L'invenzione di una epidemia
di Silvio Dalla Torre - 18/03/2024
Fonte: Silvio Dalla Torre
Nel febbraio del 2020, quando si registrarono i primi casi di Covid in Italia e vennero isolati alcuni piccoli comuni del Veneto e della Lombardia, Giorgio Agamben scrisse sul Manifesto un articolo dal titolo significativo : L’invenzione di un’epidemia.
L’autore, che fino al giorno prima era considerato uno dei più importanti filosofi del pianeta, venne immediatamente isolato dall’intero mondo intellettuale italiano, che lo trattò alla stregua di un rimbambito. Anche il giornale su cui era apparso l’intervento prese le distanze dal suo prestigioso commentatore. Il denigratorio epiteto di “negazionista” servì da allora a qualificare chi esprimeva dei dubbi sulla narrazione ufficiale e sulle politiche sanitarie messe in campo dal governo italiano (al nostro misero paese era stato assegnato il compito di battistrada) e poi, a ruota, da tutti gli altri governi dell’Occidente.
A distanza di quattro anni dagli eventi risulta evidente che l’articolo di Giorgio Agamben aveva colto perfettamente nel segno, soprattutto se diamo alla parola “invenzione” non il significato di “narrazione fantastica”, ma quello, etimologicamente più corretto, di “ingegnosa trovata”.
In effetti, tutto, nella vicenda dell’epidemia, è stato costruito in modo artificiale: il virus, che è stato realizzato in laboratorio e forse deliberatamente rilasciato; le misure intraprese ( i lockdown, la chiusura delle scuole e degli ospedali, l’uso delle mascherine, la vaccinazione di massa), che avevano poco a che fare con la salute dei cittadini e molto con l’ingegneria sociale; la mobilitazione del sistema mediatico, che ha profuso terrore a piene mani, censurando in modo ferreo ogni opinione divergente. Azioni di questo tipo presuppongono una lunga preparazione e una accurata pianificazione. Il fatto che la stragrande maggioranza delle persone abbia aderito sinceramente alla narrazione ufficiale non la rende meno falsa ed artificiale ma dà soltanto l’ennesima conferma che negli uomini alberga uno spirito gregario pronto a manifestarsi nei momenti di crisi.
Si è trattato, a conti fatti, di una delle intraprese più scellerate che la storia dell’umanità ricordi. Rilasciare un virus nocivo, relegare in casa per mesi milioni di persone, stravolgere il naturale corso della vita dei bambini e degli anziani, promuovere sistemi di cura inefficaci o nocivi ( in primis la vaccinazione ) e proibire quelli efficaci, istituire crudeli discriminazioni, estendere il controllo sulla vita dei singoli a livelli impensabili: queste non sono barzellette, sono dei crimini contro l’umanità. Oltre a provocare, in modo diretto o indiretto, milioni di morti, lasceranno una traccia indelebile nella mente e nella psiche di milioni di persone.
A distanza di quattro anni dall’articolo di Agamben dobbiamo purtroppo prendere atto che gli obiettivi di chi ha promosso questa terribile svolta sono stati raggiunti. L’epidemia non ha soltanto velocizzato di due decenni il processo di digitalizzazione che era gia in corso, ma ha avuto anche altre conseguenze. Sono state sdoganate pratiche di governo, fino a poco fa ritenute inaccettabili, come sospendere la libertà di movimento, imporre col ricatto trattamenti sanitari, censurare preventivamente le opinioni degli oppositori e bloccarne i conti bancari, sottrar loro il lavoro, controllare elettronicamente gli spostamenti dei singoli, calpestare il diritto allo studio e alla cura. Non dobbiamo farci illusioni al riguardo. Per quanto si sia apparentemente tornati alla normalità, nulla garantisce che in un prossimo futuro pratiche di questo tipo, col pretesto di nuove emergenze, vengano reintrodotte.
In questo senso la svolta promossa dall’epidemia è stata di lunga portata.