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L'Italia subalterna e la pace di Putin

di Mario Adinolfi - 27/12/2024

L'Italia subalterna e la pace di Putin

Fonte: Mario Adinolfi

Da tre anni scrivo che la guerra tra Russia e Ucraina, figlia di fatti avviatisi nel 2014, andava chiusa aprendo subito un negoziato perché l’idea di piegare Putin militarmente o con le sanzioni economiche è illusoria: solo Draghi poteva vendercela e noi bercela complice un sistema dei media unanime. Lo capì il Papa che andò subito a bussare alle due ambasciate e fece tenere la croce nella via crucis dell’aprile 2022 a una donna russa e a una donna ucraina, causando la forte protesta di Zelensky. Che era tra i pochi, insieme alla filiera di produzione e vendita e distribuzione di armi pesanti foraggiata con 500 miliardi di dollari dalla dottrina Biden-Von der Leyen, a cui la guerra conveniva.
Ho scritto inventando possibili soluzioni (credo ricordiate l’insistenza su quella cipriota), chiedendo al governo di Roma si svolgere un ruolo e all’opinione pubblica anche italiana di aver chiaro che le conseguenze le stavamo pagando anche noi con un’inflazione del 17% triennale che ha stuprato il potere d’acquisto di stipendi e salari oltre a un costo del denaro decuplicato che ha penalizzato le imprese e fatto triplicare i ratei di mutui e prestiti. La guerra ha piegato noi e non Putin, lasciando in eredità una politica di riarmo senza senso che ci costerà decine di miliardi nel breve e medio periodo. Tutto questo per cosa? Per ritrovarci con un quadro internazionale cambiato, anche questo pronosticabile da anni, che farà fare nel 2025 quel che andava fatto nel 2022. Zelensky ammette che non può riprendersi il Donbass e l’avvio dei negoziati lo abbiamo fatto decidere a Putin, che propone da ieri la Slovacchia di Fico.
Nel 2025 la pace si farà e la decideranno Putin con Trump, Roma si accoderà e conterà meno di Bratislava, segnalando una volta di più la sua irrilevanza mentre cresce il potere di molti Stati piccoli e grandi, dall’Ungheria alla Turchia. L’Italia resta ai margini nonostante avesse in Costituzione il principio per cui la guerra va ripudiata come soluzione delle controversie internazionali. Invece l’alimenteremo ancora domani votando il decimo decreto di invio di armi all’Ucraina, perché così ci è stato ordinato di fare dalla Von der Leyen. Intanto Macron si fa fotografare mentre stringe la mano al ministro degli Esteri russo, Lavrov, facendo capire che ha capito: tutto è cambiato rispetto a quando diceva di essere pronto a mandare soldati francesi a combattere in Ucraina, per aggiungerli a un massacro inutile di mezzo milione di persone che sarebbe stato evitato con un referendum nel Donbass simile a quello tenuto in Crimea o riconoscendo i risultati di quelli che si sono svolti.
Tanto l’esito sarà lo stesso, il Donbass non tornerà mai sotto il controllo di Kiev, ormai lo dice chiaramente anche Zelensky così come di trattative di pace in Slovacchia parla apertamente Putin. Erano parole chiare che poteva usare la Meloni, se non avesse scelto il ruolo di mostrarsi “affidabile” presso chi fa girare la giostra. Non escludo che il riposizionamento filotrumpiano in atto non riesca alla nostra premier, si sta dimostrando abile in questi trasformismi. Il problema è che l’Italia si mostrerà per quel che è, un’obbediente vassalla e non era così con Moro o col governo Cossiga che rifiutava di boicottare le Olimpiadi di Mosca, con Andreotti o con Craxi che mandava i carabinieri a circondare i Marines a Sigonella.
La Slovacchia tutta intera ha meno abitanti del Lazio, ma il cuore d’Europa s’è spostato là e la Caput Mundi vede tutte le strade allontanarsi da Roma, specie la strada della pace. Non è una questione di orgoglio nazionale, la subalternità ha conseguenze pratiche, la paghiamo tutti noi e ce lo spiegava bene Dante oltre sette secoli fa “come sa di sale lo pane altrui e com’è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Certo, lo slovacco Fico per disobbedire alla dottrina dominante s’è beccato cinque proiettili in corpo il 15 maggio scorso e il 13 luglio toccò a Trump rimanere solo ferito per tre centimetri di mira sbagliata dalla pallottola destinata al suo cranio, per non parlare del golpe elettorale in Romania o di ciò che accade in Georgia. In effetti anche Moro e Craxi, Cossiga e Andreotti hanno pagato cara la loro indipendenza. Insomma, l’autonomia come la pace hanno sempre un prezzo. Intervenendo per tempo se ne sarebbe pagato uno minore, perché tutto era chiarissimo, svolgimento ed esiti, già tre anni fa. Quando lo scrivevo, beccavo regolarmente l’accusa di essere filoputiniano. Ora gli stessi che accusavano, si faranno dettare i tempi del negoziato di pace da Putin in persona, che ha già cominciato a farlo. Si sbagliavano su tutto, imbambolati dai Draghi di turno, bisogna solo distinguere tra chi era almeno in buona fede e chi no.