L’impatto economico dell’elezione di Trump (non solo) negli Usa
di Ariel Noyola Rodriguez - 09/11/2016
Fonte: l'indro
Ariel Noyola Rodriguez è un economista messicano che collabora in pianta stabile con l’emittente di ‘Russia Today’ in lingua spagnola in qualità di editorialista. Gli abbiamo posto qualche domanda riguardo alle ricadute economiche che può produrre l’ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca.
Ariel, quale effetto credi che avrà sull’economia statunitense l’esito delle elezioni? Quali credi fossero le principali differenze tra l’approccio economico di Donald Trump e quello di Hillary Clinton?
Finora la Borsa di New York è precipitata a seguito della vittoria elettorale di Donald Trump. L’indice Dow Jones ha registrato un calo vicino a 800 punti, la peggiore dalla ricorrenza degli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001; anche i mercati azionari europei sono in calo, così come il mercato giapponese. Per non parlare del Messico. Pertanto, ritengo probabile che da ora fino al 20 gennaio del prossimo anno, quando Trump entrerà in carica, i mercati finanziari saranno immersi nel pessimismo. Va notato che, mentre la Clinton ha ricevuto un sacco di soldi per la sua campagna da grandi banche come Morgan Stanley e speculatori come George Soros, Trump ha lanciato dure critiche contro le pratiche distruttive di Wall Street. La vittoria di Trump sulla Clinton sembra non rappresentare una buona notizia per il capitale finanziario. In questo senso, la posizione che Donald Trump ha assunto rispetto alle grandi banche è molto più vicina a Bernie Sanders che ad Hillary Clinton.
Tuttavia, penso che dovremmo aspettare che Trump prenda il potere e poi iniziare a valutare le sue azioni; il punto è che il settore finanziario è molto potente negli Stati Uniti, quindi francamente non so quanto Trump sarà in grado di adempiere alle sue promesse elettorali. È indubbiamente vero che ci sono differenze di approccio tra Clinton e Trump in materia di economia. La Clinton era intenzionata a dare continuità alle politiche messe in atto dal presidente Barack Obama, che tra l’altro, lascia a mio avviso una grande delusione tra i settori più svantaggiati della popolazione; quelli che più lo avevano votato. Una carte vincente risulta, d’altro canto, quella di scommettere sull’abbassamento delle tasse; un meccanismo che viene tradizionalmente utilizzato dal Partito Repubblicano, nella convinzione che si possa così liberare denaro da investire nella creazione di posti di lavoro. In verità, non vi è alcuna evidenza empirica che una misura di questo tipo abbia ricadute sensibili sull’occupazione. George W. Bush aveva puntato forte su questo tema durante la sua amministrazione, ma alla fine le contraddizioni di base dell’economia sono emerse clamorosamente. La crescita è stata costruita sull’aumento esponenziale del debito privato e del deficit di bilancio. Dobbiamo tuttavia aspettare che Trump si insedi per giudicare l’efficacia delle sue mosse in campo economico.
Che effetti pensi che si avranno sull’occupazione, sulla quale entrambi i candidati avevano puntato fortemente in campagna elettorale?
L’economia degli Stati Uniti soffre di grossi problemi strutturali. Non c’è solo la disoccupazione, il cui tasso ufficiale gravita attorno al 5%. Molti dei posti di lavoro che sono stati creati a partire dal 2009 sono part-time e sotto-pagati. Inoltre, le politiche economiche promosse dal governo di Barack Obama non hanno funzionato condannando gli Stati Uniti a un lungo periodo di bassa crescita. Il quadro è davvero desolante: secondo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), l’economia degli Stati Uniti di quest’anno crescerà meno del 2,5%. Particolarmente interessante risulta l’idea di promuovere la crescita e l’occupazione attraverso forti investimenti rivolti a modernizzare e costruire nuove infrastrutture negli Stati Uniti. Tuttavia, se si considera che oggi le finanze pubbliche dello Stato americano sono gravemente dissestate, è impensabile che Washington disponga di un sufficiente margine di manovra per effettuare investimenti su larga scala, specialmente alla luce della riduzione delle tasse di 6,2 miliardi di dollari promessa da Trump entro i prossimi dieci anni. Mi pare che le condizioni in cui si trovavano gli Stati Uniti quando il presidente Franklin D. Roosevelt lanciò il New Deal per uscire da una situazione di ristagno economico siano molto diverse da quelle attuali. Non c’è confronto. Il calo di produttività di cui soffre l’economia americana, tanto per cominciare, non potrà mai essere risolto costruendo più autostrade.
La Clinton è stata una sostenitrice degli accordi di libero scambio con Unione Europea e Paesi dell’Asia-Pacifico. Cosa pensi che accadrà ora su questo fronte?
In parte è così, va tuttavia precisato che benché Hillary Clinton non si sia mai espressa contro la costituzione del Tpp, ha tuttavia dato segni di scetticismo riguardo ai presunti benefici che avrebbe apportato. Ora il Tpp è in fase di stallo Congresso, e qualcuno è arrivato persino ad ipotizzare che proprio la Clinton abbia cercato di affossarlo per presentare un progetto simile ma, a suo dire, più funzionale. La posizione di Trump è radicalmente diversa. Si è parlato fin dall’inizio della sua campagna contro il Tpp e gli altri accordi di libero scambio, come il North American Free Trade Agreement (Nafta). A suo avviso, gli accordi di libero scambio hanno portato solo guai per l’economia degli Stati Uniti, a partire dalla diminuzione dei posti di lavoro e dalla delocalizzazione delle imprese. Ha anche detto che imporrà barriere tariffarie sulle merci provenienti, tra gli altri, dalla Cina e dal Messico, al fine di proteggere l’industria locale. L’impatto sarà molto severo per Paesi che, come il Messico, sono estremamente dipendenti dal mercato Usa. Il mio Paese esporta verso gli Stati Uniti più del 70% delle merci. La Cina ha le capacità di resistere a una guerra commerciale, ma non vi è alcun dubbio che se Trump deciderà di battere questa strada, la tensione nella regione Asia-Pacifico non potrà che salire. Se Trump terrà fede alle sue promesse ripristinando misure protezionistiche, non verrà sepolto soltanto il Tpp, ma anche il Transatlantic Trade and Investiment Partnership (Ttip) con l’Unione Europea fortemente voluto dall’amministrazione Obama.
A livello finanziario, abbiamo assistito a una crescita impressionante dei listini nel momento in cui è uscita la notizia che Hillary Clinton stava nuovamente distaccando Trump. Come credi che i mercati interpreteranno il verdetto delle urne? Pensi che la Federal Reserve procederà all’innalzamento dei tassi annunciato dalla Yellen?
Nel corso di quest’anno, la Federal Reserve ha ripetutamente minacciato di procedere a un rialzo del tasso di interesse, ma fino ad oggi non l’ha fatto. Ricordiamo che nel dicembre dello scorso anno, quando si verificò il primo aumento del tasso di interesse sui fondi federali dallo scoppio della crisi del 2008, diverse banche di investimento hanno previsto, con approccio piuttosto ottimistico, che sarebbero stati effettuati almeno quattro innalzamenti nell’arco 2016. Finora questo non è accaduto. Se le turbolenze nei mercati finanziari globali si propagheranno per le prossime settimane, la Yellen userà il successo elettorale di Trump come pretesto per rinviare, ancora una volta, l’aumento del tasso di interesse. Stessa cosa è accaduta in estate a seguito del Brexit. Credo che le esternazioni delle Fed non debbano essere prese sul serio, specialmente a fronte dei sempre più ricorrenti segnali d’allarme provenienti dalle banche d’investimento convinte che esista il rischio che gli Usa cadano in una nuova recessione.
Come credi che la Russia interpreterà questo voto? Credi che Stati Uniti ed Unione Europea manterranno le sanzioni contro Mosca dopo questo voto?
Trump ha ribadito più volte che è auspicabile che gli Stati Uniti mantengano ottime relazioni diplomatiche con la Russia. Si era espresso a favore di una risoluzione diplomatica del conflitto in Siria, ed è disposto a unire gli sforzi con Putin per combattere i jihadisti dello ‘Stato Islamico’. Egli ha anche sottolineato la necessità di disimpegnare le forze Usa da guerre inutili, e messo in discussione il ruolo svolto dagli Stati Uniti all’interno della Nato. Il settore della difesa, così come quello finanziario, ha tuttavia forti interessi economici nel mantenere intatta l’esposizione militare statunitense. Ritengo possibile che sotto la presidenza Trump le priorità di politica estera degli Stati Uniti cambieranno, ma non credo si assisterà a una trasformazione radicale delle strategie del Pentagono, almeno nel breve termine. Non credo che Trump ordinerà lo smantellamento di tutte le basi militari Usa all’estero, né che sotto la sua presidenza cesseranno le pesantissime ingerenze e aggressioni contro Paesi dell’America Latina come il Venezuela. Vorrei sbagliarmi…
In campagna elettorale entrambi i candidati hanno parlato molto della Cina e delle misure da prendere per contenerne l’ascesa. Credi che la Cina abbia qualcosa da temere dall’esito delle votazioni? Pensi che dal punto di vista di Pechino fosse preferibile Trump o la Clinton?
In parte sì, perché, come ho detto prima, Trump ha spesso incolpato la Cina per le perdite di posti di lavoro negli Stati Uniti. E non solo, ha anche affermato che la People’s Bank of China manipola in maniera indebita il tasso di cambio dello yuan per favorire l’export cinese. Inoltre, gli Stati Uniti hanno spesso accusato la Cina di aver rubato segreti tecnologico/industriali e di esercitare pratiche commerciali profondamente sleali. Non possiamo tuttavia essere così ingenui da credere che gli Usa possano rinunciare al loro rapporto con la Cina, che si configura come la più importante relazione economica bilaterale del mondo. Anche se la Cina ha diversificato le sue riserve valutarie, conserva ancora una parte importante di titoli del Tesoro degli Stati Uniti. Si tratta di due super-potenze economiche reciprocamente dipendenti, ma dal mio punto di vista, gli Stati Uniti stanno assumendo un ruolo sempre più subordinato. D’altra parte, la determinazione di Trump nel mantenere relazioni amichevoli con la Russia mi induce a ritenere difficile che la sua amministrazione possa tenere allo stesso tempo una politica apertamente ostile nei confronti della Cina che, come sappiamo, si è avvicinata a Mosca in modo straordinario negli ultimi anni. Penso che il presidente Vladimir Putin possa fungere da intermediario tra Trump e il governo cinese per facilitare il raggiungimento di futuri accordi di grande rilevanza. Se invece insisterà nell’aprire un fronte di battaglia contro la Cina, Trump si darà la zappa sui piedi. In tempi in cui l’economia degli Stati Uniti è così vulnerabile, ritengo sia improbabile che il tycoon si spinga a dichiarare una guerra commerciale contro la Cina. Ancora una volta, ci tocca aspettare che per vedere quale strada imboccherà il nuovo presidente Usa. Per ora sono molti gli interrogativi sul suo futuro operato…