L’inferno del Capitale: la cupidigia e la dismisura
di Gennaro Scala - 06/09/2021
Fonte: Gennaro Scala
Dante è uno degli autori più citati da Marx nel Capitale, la cui introduzione si conclude con una citazione "creativa" della Divina Commedia, ma non solo per l’ammirazione per il capolavoro dantesco, vi è tra loro un’affinità di vedute profonda.
Dante vide chiaramente il carattere abnorme del proto-capitalismo della Firenze dei suoi tempi. L'Inferno è l'inferno del capitale e della cupidigia da esso generata. L’essenziale è contenuto nella nel Canto XVI dell’Inferno:
La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata
Merito di Enrico Fenzi è l’aver rintracciato nella canzone Doglia mi reca, l’esposizione dettagliata di tale dismisura che deriva proprio dall’analisi “economica” della società fiorentina, ispirata alle categoria di dismisura aristotelica avanzata nella Politica, secondo la quale nel perseguimento della ricchezza fine a se stessa , si perde il fine concreto del denaro quale mezzo di scambio, l’accumulazione come fine diventa virtualmente infinita, in questo senso il “movimento del capitale è senza misura”, osserva Marx riprendendo l’analisi aristotelica fondamentale per l'elaborazione d Il capitale (il capitalismo ha una lunga storia).
Peculiarità di Dante è di estendere il concetto di dismisura con la figura della cupidigia (che non è una figura psicologica) agli altri ambiti della vita sociale. Questo appare subito nel primo Canto con le tre fiere, personificazione una e trina della cupidigia, come Lucifero dai tre volti orrida parodia della Santa Trinità, tutte accomunate dalla dismisura nel senso suddetto: la cupidigia di potere e grandezza (il leone), la cupidigia di ricchezze (la lonza, è da accogliere tale tesi di Carlos López Cortezo, rispetto alla più tradizionale identificazione con la lussuria) e la cupidigia intellettuale impersonata dalla Lupa dalla “fame sanza fine cupa” (dismisura) che le riassume tutte. Massima espressione della cupidigia intellettuale, o volontà di potenza, è la figura di Ulisse.
Con tale estensione del concetto di dismisura al di fuori dell’ambito economico anticipa altre critiche radicali della civiltà europea-occidentale, quale quella di Heidegger, penso soprattutto alla critica della volontà di potenza nicciana, la parte più valida, a mio parere, del filosofo tedesco. Inoltre, Dante anticipa, proprio nel canto di Ulisse, nell’invettiva contro Firenze, il concetto di imperialismo derivato dal marxismo, ovvero espansionismo dettato dalla cupidigia di ricchezza.
Questa rapida sintesi di alcuni questioni trattate nel lavoro sull’Ulisse dantesco, che sto faticosamente portando a termine, per ricordare quanto sia ancora importante conoscere il nostro più grande poeta, di cui ricorre quest’anno il settimo centenario della morte, il quale vide chiaramente il carattere abnorme della società moderna che stava nascendo sotto i suoi occhi, con cui hanno dovuto fare i conti nel passato i nostri avi, con guerre dei trenta ai cento anni, guerre mondiali, bombe atomiche, lager, e instabilità costante e rivoluzionamento continuo della società. Carattere abnorme con cui dovremo ancora fare i conti nel futuro, come già dovrebbe essere chiaro a molti, e per la qual cosa può essere utile una rilettura della Divina Commedia.