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L’iconoclasta griffato

di Roberto Pecchioli - 27/06/2020

L’iconoclasta griffato

Fonte: Accademia nuova Italia

Che cosa hanno in comune il frate spagnolo Junìpero Serra, missionario in California e François Marie Arouet, detto Voltaire, oltre al fatto di essere vissuti nel XVIII secolo? Nulla. Sono divisi da tutto, il filosofo e scrittore francese, ateo, mangiapreti, icona dell’illuminismo, “luce dei Lumi” e il monaco maiorchino che girava il Nuovo Mondo per convertire genti di ogni razza e origine. Da poco, i due personaggi sono uniti dall’identico destino delle loro statue, imbrattate, coperte di insulti e danneggiate gravemente in America dai barbari postmoderni, gli iconoclasti del nulla. Lo sfregio a uomini, donne, idee, simboli del passato della nostra civiltà si estendono con furia nichilista. I rivoluzionari di altre epoche attaccavano il passato – o parti di esso – per instaurare un nuovo ordine, proclamare principi in nome dei quali fondare qualcosa.

Nulla di tutto questo nell’anno di grazia 2020, nel quale i gesti sono unicamente distruttivi. Il solo elemento che si può rintracciare è un odio mortale, irrazionale, cupo, che i romani chiamavano cupio dissolvi, il desiderio di far sparire, annientare, cancellare cose, idee, tracce, ricordi. L’ essere e il nulla è il titolo di un’opera di uno dei peggiori tra i cattivi maestri del Novecento, Jean Paul Sartre; gli eventi di cui siamo testimoni vanno oltre: il non-essere e il nulla. L’ignoranza è un brodo di coltura di massa che, inevitabilmente, fa di ogni erba un fascio. Negli Stati Uniti è stato devastato da vandali di abissale analfabetismo anche un monumento dedicato a un gigante della letteratura mondiale, lo spagnolo Miguel de Cervantes, il padre di Don Chisciotte.

Per motivi ignoti soprattutto agli autori dei graffiti, gli è stato lanciato l’epiteto di bastardo. Pretesa eccessiva chiedere agli antirazzisti, antifascisti, antischiavisti e antitutto di essere al corrente che Cervantes fu tratto in schiavitù da trafficanti nordafricani e riscattato dopo anni. A sua colpa, certo era un maschio bianco europeo cattolico ed eterosessuale. Altrettanto inutile sarebbe informare la plebe urlante che la schiavitù, ahimè, è stata praticata – e lo è ancora – da popolazioni di ogni razza e colore, a partire dall’Africa e dall’America precolombiana, in cui vigevano pratiche di rivoltante violenza e disprezzo per l’essere umano, interrotte – guarda caso- dagli invasori europei.   

L’iconoclastia corrente si muove su due binari, entrambi tossici: un rancore isterico verso l’intero passato e una passione insana per l’Identico. Il filo rosso che li lega è la rivendicazione rancorosa, indignata, offesa, di qualunque identità, vera o inventata: iconoclasti identitari, un ossimoro. I nichilisti degli anni Venti difendono ogni identità – vera o presunta- nel presupposto che l’uguaglianza orizzontale di persone, idee, desideri, tendenze, pulsioni, preferenze, sia l’unico criterio universale, la scoperta definitiva che rende Oggi, Adesso (Big Now) superiore a qualunque Ieri. L’anello di congiunzione è l’odio di sé, la tenace volontà di uccidere, soffocare nell’impotenza la civiltà europea e occidentale. Non a caso, se una folla schiamazzante di turbati, umiliati e offesi pone sul trono ogni identità o capriccio soggettivo, cui si aggiunge ogni giorno un nuovo segmento, un gruppuscolo che unisce la sua alle altre rivendicazioni, in un inseguimento di micro identità reciprocamente ostili e ridotte all’Unico ( l’ Omosessuale, la Femminista, l’Immigrato, il/la Trans eccetera), certe identità comunitarie sono invece calpestate, abbattute, gettate nella polvere con odio.

E’ infatti proibito difendere, o semplicemente riconoscere, l’identità degli esseri umani di razza bianca, di chi è religioso, dei maschi, se eterosessuali, delle donne, se non femministe, nemiche dell’eteropatriarcato e della condizione di madre, presentata come un’obbligazione sociale anziché un naturale dato biologico. Potremmo elencare una quantità enorme di “anti”, ma tutti si condensano nell’odio per ciò che è stato trasmesso, ereditato. I barbari che dall’America tracimano in Europa non hanno ancora un nome. Noi proponiamo Brigate del Presente. L’intero passato storico è non solo messo in discussione, il che fa parte della legittima dialettica di ogni generazione alla ricerca della propria strada, ma condannato senza processo da un tribunale il cui unico codice è l’adesione all’Odierno. Tutto è giudicato e condannato senza appello attraverso la lente deformante di Oggi. E’, in fondo, l’inveramento e la coerente conclusione del mito del progresso: se oggi è meglio di ieri, se siamo giganti liberatisi dei nani, la conclusione logica è abbattere anche le statue di personalità come Voltaire che iniziarono il percorso di cui i Brigatisti del Presente sono la conclusione.

La tentazione di ogni movimento è di farsi potere; le Brigate del Presente non lo sanno precisamente per aver tagliato ogni ponte. Ecco dunque la richiesta imperativa, le dita minacciose puntate affinché le loro idiosincrasie diventino legge, mentre i valori e principi altrui cambiano nome e sono definiti fobie, pregiudizi, pensieri di odio da inserire nei codici penali come titoli di reato. A vecchie discriminazioni – alcune vere, altre inventate di sana pianta- ne succedono di nuove, nel nome dell’Identico e dell’uguaglianza come la intendono loro, le Brigate nichiliste del Presente. Domani chissà: non pervenuto, il futuro è il grande assente nel povero universo dell’iconoclasta identitario. Se il progresso è una linea retta che avanza, domani le idee di oggi saranno antiquate, assoggettate a tribunali del pensiero che revocheranno le granitiche certezze odierne.

Fa tremare la viltà delle autorità pubbliche, specie in America, allineate alla volontà di impotenza e all’oicofobia. La Commissione Artistica della città californiana di San Francisco- sofisticato centro del progressismo mondiale- ha ordinato il ritiro di una statua di Cristoforo Colombo con il seguente argomento: “in questo importante momento, stiamo esaminando tutti i modi in cui il razzismo istituzionale e strutturale filtra nella società”. Aria fritta, pericolosissima perché proviene dal livello istituzionale e perché accetta la narrazione dei propri nemici, segno di impotenza e di resa. Il “razzismo strutturale e istituzionale “si anniderebbe esclusivamente tra i bianchi. Il brano successivo degli illustri commissari dell’arte di San Francisco (metropoli che dovrebbe cambiare nome: i santi non esistono in un mondo di identici, tanto più se bianchi cattolici): “l’’arte pubblica non è un’eccezione. Nelle città degli Usa, molti monumenti storici vengono abbattuti poiché lezioni e le idee che simbolizzano non meritano di essere venerate. La rappresentazione conta. Ecco perché possiamo e dobbiamo continuare a creare opere d’arte che riflettano i nostri valori e la diversità delle comunità che serviamo”.

Un’ammissione di colpa storica di una civilizzazione sconfitta che muore per suicidio, come è capitato spesso nel corso della storia e come Oswald Spengler ha dimostrato nel Tramonto dell’Occidente. Ancor più, è la dimostrazione palese del fallimento clamoroso del multiculturalismo, che può sopravvivere con un relativo ordine sociale solo a condizione di essere gestito dal potere con spietata violenza. 

Constatiamo l'incremento di una violenza inarticolata, senza base politica. Violenza di ordine metapolitico, forse antropologico. Questo è il tempo in cui una coppia può restituire come merce avariata, non conforme all’ordinazione, il bambino adottato una volta scoperto il suo autismo ed essere approvata, se l’ammirazione si definisce per il numero di “mi piace “delle reti sociali. Decenni di educazione invertebrata, ispirata e lautamente finanziata dai signori della globalizzazione, decenni di relativismo che legittima qualsiasi gesto ed atteggiamento, la promozione acritica del consumo universale – anche di se stessi – anni di risentimento sparso a piene mani a cui pochissimi si sono opposti con disperata tenacia, l’autostima esaltata a livello soggettivo ma severamente proibita a livello comunitario e collettivo, condannano all’insignificanza. 

I più giovani attraverseranno la vita in un vuoto informe senza centro o periferia, il deserto planetario in nome dell’umanità globale, unica, identica. Nessuna eredità: è inaccettabile, orribile, per questo ce ne stiamo disfacendo, prima con gaia noncuranza, adesso con fervore veemente. L’abbiamo fatta finita con il padre – non invano sale l’urlo antipatriarcale - e con ogni altra autorità. Gli iconoclasti si proclamano innocenti, immacolati, gigli senza passato, e con l’atto di abbattere statue pensano voluttuosamente di espiare colpe presunte degli antenati, resettati come cartelle inutili sul personal computer. Cancellano il volto dei padri, credono di rinnovare il proprio. Faranno di nuovo un mondo nuovo – non è la prima volta, anime belle che ignorate la storia e la psicologia delle masse – ma, questa è la novità che inquieta, fondato sul nulla.

In realtà, le moltitudini senza macchia armate di cancellino, con l’animo incendiato da astutissime volpi di cui neppure sospettano l’esistenza, non sono davvero iconoclaste. Al contrario, rendono un culto devoto e quotidiano ai “loghi”, alle griffe, ai brand, alle mode, specie le più ridicole, che si propagano con la rapidità del fulmine. Accettano e digeriscono tutto, purché non abbia l’indice ammonitore, commemorativo dei simboli –che orrore- posti prima della loro nascita. Abbiamo incrociato una giovane madre reduce da una manifestazione: anelli a ogni dito, di tutte le fogge fuorché la sorpassata “vera” matrimoniale, griffata da capo a piedi, il bel corpo deturpato da grotteschi tatuaggi multicolori.

Nessuna iconoclastia reale, dunque, ma il suo contrario elevato al ridicolo. Con una parola inconsueta, si chiama iconodulia, ovvero il culto (dulìa) reso alle immagini. Privi di identità dietro il risentito cipiglio di indignati e offesi, se ne costruiscono una artificiale, falsamente individualizzata, dettata dal mercato. In un angolo del confuso Sé di costoro, sopravvive forse la coscienza del vuoto pneumatico in cui non vivono, ma semplicemente esistono. Compensano il nulla con le urla scomposte, l’odio a comando, l’ostentazione di marchi commerciali, l’adesione bovina a parole d’ordine preconfezionate, senza sospettare di essere pedine fungibili, bottoni di un gioco dell’oca condotto dall’alto. La loro ignara “iconodulia” è banale, priva di trascendenza, liquida poiché vale solo per oggi: dopo il tramonto cambieranno i modelli, il nuovo diventerà improvvisamente decrepito e lo disprezzeranno con la stessa foga con cui l’avevano abbracciato ieri.

Il loro mondo nuovo, cucito con i residui dell’odio di sé e gli slogan di altoparlanti a loro invisibili, è già un vuoto con colonna sonora, ozio a tempo indeterminato e sonno della ragione incorporati. Conta che si avvicini il prossimo sballo, il rave party senza fine, la lunga marcia attraverso la sporca civiltà per demolire anche l’ultimo frammento dell’odiata muraglia. Ignoranti, iconoclasti griffati, si accorgeranno tardi che il muro della civiltà assolveva a una funzione vitale, elementare, persino sacra. Diceva Gilbert Chesterton- uno a cui di statue ne hanno erette poche – che non è saggio abbattere una barriera prima di sapere perché era stata costruita. Troppo difficile, viene l’emicrania, meglio il comodo menù farcito di “anti”.

Meglio non chiedersi nulla; del resto si sono lasciati rubare le parole e non sanno più articolare concetti al di là del grugnito. Ovvio che odino la civiltà bianca, occidentale, cristiana: troppo complicata. Se cercheranno alternative oltre il nulla, eleveranno statue alla parte silenziata della storia: streghe, eretici, Arlecchini, travestiti, tutte le “minoranze” proposte dal potere, che mantiene a loro insaputa la maggioranza del pacchetto azionario. Minoranze variabili, liquide, sempre nuove sostituiscono la vecchia, sconfitta classe media europea e occidentale. Segmenti senza sostanza, poiché dietro non c’è solida realtà, bensì mobilità plastica, un magma fluido, inodore, insapore, ma transfrontaliero.

Non può essere altrimenti, se ci si definisce per il fatto di rifiutare. Né maschio, né bianco, né eterosessuale, né padre, né madre, né figlio, né erede. Al contadino non far sapere quant’ è buono il cacio con le pere. Agli iconoclasti dell’odio di sé, non facciamo sapere che “nologo” è un marchio registrato.