L'industria del cinema, specchio e avanguardia di questa società. Parte II: le produzioni
di Massimo Selis - 06/01/2023
Fonte: Giubbe rosse
Dietro le quinte del mondo dell’industria cinematografica: per comprendere più a fondo la nostra società. I personaggi che popolano quel mondo incarnano l’avanguardia tronfia e decadente dello spirito di questo tempo. Un universo compatto che si autoalimenta, si incensa, si premia e che si crede forte e inattaccabile. È allora tutto perduto? Niente affatto! Un cinema libero e diverso è possibile, ma forse occorre uscire dai binari.
Comprendere il cinema “dal di dentro”, venire a conoscenza dei suoi meccanismi, individuare il tratto distintivo delle persone che lo fanno e lo alimentano non è solleticamento per gli appassionati o i curiosi. È invece essenziale per chi vuole “leggere i Segni dei Tempi” e capire come agire nella società. Se allora non siete dei semplici curiosi, vi chiediamo di seguirci in questa nostra descrizione perché giunti alla fine forse si apriranno per voi scenari nuovi e impensati.
Oltrepassato il mondo delle scuole di cinema, di cui già abbiamo tratteggiato le ombre, vi è la vera e propria industria cinematografica, composta dalle produzioni, ma anche dall’organizzazione dei Film Market, delle sessioni di Pitch, dei Film Lab, dalle selezioni e giurie dei festival, senza tralasciare quella sezione a latere composta dalle commissioni del Ministero, dalle Film Commission e dagli altri enti deputati ad erogare i fondi necessari per la realizzazione delle opere. Qui, l’omologata avanguardia che germogliava nelle scuole e accademie, trova la sua completa fioritura. Il mondo del cinema appare come una grande nave che solca i mari. Chi non ha avuto l’accredito per imbarcarsi deve accontentarsi di guardarla da lontano. All’interno dell’imbarcazione vi sono solo persone selezionate e l’ambiente è fatto su misura per loro, al riparo da ogni contaminazione esterna.
È bene sottolinearlo nuovamente. Qui non si tratta solo di dar credito e cavalcare le disinvolte ideologie che mano a mano si confezionano lungo gli anni, ma di conformarsi ad un unico tipo umano, l’unico deputato a creare “arte”, ovviamente il virgolettato è d’obbligo. Essere completamente plasmati dallo spirito di questo tempo, che è un bel composto di progressismo, fluidità sentimentale e assenza di radici, disprezzo verso qualunque forma di pensiero tradizionale, con una nota specifica verso il Cristianesimo e tutto ciò che da esso consegue, idolatria dell’istruzione accademica, individualismo, mito del costruirsi da sé, esaltazione del successo e dei riconoscimenti mondani, un intrinseco sospetto nei confronti dell’altro, insomma una fede cieca nelle strutture che regolano l’attuale società, la quale è per sua natura ovviamente migliore di tutte quelle che l’hanno preceduta e al contrario un’ostilità nemmeno troppo celata per tutto ciò che oggi è considerato anacronistico, tradizionale, virtuoso, “non scientifico”, marginale e insignificante; ecco è questo il panorama umano che affolla i saloni della nave.
Se vi capitasse di entrare in un ufficio di una casa di produzione, di una commissione selezionatrice di un festival o su un set, vedreste questo angoscioso spettacolo. Non sarebbero necessarie nemmeno parole o commenti, perché respirereste nell’aria che siete entrati nel “perfetto regno di questo mondo”. E se voi sapete di non appartenervi, o vi ritenete dei cittadini troppo imperfetti di tal regno, ecco che sperimentereste una strana sensazione di inadeguatezza e poi di nausea e capogiro e cerchereste di uscire di corsa per respirare aria più pulita. L’immagine che forse vi toccherebbe maggiormente sarebbe quella di un gruppo di persone che si riconoscono reciprocamente come tutti appartenenti alla “parte giusta”, che è riuscito a costruire un suo spicchio di mondo in cui vi è posto solo per loro, solo per quel particolare tipo umano. Stesso linguaggio, stesse movenze, stesse ideologie, stesse aspirazioni, stesso immaginario.
Guardiamo ad esempio all’iter di un’opera cinematografica. Se un ancor sconosciuto autore si presentasse ad un produttore con un progetto che non tocca nessun “tema caldo”, che non sposa nessuna ideologia, che rifiuta le comuni “regole” di scrittura e di drammaturgia, che non ha un linguaggio diretto, immediato e naturalistico, il cui senso generale non arriva dritto allo spettatore, ma al contrario si apre all’evocativo e ad una dimensione che potremmo definire spirituale, ecco che il cammino del suo progetto terminerebbe in quello stesso ufficio. Nel migliore dei casi dopo una breve e cinica conversazione. Certamente il giovane autore potrebbe cercare altri produttori maggiormente sensibili, ma scoprirebbe ben presto che la sua ricerca è vana: cambiamo i nomi, ma la sostanza umana e culturale è la medesima. Potrebbe certamente provare altre strade, come il presentare la sua sceneggiatura a qualche concorso, ma finirebbe per scoprire che anche tutte quelle giurie sono della medesima casata.
Se al contrario il suo progetto rispettasse molti, se non tutti, i canoni sopra esposti, allora inizierebbe il lungo percorso che potrebbe portarlo a divenire un film compiuto.
Il produttore presumibilmente parteciperebbe ai bandi della Film Commission regionale dove sono previste le riprese del film. Annesse alla sceneggiatura ci saranno le varie relazioni tecnico-artistiche, che, a detta di molti, nell’esito pesano sovente più del copione stesso. Come a dire che una confezione ben impacchettata e infiocchettata conta più del contenuto. Se il primo scoglio venisse superato, ovvero il progetto ottenesse i fondi regionali, il produttore si attiverebbe presumibilmente per ottenere i fondi del Ministero. Anche qui, per i contributi detti “selettivi” si devono allegare diverse relazioni, che saranno visionate dalla commissione. Oltre a questi però il produttore può contare su alcuni fondi che vengono erogati in forma “automatica”, come il cosiddetto Tax Credit interno che altro non è che un credito di imposta che può andare a coprire il 40% dell’intero budget del film. Ora, ammettiamo che anche la commissione ministeriale abbia valutato con successo il film, a questo punto il produttore per trovare i fondi restanti può rivolgersi alle banche per avere un ulteriore Tax Credit, questa volta denominato “esterno”, può cercare una coproduzione internazionale che gli permetterebbe di ottenere altri finanziamenti pubblici europei e del Paese dell’altra Casa di Produzione. Può cercare di vendere i diritti televisivi e siglare un accordo per la distribuzione nelle sale che gli garantisca un anticipo. Può inoltre cercare finanziamenti dal mondo privato attraverso sponsorizzazioni e meccanismi affini. Questo, in estrema sintesi, un comune percorso che le opere compiono prima di essere messe in produzione; un percorso che può durare anche due o tre anni.
Sì, se molti non ne erano a conoscenza, dobbiamo qui ribadire che la maggior parte dei film non pensati per i grandi incassi, sono interamente finanziati con fondi pubblici o ad essi assimilabili. Il produttore non si prende alcun rischio, ma inizia la produzione dell’opera solo dopo aver coperto interamente il budget preventivato.
Ovviamente, nel lungo tragitto che un’opera deve fare perché si arrivi realmente su un set, le persone deputate a stabilire se essa meriti o meno i finanziamenti sono tutte “uniformate” a quel tipo umano che abbiamo già delineato. Non vi sono corpi estranei nell’ingranaggio. Così anche dopo, quando l’opera cerca una proiezione ai festival prima dell’uscita nelle sale. Selezionatori, direttori artistici, giurie, tanto dei più piccoli e sperduti festival di cortometraggio, che dei maggiori e conosciuti festival internazionali incarnano l’avanguardia tronfia e decadente dello spirito di questo tempo. Un universo compatto che si autoalimenta, si incensa, si premia e che si crede forte e inattaccabile: e all’apparenza, come dargli torto? Cambiano i governi – si fa per dire – cambiano le situazioni economiche e geopolitiche, ma il cinema prosegue immutabile lungo la sua traiettoria: storie, ideologie, forme, personaggi e tipi umani sono sempre gli stessi.
Non resta allora altro che accontentarsi delle poche pellicole che almeno superano il livello della decenza, o in maniera radicale non assecondare in alcun modo tale decadenza artistica e umana disinteressandosene apertamente e criticandola ogni qual volta se ne ha l’occasione?
Entrambe le scelte, in realtà, non portano a nulla. Esse nascono dall’individualismo, che è uno dei tratti distintivi di quel “tipo umano” che si vorrebbe combattere o perlomeno da cui ci si vorrebbe distanziare. Esiste un’unica strada per combattere il male di questa società: creare il bene. E, in questo caso, diremmo anche il Bello. Se le strade interne all’universo cinema sono impenetrabili per chi non è “dei loro”, la via è semplicemente quella di iniziare a creare cinema fuori da quei binari e radunare tutti quegli artisti e professionisti – sono pochi, ma ci sono – che si sentono chiamati a percorrere nuove strade. Ma per fare questo, lo sottolineiamo ancora una volta, bisogna uscire dai propri recinti mentali e sociali.
Se è nostro desiderio vedere Giustizia, Cultura e Bellezza riprendersi un po’ di spazio in questo mondo, è ora che comprendiamo che dipende solo e soltanto da noi. Un cinema libero e capace di elevare l’anima può esistere solo se noi lo facciamo esistere. Promuovendo, finanziando opere, creando scuole indipendenti, festival indipendenti e così via. Un passo alla volta, con piccole azioni possibili. Senza l’ansia di avere subito grandi risultati, ma con la consapevolezza che ogni azione di Bene resta.
La dissoluzione a cui sta andando incontro questo mondo – e gli ultimi anni lo hanno testimoniato con una chiarezza sconcertante – chiama ciascuno ad un cambio di rotta; al ripensare totalmente il proprio essere un cittadino, un uomo di questo tempo. Chiama a sollevarsi dall’individualismo, dove ognuno lavora per sé e inconsapevolmente contro gli altri, per raggiungere una dimensione più alta di coscienza in cui nessuno può più dire: “a me non riguarda”.
Se non sappiamo andare oltre la critica e la lamentela, se ci aspettiamo soluzioni che non stravolgano le nostre “piccole vite”, allora non siamo tanto diversi da coloro che critichiamo. Questo mondo sta cadendo a pezzi. È l’ora di unirsi e costruire. Ma prima dobbiamo accettare di entrare in crisi, di vedere anche la nostra vita andare in frantumi. Perché per un cinema diverso e nuovo, servono uomini nuovi, un pubblico nuovo, una nuova comunità. Un “piccolo resto”.
Dobbiamo aspettare la prossima crisi emergenziale, la prossima pseudopandemia per comprenderlo?
L’arte e il cinema devono essere liberati: attendono solo noi.