L'indistinzione di genere e la nigredo alchemica
di Riccardo Paccosi - 25/08/2020
Fonte: Riccardo Paccosi
Per gli alchimisti del XV e XVI secolo, l'obiettivo di una vita era identificato con la Grande Opera.
Quest'ultima consisteva nella scoperta della Pietra Filosofale, che non constava tanto del tramutare i metalli in oro, quanto del raggiungere un livello iniziatico di onniconoscenza implicante, fra le altre cose, la ritrovata unità di ciò che è stato separato all'origine. Tra questi ambiti separati, il maschile e il femminile, l'Uomo e la Donna.
Come approfondito dal filosofo e storico Elémire Zolla, il fine della ricerca alchemica era un Uomo Cosmico e altresì Androgino, ovvero che racchiudesse in sé la comprensione dei principi maschile e femminile, sulla cui separazione e intima connessione l'universo in cui viviamo si fonda e struttura.
Va da sé, dunque, che una riflessione del genere - se applicata alla mondanità delle relazioni uomo-donna - sta a indicare che dietro queste ultime si cela un compito spirituale che va molto oltre la riproduzione: uomo e donna si cercano, si incontrano e si scontrano attualizzando, con questa tensione permanente, un'eterna e irresolvibile ricerca, da parte della specie umana, dell'unità perduta dell'Universo. Con altre categorie, si potrebbe dire che l'Eros ricerca Dio e racchiude sempre la possibilità di trasformarsi in Agape.
Oggi, il principio della ricerca alchemica viene rovesciato.
Due fattori sono oggi in gioco per separare in misura irreversibile l'Uomo dalla Donna: a) il femminismo odierno (il cui contrasto col femminismo del secolo scorso si fa di anno in anno più acuto), che contesta appunto quel perenne inseguimento di maschile e femminile, stigmatizzando come sessiste le pratiche del corteggiamento (vedi movimento #metoo o meglio le sue conseguenze più estreme), il romanticismo (vedi studio dell'Università di Boston) e finanche il dono dei fiori (vedi pronunciamento Corte di Cassazione nel 2017);
b) i gender studies e le loro propaggini politiche e culturali volte a negare, come al link sottostante, la sussistenza ontologica dell'Uomo e della Donna e a considerare le due categorie, invece, meri costrutti culturali.
E' evidente che l'Androgino evocato dagli alchimisti, era l'esatto contrario dell'apologia dell'indistinzione proposta oggi da cultura Lgbtq e dintorni. L'unità perduta che era il fine della Grande Opera, infatti, presupponeva che gli enti della dualità - Uomo e Donna - fossero percepibili e distinti: solo così si poteva ascendere iniziaticamente a un Uomo Cosmico che trascendesse quella diade.
Negare l'esistenza degli enti alla fonte, invece, potremmo dire - forzando ma non troppo - che sia più un fatto proprio della fase iniziale del processo alchemico, vale a dire la fase della Nigredo od Opera al Nero: la fase, cioè, della scomposizione della realtà in quanto disintegrazione e putrefazione, l'indistinzione come evocazione di quel caos primordiale in cui neppure esisteva la vita. Una Opera al Nero che non prelude, come invece era per l'Alchimia, a fasi ulteriori di trasmutazione e, quindi, di consapevolezza.
L'odierna Opera al Nero che il post-umanesimo sta generando, lascia invece l'indistinzione come fine a se stessa e lascia quindi la coscienza umana priva di archetipi di riferimento, come in una Notte senza fine.
Carl Gustav Jung diceva che le prime costellazioni archetipiche a essere attivate fin dalla nascita in un essere umano, sono quelle materna e paterna. Se l'archetipo non viene compreso, percepito, elaborato ma solo negato e rimosso, secondo Jung il rischio che si palesa, allora, è quello di "una coscienza sradicata, disorientata nei riguardi del passato, completamente alla mercé di ogni suggestione, vale a dire praticamente disposta a soccombere alle epidemie psichiche".
L'attuale Notte del Mondo, discende da un'Opera al Nero permanente.