L’etica in soffitta di Coop tra rose, farmaci e forzieri
di Saverio Pipitone - 07/08/2019
Fonte: Il blog di Beppe Grillo
A Torino in Via Palma 7 la Società generale di mutuo soccorso degli operai il 4 ottobre 1854 aprì uno spaccio alimentare, chiamandolo Magazzino di previdenza. I prodotti erano venduti agli associati al “primitivo costo”, cioè ad importi convenienti e leggermente superiori a quelli di acquisto, con un guadagno che serviva solo a coprire le spese gestionali.
Da questo modello discende l’insegna Coop con il primo negozio a Reggio Emilia nel 1963, per creare successivamente il principale sistema cooperativo italiano di grande distribuzione organizzata che comprende Coop Lombardia, Coop Liguria, Coop Centro Italia, Unicoop Tirreno, Unicoop Firenze, Novacoop e Coop Alleanza, con un migliaio di strutture tra ipermercati, supermercati, superette e superstore, per una dimensione affaristica aggregata intorno ai € 14 miliardi annui.
Coop ha nel tempo diversificato l’attività, oltre il retail, penetrando in svariati settori quali finanziario, immobiliare, editoria, librerie, telecomunicazioni, utenze luce gas, carburanti, agenzie viaggio, e-commerce, assicurazioni, ospedaliero e farmaceutico. Grazie alle liberalizzazioni del “compagno cooperante” ed ex Ministro dello sviluppo economico Pier Luigi Bersani, possiede un proprio marchio di aspirina e 156 corner con 4.000 referenze low cost di OTC, omeopatici, veterinari e parafarmaci. La sanità negli scaffali del supermarket induce però il consumatore a fare incetta ed imbottirsi di medicine, anche per semplici raffreddori, emicranie e disturbi gastrointestinali.
I proprietari di Coop sono circa 7 milioni di persone che con una quota di € 25 diventano soci e ricevono una Carta di appartenenza, assumendo il doppio ruolo di cliente a cui in esclusiva sono offerti sconti o premi e di lavorante senza compenso, ma portatore di plusvalore, come quando, durante la spesa, utilizza il lettore ottico Salvatempo o lo smartphone per prezzare direttamente le merci, contribuendo alla velocizzazione delle operazioni di cassa.
I soci possono inoltre depositare i risparmi nei forzieri del prestito sociale, pari a € 9-10 miliardi, che Coop reinveste in titoli di Stato, obbligazioni bancarie e partecipazioni societarie, specialmente nel gruppo Unipol, di cui è il primario azionista, svolgendo attività speculative con numeri simili ad una banca: dal 2013 al 2017 la gestione finanziaria ha generato risultati positivi di € 1,4 miliardi, compensando i margini cumulati negativi di € 415 milioni dalla vendita di beni di largo consumo (dati Mediobanca).
Il prestito sociale è pure fonte di risorse per lo sviluppo della rete distributiva. Ad esempio nel periodo 2016-18 Coop Alleanza ha investito € 600 milioni nel rinnovo dei punti vendita per renderli attrattivi e in particolare € 30 milioni sono stati destinati nel 2017 per il totale rifacimento sperimentale dei tre ipermercati più ampi e frequentati negli shopping center Grandemilia di Modena, Esp di Ravenna e Centro Nova di Castenaso/BO.
Il nuovo format, denominato Extracoop, supera il tradizionale modello di ipermercato con un layout progettato per allungare la permanenza del consumatore. Le aree di passaggio sono state ampliate posizionando al centro il cibo con “la via dei freschi”: dal pane reclamizzato come appena sfornato, ma ottenuto dalla doratura del parzialmente cotto e surgelato che l’indomani è immangiabile, alle verdure o frutta di IV e V Gamma imballate in tanta plastica. Attorno è collocata “la via della scoperta” con elettronica, casalinghi, abbigliamento, cartoleria, giocattoli, igiene domestica o personale ed altro. Tra le due “vie” le mercanzie sono tutte visibili in modo da riporle simultaneamente nel carrello. La barriera delle casse è stata arretrata per piazzare degli shop a marchio Coop con affaccio nella galleria commerciale, dalla gioielleria all’ottica fino al ristoro, spingendo il consumatore a proseguire negli acquisti.
Una novità è lo shop di piante e fiori in partnership di fornitura con il brand Monceau Fleurs del gruppo francese Emova. Attenzione, però, perché le loro rose sono strapiene di pesticidi come documentato nel 2017 dal test di laboratorio della rivista «60 Millions de Consommateurs» che ha rilevato un cocktail di sostanze tossiche fra cui gli insetticidi neonicotinoidi accusati di apicidio e il fungicida dodemorph dannoso per organismi acquatici. Le rose distribuite da Emova provengono dalle serre olandesi, ininterrottamente illuminate e riscaldate, oppure dalle piantagioni in Ecuador, Etiopia e Kenya, con trasporto aereo e camion refrigerati per viaggi di 9.000 km: in entrambi i casi il dispendio energetico è abnorme. Sul territorio keniota l’industria floreale è concentrata ad un’altitudine di 2.000 metri nella città di Naivasha con un lago che sta morendo a causa dell’estrazione giornaliera di 20.000 metri cubi di acqua per irrigare e del deflusso di scarti chimici da fertilizzati e diserbanti, determinandosi una moria di pesci e di bestiame che beve l’acqua inquinata. Gli operai lavorano in condizioni disumane con turni massacranti, senza protezioni di sicurezza e norme igieniche, spesso vittime di abusi sessuali, per una misera paga mensile che non arriva nemmeno a 100 dollari.
Ma Coop Alleanza – promotrice di sostenibilità ambientale e dal 1998 certificata SA8000 per l’eticità del lavoro nella filiera di fornitura – ha controllato, prima di stipulare l’accordo, l’origine dei fiori del partner Monceau Fleurs?
Concludo con Mario Frau, ex dirigente Novacoop e autore del libro La Coop non sei tu, dove testimonia che la Coop ha sacrificato il mutualismo delle primigenie cooperative, in nome del profitto e dell’arricchimento, mostrandosi adesso con due facce: «da un lato quella accattivante dei presunti valori distintivi di socialità e di solidarietà che coglie tutti i vantaggi e i benefici riservati alle società cooperative, dall’altra quella che sfrutta spregiudicatamente tutti i vantaggi del collateralismo politico e del mercato capitalistico».