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L'Isis e i suoi mandanti

di Alfio Neri - 12/11/2016

L'Isis e i suoi mandanti

Fonte: Arianna editrice

 

 

 

Da tempo l’ISIS ha ormai invaso i notiziari mondiali. Notizie inquietanti e video di buona qualità riempiono le nostre serate in famiglia. La telenovela iniziò con un feroce tiranno che reprimeva un popolo pacifico e democratico. In seguito gli oppositori cominciarono a farsi filmare mentre sgozzavano i preti.  Nei filmati questi atti erano osannati da plaudenti di oppositori del tiranno. L’anno seguente i democratici passarono a videoclip di prigionieri fucilati o, talvolta, fatti bruciare vivi in ampie gabbie. La loro colpevolezza si intuiva. Vestivano tutti un elegante tutino arancione da operai dell’ANAS. Ultimamente siamo entrati in una nuova fase: oggi dobbiamo difendere i bambini e i terroristi buoni di Aleppo per impedire la vittoria dell’esercito siriano.

Per anni siamo stati bombardati da notizie, mentre nello stesso tempo, è mancata una vera comprensione degli eventi. Nonostante la tempesta mediatica non è mai stato offerto un apparato analitico capace di andare oltre a una superficiale risposta emotiva. Il libro di Paolo Sensini colma questa lacuna. In merito alla letteratura critica in lingua italiana, si tratta di un lavoro assolutamente unico. L’apparato di informazioni è enorme (vi sono quasi 1.300 note). Queste fonti sono tutte accessibili e focalizzano molte connessioni altrimenti oscure.

La tesi di fondo è semplice. Quando sono esplose le Primavere Arabe, in Siria la rivolta è stata largamente teleguidata. Fin dal primo momento alcuni stati della regione hanno puntato a un intervento armato che doveva prendere la forma di un’insurrezione popolare. Si è trattato di un’operazione coperta di dimensioni gigantesche cui obiettivo era la costruzione di un’entità statale mussulmana e integralista, fatto sulle ceneri dell’ultimo stato laico della regione.

Dietro questo obiettivo c’erano altri attori statali, uniti dai motivi più disparati. Alcuni pensavano di trarre un profitto materiale dalla destabilizzazione della Siria (per esempio la Francia). La Turchia di Erdogan cercava di formalizzare una politica estera neo-ottomana. Il Qatar aveva in progetto un gasdotto fra il Golfo Persico e il Mediterraneo. Israele voleva balcanizzare la regione in molti microstati. Gli Stati Uniti volevano eliminare l’ultimo alleato dei russi nella regione, privandoli dell’unica base nel Mediterraneo. L’Arabia Saudita che puntava alla costruzione un nuovo stato islamico e integralista. Sperava di ottenere, oltre all’egemonia politica sulla regione, anche l’egemonia religiosa, imponendo la corrente Wahhabita sulle altre correnti di religiose islamiche. Questo gioco di interessi nascosti e di strategie incrociate domina molte connessioni altrimenti inspiegabili. Segnalo come illuminante il capitolo su chi posta le notizie su scala mondiale riguardanti l’ISIS[1] (pp. 35-43). È molto importante ciò che sta dietro al caso dei gas neurotossici di Ghouta del 2013[2] (pp. 9-17). Segnalo infine la parte che riguarda il rapporto secolare fra la casa di Saud e la corrente islamica rigorista dei Wahhabiti[3] (pp. 151-171).

Il tentativo di dissolvere la Siria è stato portato avanti impiegando enormi risorse materiali. Dalle frontiere turche e giordane è attiva, da anni, una rete logistica che serve per armare, alimentare e amministrare le terre “liberate” dall’ISIS e dai cosiddetti moderati[4]. Dietro tutto questo meccanismo ci sono i grandi finanziatori cioè l’Arabia Saudita e il Qatar. Si tratta di due attori politici di primo piano che, in questa operazione, si giocano l’egemonia politica nel mondo arabo e l’egemonia religiosa nel mondo islamico. Al loro fianco troviamo gli Stati Uniti che li ha supportati perseguendo propri obiettivi. Questi erano l’eliminazione dell’ultimo alleato dei Russi nella regione e la costruzione di uno o più stati falliti, magari su base confessionale. In questa ottica più grande poteva anche essere sunnita e integralista. Questi aspiranti entità statali avrebbero dovuto essere in conflitto fra loro e incapaci di difendere i propri diritti nazionali, come quelli relativi ai giacimenti di gas nel Mediterraneo.

Va notato che questa strategia di destabilizzazione regionale, per il momento, sembra essere fallita. La maggioranza dei siriani ha sempre vissuto nelle aree controllate dal governo di Damasco. Nonostante le decine di migliaia di volontari stranieri, l’esercito regolare siriano ha in genere conservato l’iniziativa strategica. Quando nel 2013 ha rischiato il collasso, l’intervento russo ne ha impedito la caduta e ha permesso la riconquista di molte aree perdute.

Tutto lascia pensare che non finirà qui.

Paolo Sensini, ISIS. Mandanti, registi e attori del “terrorismo internazionale”, Arianna Editrice, 2016.

[1] I video prodotti dall’ISIS provengono da SITE (Search for International Terrorist Entities) che ha sede a Bethesda un sobborgo di Washington DC. Queste immagini sono rese televisive dal montaggio che è fatto in questa sede; la loro distribuzione avviene su scala mondiale. In sintesi l’ISIS per anni ha diffuso i suoi videoclip grazie alla “cortesia” di enti vicini ai servizi segreti statunitensi.

[2] Si è trattato di un tentativo fatto dagli insorti islamici di provocare un intervento internazionale a loro favore, incolpando l’esercito regolare siriano. Il pronto intervento diplomatico russo impedì la formazione di una nuova coalizione internazionale.

[3] Una parte del revival islamico degli ultimi trent’anni è finanziato dall’Arabia Saudita e risponde alle sue esigenze politiche. In questo caso il politicamente corretto impedisce di dire le cose come stanno.

[4] La principale organizzazione “moderata” è Jabbat Fatah al-Sham che l’è erede di al-Nusra, a sua volta, filiale siriana di al-Qaeda, l’autrice dell’attentato alle torri gemelle dl 2011. Quelli che hanno abbattuto le torri gemelle, per gli Stati Uniti, sono i moderati.