L’informazione italiana funziona da gigantesca macchina influenzante
di Daniele Luttazzi - 18/05/2023
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Cercare di correggere l’oceano di cazzate che ogni giorno stampa e tv rovesciano sugli italiani è un’impresa improba. Troppo pochi quelli che si oppongono all’andazzo, perché se non ti adegui ci rimetti di brutto; la stragrande maggioranza dei sedicenti professionisti dell’informazione campa taroccando quotidianamente le notizie secondo agende prestabilite; e così impera il loro frastuono.
Da un anno, per esempio, i media embedded cercano di convincere l’opinione pubblica ad accettare certe conseguenze apocalittiche (la guerra della Nato contro la Russia) di cui l’apparato politico-militare Usa ha bisogno per i suoi fini geopolitici. Facile farti passare per complottista, se lo fai notare; ma la cronaca della guerra russo-ucraina dimostra che la micidiale macchina influenzante è una realtà.
Uso la definizione di “macchina influenzante” non a caso: la macchina influenzante è uno dei deliri persecutori più frequenti nei pazienti schizofrenici, che, proiettando all’esterno i propri dinamismi psichici, arrivano a immaginare un macchinario che ruba, modifica o influenza i loro pensieri (ne scrisse, agli inizi del secolo scorso, lo psicanalista Viktor Tausk). Inquieta che il complesso informativo nazionale funzioni come una gigantesca macchina influenzante: la realtà viene trasformata in una realtà psicotica.
Lo psicotico è angosciato e abulico: così ci vogliono? Vespa ha incontrato Zelensky sulla terrazza colonnata del Vittoriano, una scenografia degna di Patton, confezionandogli addosso la puntata (ha usato il panorama di Roma come fosse il plastico della villetta di Cogne).
C’erano pure Mentana, Maggioni, Molinari, Porro, Tamburini, De Bortoli e De Bellis. Spero non vi siate persi la vigorosa stretta di mano di Molinari a Zelensky (qui a 3’ 35’’: bit.ly/3IgnmgS): valeva 100 editoriali di propaganda bellica. Peccato non fosse commentata dal trillo di un registratore di cassa, sarebbe stata perfetta (satira: gli Agnelli-Elkann fanno affari d’oro con la guerra).
Nessuno dei direttoroni ha contestato a Zelensky la sua versione dei fatti: “La cosa importante è che parliamo delle cose pratiche, concrete; non proporre, come ha fatto la Russia, gli accordi di Minsk per attendere, riarmarsi e continuare l’occupazione”. Un rovesciamento interessante: secondo Angela Merkel (intervista al Die Zeit, dicembre 2022) gli accordi di Minsk furono un tentativo “di dare tempo all’Ucraina” di ricostruire la sua difesa. E se a far saltare gli accordi di Minsk non ci si fosse messo anche Zelensky, oggi non saremmo a questo punto.
Cosa c’è di più pratico e concreto di un cessate il fuoco immediato? Lo propone la Santa Sede, ma Zelensky non vuole, il suo piano è andare avanti con la guerra finché i russi non si ritireranno: “Noi crediamo nella vittoria”. Nessuno dei direttoroni gli ha fatto presente che questa è pura follia, erano troppo presi ad annuire: e così, con la macchina influenzante in azione, il folle diventa chi, sulla base di informazioni più realistiche (quelle di generali statunitensi e italiani), non crede alla propaganda.
Lo stratagemma più odioso è il ricatto morale. Al Parlamento tedesco, Zelensky rammentò la responsabilità della Germania nei crimini nazisti; da Vespa, ha ricordato gli aiuti che l’Ucraina ci diede agli inizi dell’emergenza Covid: come se la sua agenda militare fosse l’unica possibile e dissentire un’ingratitudine di cui vergognarsi.
Poi s’è incartato: “Putin non porta il vaccino: lui porta la malattia”. Un’allegoria infelice: tutti ricordano l’aiuto russo all’Italia in pandemia. “Se l’Ucraina cade, il passo successivo è la Moldova”, l’argomento del domino con cui gli Usa giustificavano la guerra in Vietnam; ma un cessate il fuoco non farebbe cadere l’Ucraina: fermerebbe la guerra, impedendone davvero ogni allargamento.
NON C'È DI CHE
Le battute del primattore Zelensky e le sue spalle comiche: Vespa e Maggioni.
Riassunto della puntata precedente: il complesso informativo nazionale funziona come una gigantesca macchina influenzante che obbliga spettatori e lettori al ruolo di psicotici, con conseguenze mentali e sociali che non dovrebbero essere sottovalutate. Nessuno dei direttoroni convocati da Vespa al Vittoriano ha contestato a Zelensky la sua versione dei fatti, neppure quando ha usato il vieto argomento ad baculum, la fallacia emotiva che cerca di convincere con la minaccia: “Se l’Ucraina cade, il passo successivo è la Moldova. Ci saranno poi i Paesi del Baltico. Sono Paesi Nato. Immaginiamo che Putin arrivi nei Paesi della Nato: voi dovrete mandare i vostri cittadini a fare questa guerra”. Ma se Putin avesse voluto attaccare dei Paesi Nato l’avrebbe già fatto; solo che non è scemo. E col cessate il fuoco proposto dal papa l’Ucraina non cadrebbe affatto: finalmente partirebbero i negoziati. Sugli aiuti italiani: “Senza la difesa anti-aerea avremmo avuto più morti”. Ma non ci sarebbe stato nessun morto con l’accordo proposto da Scholz cinque giorni prima dell’invasione (bit.ly/3BwTQQ0). L’avrebbero firmato Biden e Putin: Zelensky non accettò perché “non si poteva credere che Putin avrebbe tenuto fede a un accordo del genere” e “la maggior parte degli ucraini voleva far parte della Nato”. Eh? Se Vespa mi avesse invitato al Vittoriano (ah ah ah) (no, seriamente: perché Porro sì e io no?), questa sarebbe stata la mia domanda: “Zelensky, si è mai pentito di aver rifiutato l’accordo proposto da Scholz un anno fa che avrebbe evitato la guerra?”. E soprattutto questa: “Perché oggi ha sfanculato il papa?”. Era la notizia del giorno, ma Vespa e la Maggioni non l’hanno data (anzi la regia mandava di continuo la foto del papa che stringeva la mano a Zelensky, come fossero d’accordo), lasciando Zelensky a straparlare del suo impossibile piano di pace in 10 punti che la Meloni approva toto corde (fanculo il papa pure lei, così impara, a copiarle l’outfit): “Appoggiamo il vostro piano di pace in 10 punti e proseguiremo l’invio di armi perché possiate arrivare ai negoziati in posizione di forza. State facendo la guerra pure per noi, l’Ucraina vincerà”. No, draghetta Khy-ri: l’Ucraina non sta affatto “facendo la guerra pure per noi”, questo è solo lo slogan ripetuto dalla macchina influenzante per convincerci ad accettare il delirio pianificato. Ma invece di riportare il discorso sul piano della realtà, e fare a Zelensky domande vere su cosa cazzo sta combinando di concerto con gli Usa (che per fortuna lo stanno frenando, niente missili a lungo raggio; e Zelensky al Washington Post: “Non capisco quale sia il problema coi missili a lungo raggio”. Se vuoi te lo spiego io; o Porro); e invece di fargli seconde domande dopo le sue risposte evasive a base di fallacie emotive (la preferita da Zelensky è quella ad misericordiam, suscitare la pietà. Per sminuire il negoziato cinese esordisce così: “La cosa più importante è che noi abbiamo perso gente”); i direttoroni gli hanno retto il moccolo per tutta la serata come spalle che porgono la battuta al primattore. Per mandare in pezzi l’allucinazione della macchina influenzante sarebbe bastata una domanda vera, tipo quelle del Washington Post (“Da uno dei documenti del Pentagono trapelati sulla piattaforma Discord risulta che lei il 31 gennaio propose di occupare parti della Russia lungo il confine per una futura influenza nei negoziati. È vero?”, “I documenti indicano che l’Hur, la vostra intelligence, ha contatti segreti con il capo della Wagner, Prigozhin, e lei ne era a conoscenza. È vero?”). Finalmente avremmo visto Zelensky gettare la maschera di scena per rispondere a muso duro come al Post: “Il vostro obiettivo è aiutare la Russia?”. E Vespa avrebbe potuto rispondergli: “No, è fare giornalismo, che è diverso dal fare propaganda”.