L’Europa di Jean Thiriart
di Pietro Missiaggia - 05/08/2020
Fonte: Il pensiero storico
Solitamente, quando si sente nominare Jean Thiriart, si rimane sconcertati, curiosi, oppure ci si chiede semplicemente chi sia questo personaggio. A dire il vero, quest’ultima è una reazione più che legittima, dal momento che Thiriart è ancora un autore pressoché sconosciuto nella storia del pensiero politico europeo, ma non per questo meno importante. Jean-François Thiriart (1922-1992) fu un politico e teorico belga, che lottò incessantemente (sia sul piano politico che su quello teorico-filosofico) per la costruzione di un‘Europa unita e indipendente, prima estesa da Brest a Bucarest e poi da Dublino a Vladivostock. È bene precisare, sin da subito, che la sua idea di Europa era completamente diversa da quella promossa e difesa dai fautori dell’attuale Unione Europea. Il presente scritto intende soffermarsi su alcune nozioni riguardanti la vita di Thiriart e la sua idea di “Europa-Nazione”, recensendo una recente monografia di Lorenzo Disogra, pubblicata quest’anno dalle Edizioni all’Insegna del Veltro di Parma, che si annovera fra i primi tentativi in Europa (forse il primo in Italia) di far conoscere al pubblico questo interessante pensatore politico del XX secolo.
Lorenzo Disogra struttura la sua monografia su Thiriart suddividendola in tre capitoli principali: il primo riguardante l’inizio dell’attività politica di Thiriart, fino al suo ritiro negli anni Settanta; il secondo riguardante il suo ritorno sulla scena in veste di puro teorico ed il suo viaggio a Mosca; infine, il terzo, concernente il suo pensiero politico e filosofico.
Jean Thiriart, nato nel 1922 a Bruxelles, da una famiglia piccolo-borghese di tendenze “liberali di sinistra”, si formò politicamente cominciando a militare in alcune organizzazioni di sinistra antifasciste dell’epoca. Tuttavia questa prima esperienza politica finì presto: infatti, sempre più deluso da una sinistra a suo dire troppo “verbosa”, incapace di guardare in modo realistico al futuro, si avvicinò nel 1939 al nazionalsocialismo. Ma questa “conversione” politica di Thiriart non deve sorprendere affatto; all’epoca, in effetti, molti intellettuali di sinistra, socialisti o comunisti, si avvicinarono alle idee promosse dal Terzo Reich, convinti che potessero rappresentare un modello alternativo sia al capitalismo occidentale che al socialismo sovietico. Come scrisse la giornalista Anne Loiuse Strong (famosa per i suoi reportage in Cina ed in URSS), era normale vedere politici o intellettuali europei che appoggiavano Hitler ed il nazionalsocialismo, poiché per molti la Germania rappresentava il motore per una futura riunificazione europea (A.L. Strong, L’Era di Stalin, Edizioni Rapporti Sociali, Milano, 2006, p. 98); a ciò, possiamo presumere, credeva anche Thiriart. Egli, però, si sentiva più vicino a certi pensatori della galassia rivoluzionario-conservatrice tedesca (fra i quali Ernst Niekisch, nazionalbolscevico, il quale durante il periodo nazionalsocialista venne deportato in un campo di concentramento) piuttosto che alle idee di Hitler.
Dopo la guerra e la caduta del Terzo Reich Thiriart scontò due anni di prigionia per collaborazionismo e ciò lo segnò in modo particolare, sia a livello morale che politico (L. Disogra, L’Europa come rivoluzione, Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2020, p. 21). Dopo la guerra si dedicò alla professione di optometrista e riprese l‘attività politica solo nel 1960, quando il Congo conquistò l’indipendenza dal Belgio. Thiriart, vedendo nella decolonizzazione del continente africano un segno fondamentale della decadenza politica europea, nonché il sorgere di un mondo totalmente controllato dal bipolarismo Usa-Urss, decise di appoggiare i movimenti che si opponevano a questo processo. Uno fra tutti, l’OAS francese, che si opponeva con fermezza alla decolonizzazione dell’Algeria. L’OAS era una formazione politica e militare che possiamo ancora considerare alquanto controversa, sia per i suoi rapporti con la CIA sia per i tentativi di infiltrazione in territorio italiano (ad esempio in Liguria; cfr. Cfr. G. Galli, Piombo Rosso, Dalai Editore, Milano 2013).
Successivamente, nel 1962, Thiriart fondò “Jeune Europe” o “Giovane Europa”, il primo movimento transnazionale paneuropeo, che si proponeva di creare un'”Europa-Nazione” unita da Brest a Bucarest, indipendente rispetto alle influenze sovietiche e americane. Il movimento Giovane Europa ebbe notevole popolarità nel continente, tant’è vero che ben presto si diffuse in Belgio, Olanda, Francia, Svizzera, Austria, Germania, Italia, Spagna, Portogallo ed Inghilterra. Fra i membri italiani ricordiamo lo storico Franco Cardini ed il saggista Claudio Mutti.
Successivamente Thiriart mostrò ammirazione per le lotte anti-coloniali, anti-sioniste e anti-statunitensi dei paesi arabi (Algeria, Iraq, Egitto e Palestina), nonché per quegli esempi di socialismo che si stavano allontanando dal modello sovietico (in primis, quello romeno e quello jugoslavo). Credo che sia importante menzionare che molti militanti di Jeune Europe si arruolarono nelle file dell’Olp; uno fra tutto fu Roger Coudroy, il primo caduto europeo per la causa palestinese; le sue memorie sono state recentemente pubblicate in Italia (R. Coudroy, Ho vissuto la resistenza palestinese, Passaggio Al Bosco Edizioni, Firenze 2017). Negli anni seguenti invano chiese sostegno a questi paesi per creare delle armate rivoluzionarie europee, pronte a combattere sul suolo del continente per la riunificazione dell’Europa. Infatti il suo tentativo non ebbe alcun successo., Come esperienza politica, Jeune Europe di lì a poco fallì e Thiriart si ritirò a vita privata fino al 1981.
Thiriart ritornò sulla scena in quell’anno, non più come politico, ma in veste di puro teorico, dicendosi addirittura sollevato dal fatto che, da quel momento in avanti, avrebbe potuto dedicarsi alla speculazione teorica e politica senza dover rendere conto ad alcun gruppo politico. Durante questo periodo la sua visione geopolitica in merito all’Europa mutò notevolmente. Infatti, se negli anni Sessanta credeva che l'”Europa-Nazione” avrebbe dovuto estendersi da Brest a Bucarest, negli anni Ottanta si era ormai convinto che il territorio dell’Urss avrebbe dovuto far parte dell’Europa, permettendo la nascita, così, di un «Impero Repubblicano Europeo, unito da Dublino a Vladivostock». Dopo la dissoluzione dell’Urss, nel 1992 Thiriart venne invitato da alcuni membri dell’opposizione politica russa a Mosca, dove incontrò personalità di rilievo, fra cui il politologo e filosofo Aleksandr Dugin, l’ex collaboratore politico di Gorbachev e poi suo oppositore Egor Ligaciov, e il segretario del neonato partito comunista russo (Kprf) Gennady Zugijanov. A Mosca Thiriart venne intervistato dal giornale nazionalista “Den”, a cui disse che la dissoluzione dell’Urss fu il più grande “disastro geopolitico” della nostra epoca.
Il 22 novembre del 1992, esattamente tre mesi dopo il suo rientro da Mosca, Thiriart morì all’improvviso, a causa di una crisi cardiaca. Come ricorda l’intellettuale belga Robert Steukers, «Voci costernate piangevano la sua scomparsa da Parigi a Mosca, passando per Milano fino a Marsiglia» (Disogra, p 67). Com’è stato accennato poco sopra, la visione geopolitica di Thiriart rispetto all’estensione territoriale dell’Europa si evolve nel corso del tempo. Inizialmente egli considerava necessaria la costruzione di un’Europa unita da Brest a Bucarest, antagonista nei confronti sia dell’Urss che degli Usa, la quale, secondo un’idea “eurafricana”, doveva cercare di vivere in “simbiosi” con l’Africa, instaurando un rapporto d’aiuto reciproco fra i due continenti.
La sua visione cambiò nel 1981, accompagnata da una rivalutazione dell’Urss e del comunismo. Secondo Thiriart il problema principale per l’indipendenza dell’Europa era costituito dagli Stati Uniti, e l’unico Stato europeo ancora libero rispetto all’egemonia americana e sionista era l’Unione Sovietica; pertanto, l’Urss avrebbe dovuto compiere il suo “destino geo-strategico” unificandosi con l’Europa occidentale. Thiriart non vedeva più nel comunismo un grosso problema: esso, ormai, costituiva solo un’ideologia morta ed inefficiente dal punto di vista economico. Il pensiero marxista-leninista, secondo Thiriart, doveva essere “de-ideologizzato”, mantenendo però il suo carattere totalitario, utile al fine di creare una sorta di superuomo in senso nietzschiano. Egli, con parole suggestive, auspicava l’avvento di un “nuovo Stalin”, che si proponesse come riformare l’Urss e di unificarla con l’Europa Occidentale. Thiriart, però, conosceva bene le contraddizioni insite nel regime sovietico e, quindi, proponeva lo sviluppo di due sfere distinte della vita umana: quella dell’imperium (ovvero la sfera politica e pubblica, che doveva restare necessariamente totalitaria) e quella del dominium (cioè la sfera privata, che doveva essere caratterizzata dalla libertà di pensiero).
Come spiega Disogra: «Per Thiriart, quindi, la politica deve rimanere totalitaria, ma ciò non significa che, al contempo, essa debba annullare completamente, per forza di cose, la sfera delle scelte individuali. Essa deve soltanto mantenere intatta la sua autonomia ed il suo primato su qualsiasi altro ambito dell’agire umano» (p. 79).
Semplificandone pensiero, si può dire che Thiriart si oppose all’idea di un’Europa istituzionale e parlamentare (caratteristica dell’attuale Ue), a favore di un’Europa politica guidata da un’élite rivoluzionaria, dotata di un’ideologia efficace e persuasiva. Questa élite rivoluzionaria avrebbe dovuto costituire un vero e proprio partito rivoluzionario, con l’obiettivo di combattere per l’unificazione dell’Europa. L’Europa avrebbe dovuto realizzare il suo destino grazie all’unificazione con l’URSS, opponendosi agli Stati Uniti e mantenendo buone relazioni con la Cina e i paesi del Sud-Est Asiatico. In ultima analisi, la visione europea (e dell’ordine internazionale) di Thiriart ricorda molto l’idea dei grandi spazi teorizzata da Carl Schmitt. Infine si può dire che il lavoro di Disogra costituisce, senza dubbio, un utile strumento per conoscere una figura come Jean Thiriart, personaggio ingiustamente dimenticato del panorama politico, storico e filosofico europeo della seconda metà del Novecento.