccino che possa stimolare il sistema immunitario in modo specifico per produrre anticorpi contro questo virus. E’ come dire che oggi questo virus si chiama Mario, domani Beppe e domani l’altro Sempronio. Se faccio un vaccino che si chiama Mario, ma oggi c’è Sempronio, Sempronio non risponde. Voglio specificare che questo mio atteggiamento non è di contrarietà ai vaccini in modo assoluto, ma vuole sottolineare l’importanza, l’etica e la professionalità medica, dove obbligatoriamente quando si somministra una terapia, vaccini compresi, ci si assume una responsabilità sulla salute del paziente e quindi sull’esito della terapia, considerando sia gli effetti benefici che quelli collaterali.
A fine Agosto, Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, ha detto che “Non c’è nessun modo per rafforzare il nostro sistema immunitario in vista dell’autunno. L’unica cosa che serve sono i buoni stili di vita. Gli integratori alimentari che vengono proposti servono solo a chi li vende e non a chi li usa.” Evidentemente il Prof. Garattini è sicuramente molto bravo nelle ricerche farmacologiche allopatiche, ma non conosce bene le decine di migliaia di verifiche scientifiche fatte sull’effetto benefico sul sistema immunitario di tanti integratori naturali.
Per esempio, oltre alla vitamina D, potrei sottolineare l’importanza della quercetina, visto che proprio recentemente uno studio internazionale a cui partecipa il Cnr, ha scoperto che la cara vecchia quercetina funge da inibitore specifico per il virus responsabile del Covid-19, mostrando un effetto destabilizzante sulla 3CLpro, una delle proteine fondamentali per la replicazione del virus. Lo studio è pubblicato sull’International Journal of Biological Macromolecules e questo è il link della pubblicazione.
Potrei, inoltre, parlare della esperidina e della vitamina C, perché, come riportato nel lavoro fatto dai proff.ri P. Bellavite e A. Donzelli “Esperidina e SARS-CoV-2: nuova luce sulla funzione salutare degli agrumi”, queste sostanze agiscono impedendo il legame del virus ai recettori o inibendo la funzione del recettore stesso, quando mette in moto il processo di internalizzazione, inibendo la replicazione virale bloccando, ad esempio, l’RNA polimerasi, proteasi o un nuovo assemblaggio di particelle, aiutando la cellula a resistere all’attacco virale, cioè arrestando il processo di citotossicità, bloccando la diffusione del virus nel corpo, modulando l’infiammazione quando, partendo come meccanismo difensivo innato, diventa offensivo e citotossico.
Ma la lista è molto lunga, dall’Echinacea al Salice Bianco, dagli oli essenziali di origano, timo e santoreggia al ferro e lo zinco e soprattutto il glutatione.
Una buona prevenzione deve poi assolutamente passare da una buona alimentazione, perché una buona salute dell’apparato gastroenterico implica una buona funzionalità del sistema immunitario, dato dal fatto che nella mucosa intestinale è presente un Tessuto Linfatico Associato alle Mucose (MALT) che, nella sua funzione, risente molto dell’ambiente intestinale”.
Concordo, una buona alimentazione può avere un’influenza profonda sul nostro sistema immunitario, come del resto anche altre scelte salutari, ad esempio praticare una moderata attività sportiva, ed è senz’altro utile ricorrere ai giusti integratori naturali, specie in determinate circostanze, come appunto ha appena detto Lei, Dottore. Eppure non è di questo che la gente sente parlare in continuazione perché ormai, specie da qualche anno a questa parte, c’è l’idea diffusa che solo i vaccini possono metterci al riparo da certe malattie …
“Il discorso vaccini è diventato oggi molto delicato. Ci sono fronti troppo estremistici, sia dalla parte di chi vaccinerebbe anche i virus stessi, sia dalla parte di chi ne nega totalmente l’utilità. In medicina, e non solo, le tifoserie non portano a niente, se non ad azioni restrittive da una parte o eccessivamente rivoluzionarie dall’altra.
In passato i vaccini sono stati utili ed hanno permesso di debellare infezioni che hanno falciato tantissime vite. Oggi, in considerazione di tanti fattori diversi rispetto al passato come gli stili di vita, la maggior igienizzazione, la capacità diagnostica e l’efficacia terapeutica e soprattutto la mancata emergenza sanitaria per infezioni per le quali sono stati stabiliti gli obblighi vaccinali, ai quali probabilmente se ne aggiungeranno altri, mi sento di dover prendere una posizione ben precisa.
Ritengo che, come in tutte le situazioni nelle quali un medico deve prescrivere una terapia, debba essere rispettata la libertà di ragionamento scientifico, sulla base di conoscenze ed esperienze, che deve portare il medico, insieme al paziente, a decidere se somministrare o meno una terapia.
Credo che la pratica vaccinale debba essere eseguita su scelta e responsabilità del medico, sulla base di dati epidemiologici e sulla base della situazione clinica del paziente che si dovrebbe sottoporre alla vaccinazione.
Quindi potrebbero sussistere situazioni nelle quali il medico, insieme al paziente, sceglie di vaccinare, perché ritiene che non ci siano rischi per il paziente e che le condizioni ambientali nelle quali vive lo sottopongano ad un reale rischio di infezione. Oppure di rimandare la vaccinazione se non è sicuro delle condizioni di salute del paziente e delle reazioni che potrebbe manifestare e quindi, come nel caso di un bambino di pochi mesi, preferisca verificare nella crescita che tipo di salute sviluppa. O ancora somministrare il vaccino in condizione protetta, per arginare possibili reazioni allergiche o peggiori, se presenta una familiarità alle allergie o altro. O anche decidere di non somministrare il vaccino, nel caso ci siano patologie pregresse di un certo tipo o una familiarità a malattie neurologiche o autoimmunitarie.
Insomma, quando si usa il buon senso, soprattutto in medicina, cioè ci si rifà alla conoscenza, all’esperienza, all’etica e alla professionalità del medico che stabilisce una buona relazione medico-paziente, condizione indispensabile per raccogliere tutti i dati utili in merito alla condizione di ogni singolo individuo, si può arrivare a prendere la giusta decisione, rendendo possibile il raggiungimento dell’unico, vero obiettivo del nostro lavoro che è la salute”.