L’obiettivo è quello di tracciare e controllare tutti i modi di essere. La mascherina, la cui utilità è dubbia, è un simbolo di sottomissione allo Stato terapeutico. Quanti non la indossano sono esclusi dallo spazio pubblico e stigmatizzati come corruttori della salute pubblica. Niente ci garantisce che, in futuro, un simile trattamento possa essere applicato agli obesi o agli ipertesi. Poiché è per il nostro bene, vedremo forse commessi misurare la pressione o il girovita ai clienti o poliziotti addetti a controllare il numero di birre bevute dai giovani. Il tema filosofico della “buona vita”, sparito dall’ambito politico e religioso, si ripropone sotto forma di ingiunzioni sanitarie: mettere la mascherina, spalmarsi il gel disinfettante, lavarsi bene le mani, non andare in discoteca, curarsi.
La presunta “crisi” causata dal Covid ha permesso il dispiegamento di un arsenale sanitario, ma soprattutto emotivo e mediatico alla cui base si trova un meccanismo ricattatorio e colpevolizzante: “la gente muore perché tu non metti la mascherina”. Derogare ai capricci normativi della dittatura sanitaria è non solo un reato, ma prima di tutto un peccato.
Lo Stato terapeutico e igienista è il vettore dell’asepsi della vita sociale, l’ambizione a eliminare ogni rischio, ogni malattia, ogni contaminazione e, in definitiva, la morte. Le facce intabarrate nel tessuto sono una negazione delle relazioni umane, il volto dell’altro diventa irriconoscibile e la comunicazione perde la sua immediatezza.
Le norme anti-Covid sono la perfetta prosecuzione (e il completamento) del rapporto ossessivo che la nostra società intrattiene col corpo e che si esprime mediante diete fanatiche, chirurgia estetica, allenamento sportivo e fissazioni su difetti fisici immaginari.
L’egoismo che innerva ogni forma di salutismo è esploso. Si preferisce sacrificare la vita relazionale a vantaggio della propria vita biologica. Seppellirsi in casa è diventato più desiderabile di una vita all’aria aperta. L’isteria che circonda il virus è sintomo di un forte e malsano timore della realtà, che si esprime nella volontà, come già detto, di schedare, tracciare e sanificare.
L’igienismo è anch’esso un’espressione del progressismo: il sogno di un mondo senza conflitti, persino senza quelli tra i batteri e il nostro sistema immunitario. Un mondo dove non esistono ombre, in cui è possibile ricostruire ogni movimento. Le élites transnazionali che detengono le leve del potere politico, economico e mediatico hanno paura dei popoli, soprattutto dopo l’ascesa di Trump e dei populismi, e il miglior modo per rendere qualcosa meno spaventoso è dominarlo. Hanno inculcato al popolo il terrore del virus cinese, sobillando la paura a derogare alle norme, minacciando ecatombi, diffondendo immagini di malati e così via. Il Coronavirus è uno specchietto per allodole.
La crisi sanitaria farlocca è un’accelerazione verso un futuro di individui dall’espressività facciale mutilata dalla mascherina, chiusi in casa, soli, gonfi di ansie, ripiegati sulle proprie paure, con scarse occasioni mondane, ridotte possibilità di incontrare l’altro sesso le cui uniche relazioni avvengono per procura, tramite dispositivi digitali.
Il progresso avanza ed è lo zero assoluto di una vita sociale e pienamente umana.