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L’Italia? Un Paese da punire, epurare e rieducare

di Francesco Lamendola - 28/09/2019

L’Italia? Un Paese da punire, epurare e rieducare

Fonte: Accademia nuova Italia

Domenica mattina, a Padova, una donna di trentanove anni, laureata in giurisprudenza a Bologna ma da quattro anni emigrata a Oxford, dove fa la cameriera, si è avvicinata a un banchetto della Lega e, riprendendosi col telefonino, ha ricoperto d’insulti, per parecchi minuti, i presenti, ripetendo con tono aggressivo, più e più volte: Questi sono i fascisti di Padova, questi sono quelli che odiano gli ebrei (...), quelli che stanno rovinando questo paese. Fascisti, antisemiti. Io vivo all'estero, voi siete la vergogna e la barzelletta di questo Paese. Poi ha sputato in faccia al consigliere leghista e Presidente della Commissione regionale della Santità, Fabrizio Boron, dopo di che se n’è andata. Il giorno dopo, resasi conto di rischiare una denuncia penale, si è detta pentita, ha chiesto scusa e ha qualificato il suo atto come una sciocchezza; ma i video che l’hanno ripresa e che sono visionabili in rete non mostrano per niente una persona incerta o insicura, bensì estremamente decisa e quanto mai convinta del suo buon diritto d’insultare a piena gola quegli orribili compatrioti reazionari, trogloditi, incivili, nei confronti dei quali non si può che provare imbarazzo e vergogna, specialmente se si vive all’estero.

Qualcuno, forse, cercherà di capire e di spiegare perché una quarantenne, che non è riuscita a trovar lavoro in Italia nonostante possieda una laurea “pesante”, e che ha dovuto andare all’estero e adattarsi a fare un mestiere assai modesto e che non c’entra nulla coi suoi studi, sia animata da sentimenti di rabbia così forti nei confronti della Lega e perché, per esempio, non ce l’abbia affatto col PD, che pure, in un modo o nell’altro, ha governato per anni e continua a governare, benché non abbia vinto alcuna elezione e non sia neanche il partito di maggioranza relativa, piazzando i suoi uomini chiave nello Stato profondo, nella pubblica amministrazione, nella magistratura, nei sindacati, nella scuola e nell’informazione. Certo è curioso che la rabbia sociale esista, eccome, però, non di rado, prenda la strada dell’odio viscerale contro le forze di centro-destra e non contro quelle di centro-sinistra che pure, nella distruzione del sistema sociale e dell’economia italiana, qualche responsabilità ce l’hanno di sicuro, eppure continuano a rivolgere gran parte dei loro sforzi e delle loro attenzioni ai migranti, da un lato, e alla conquista di sempre nuovo “diritti civili”, come l’adozione di bambini da parte delle coppie gay, dall’altro. Qualcuno, dicevamo, forse proverà a rispondere a questa domanda, che è d’importanza capitale per capire come mai il Paese reale e il Paese ufficiale continuino a viaggiare su due binari distinti, che non s’incontrano mai. Qui ci limitiamo a svolgere una breve riflessione sull’atteggiamento del “popolo di sinistra” che non si limita a dissentire dalle proposte politiche del sovranismo, ma che vede in esso, né più, né meno, una riedizione del fascismo, con l’aggravante di una componente razzista sconosciuta, per intensità e veemenza, perfino al fascismo stesso, e quindi una sorta di male Assoluto, che bisogna prendere d’assalto e distruggere a qualsiasi costo. Anche se, lo dicono le cifre delle ultime elezioni e lo confermano tutti i sondaggi, partiti e movimenti ispirati al sovranismo, cioè la Lega e Fratelli d’Italia, raccolgono amplissimi consensi e sarebbero in grado di governare il Paese, se il muro di gomma dello Stato profondo, la finanza, il Vaticano, i mass-media e la BCE non vi si opponessero strenuamente e, finora, con successo.

In altre parole, la domanda che vogliamo farci è la seguente: da dove viene, alla cultura politica della sinistra, l’idea che gli italiani che non votano per la sinistra, né simpatizzano per essa, e che sono, e sono sempre stati, nettamente in maggioranza nel Paese, non meritano che compassione, disprezzo e sputi in faccia, e che con essi non valga la pena discutere, né mostrare in che cosa sbagliano, ma sia giusto e lecito passare direttamente agli insulti, alle offese, allo sberleffo, alla calunnia e al dileggio? Come mai i progressisti, che si sentono i soli custodi dell’idea democratica, sono così privi di mentalità democratica quando si devono confrontare con gli altri, e trovano del tutto normale trattarli come se non avessero neanche il diritto di esistere?

Il complesso da primi della classe, i progressisti l’hanno sempre avuto, e non solo in Italia. La cosa si spiega abbastanza facilmente: poiché l’essenza del progressismo consiste nell’affermazione che il nuovo è sempre migliore del vecchio e che i cambiamenti sono sempre migliori della tradizione, anzi che sono assolutamente indispensabili, perché chi resta nella tradizione è perduto e solo nel cambiamento ci sono la vita e la speranza per il domani, è logico, anche se in realtà è assurdo, che i progressisti si sentano i soli legittimati moralmente e politicamente a governare, perché loro soltanto sanno e vogliono introdurre i necessari cambiamenti, mentre se si lasciasse fare ai loro antagonisti, legati in un modo o nell’altro alla tradizione, tutto andrebbe a rotoli e sarebbe la rovina generale. Ciò, sia detto fra parentesi, vale anche nel particolare ambito della religione cattolica, dove i cattolici progressisti sono animati da sentimenti di superiorità riguardo a se stessi, e di totale dispregio nei confronti dei loro correligionari (che a stento riconoscono come tali) legati alla tradizione: tant’è vero che i cattolici progressisti parlano più del Concilio che del Vangelo, e più di Bergoglio che di Gesù Cristo; e tuttavia sono certi, certissimi, di essere loro i “veri” cristiani e i soli interporti dell’”autentica” Lieta Novella. Il progressismo è il figlio prediletto della modernità: nasce con l’illuminismo, nel XVIII secolo (preparato, se vogliamo, dalla cosiddetta rivoluzione scientifica e dal libertinismo del secolo precedente, e prima ancora dal Rinascimento, sdegnosa reazione contro il medioevo cristiano) e da allora si è sempre posto come la guida sicura della società grazie ai “lumi” speciali dei quali dispone; mentre, senza di esso, l’umanità ripiomberebbe ipso facto nelle tenebre e nel caos della superstizione.

Il caso dell’Italia, tuttavia, è un caso a parte. L’Italia ha “inventato” il fascismo, e il fascismo, guarda caso, è uscito dalla cultura politica della sinistra, cosa che i signori della sinistra non possono perdonargli, e che cercano in tutti i modo di ignorare, facendo finta che non sia così, o che si tratti di una strana e inspiegabile coincidenza. Invece non c’è nulla di strano nel fatto che l’inventore del fascismo, Benito Mussolini, venisse dalle file dell’estrema sinistra, in cui aveva sempre militato con il massimo zelo e con tutto l’ardore di una giovinezza rivoluzionaria. Il fatto è proprio questo: che Mussolini, di fronte a un evento sconvolgente come la Prima guerra mondiale, vide e misurò tutta l’insufficienza, tutta la verbosità, tutta l’ipocrisia e la malafede di una cultura di sinistra che pur di dare ragione a se stessa preferiva dare torto alla gente comune e al semplice buon senso, e ne trasse le più rigorose conseguenze. Il movimento da lui fondato è quindi un prodotto della sinistra, che dalla sinistra prende le distanze perché ha preferito andare a lezione dalla vita stessa piuttosto che dai boriosi professori della sinistra ufficiale, gonfi di retorica, di supponenza, della pretesa di saper spiegare tutto ma, ahimè, solo nel regno delle parole. La prova? Nel 1919-20 la sinistra ha goduto di un consenso quale, in Italia, non aveva mai avuto prima e mai avrebbe avuto in seguito: e che sinistra! Una sinistra che parlava apertamente di rivoluzione, che occupava le fabbriche a mano armata, che imponeva la sua legge nelle campagne, che assumeva o licenziava i lavoratori secondo il suo talento, e che era sicura di marciare per il verso giusto della Storia, specie dopo gli avvenimenti di Russia del 1917. Ebbene, che cosa fece, la sinistra italiana, di tutto quel consenso, di quella forza, di quella carica rivoluzionaria? Nulla, assolutamente nulla. Si limitò a chiacchierare, a blaterare, a riempirsi la bocca di vuote formule, di sterili ritornelli; e intanto il Paese scendeva, un gradino dopo l’altro, verso l’abisso. C’era uno sciopero al giorno, la crisi economica falciava i posti di lavori, i risparmi andavano in fumo, il malcontento cresceva a vista d’occhio, i reduci non trovavano un posto, anzi, non trovavano neppure un’accoglienza civile, ma erano accolti con insulti e sputi (corsi e ricorsi storici, direbbe il buon Vico), insomma l’Italia era sull’orlo del baratro, e mancava pochissimo perché vi precipitasse irrimediabilmente. A quel punto si fecero avanti i fascisti e con rabbia, con brutalità, ma anche con le idee terribilmente chiare, presero in mano la situazione e raddrizzarono il carro, un istante prima che si sfasciasse; lo rimisero sulla via, lo indirizzarono verso la destinazione giusta; ridiedero fiato all’economia, incoraggiarono l’impresa, risollevarono il morale degli scoraggiati, aprirono nuovi orizzonti alla speranza creando posti di lavoro, premiando l’intraprendenza e il merito e spazzando via senza pietà il parassitismo, il clientelismo, gli intrallazzi della massoneria e le chiacchiere dei rivoluzionari da salotto della sinistra. Poi, si sa cosa successe: ci fu il regime, ci fu la guerra, ci fu la sconfitta; e i vinti del 1920 tornarono alla ribalta, e riconquistarono spazio nella società, con le mani sporche di sangue di una guerra civile in confronto alla quale la presa del potere da parte dei fascisti, venti anni prima, era stata quasi un gioco all’acqua di rose. Per prima cosa, essi vollero epurare l’Italia da ogni residuo del fascismo e da ogni memoria storica; e lo fecero alla grande. Per settant’anni, non c’è stato studente italiano che non abbia sentito parlare del delitto Matteotti e della strage dei fratelli Cervi, come casi esemplari della “barbarie” fascista; e che, in compenso, abbia mai sentito dire che a guerra finita i partigiani comunisti massacrarono circa 30.000 persone inermi, e che né l’attentato di Via Rasella, da cui scaturì la strage delle Fosse Ardeatine, né l’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, si possono in alcun modo qualificare come atti gloriosi della Resistenza. Sulle foibe, sulla strage di Porzus, sulla strage di Oderzo, sulla strage di Schio, sulla strage di Mignagola, sulla strage di Codevigo, silenzio assoluto, così come su quello di cento e cento altre. La scuola e la cultura, egemonizzate dalla sinistra, hanno avallato questa visione manichea della recente storia italiana, e, con essa, hanno introiettato il senso di colpa per avere l’Italia creato il fascismo, e appestato il mondo con i suoi mortiferi bacilli. Va da sé che gli italiani, se non sono di sinistra, hanno tutto da farsi perdonare; e tuttavia non mostrano sufficiente contrizione, non paiono abbastanza mortificati e convinti di avere una colpa storica da espiare: di qui la rabbia e la frustrazione crescente della sinistra. Ma come, anche dopo aver avuto il fascismo, gli italiani restano “fascisti” nell’anima? Perché per i compagni del PC, poi PDS, poi PD, chiunque non sia dalla loro parte non può essere che un fascista, aperto o mascherato, e come tale meritevole del più assoluto disprezzo. Disprezzo infinito meritava la DC (non parliamo del MSI: quello avrebbe meritato il rogo), disprezzo il Polo delle Libertà, e ora disprezzo la Lega e Fratelli d’Italia… Non si deve perdere tempo a discutere con simile gentaglia, bisogna solo sputar loro in faccia. Come ha fatto la signora Claudia Esposito in quel di Padova, domenica 22 settembre 2019. Gli italiani che non sono di sinistra devono essere epurati, rieducati, costretti a rinsavire, con le buone o le cattive.

Questo concetto è stato mirabilmente sintetizzato dallo storico Ugo Finetti nel suo libro La Resistenza cancellata, riferendosi alla politica di Togliatti all’indomani del suo rientro in Italia e della “svolta di Salerno”; ma in effetti, è un concetto che si può benissimo estendere a tutto lo schieramento progressista, anche indipendentemente dai limiti strettamente politici del discorso, perché investe un atteggiamento psicologico e culturale che è sempre lo stesso e non cambia (Milano, Edizioni Ares, 2009, p. 305):

 

Anche con la partecipazione di non comunisti, in quel periodo al Pci fanno capo un centinaio di brigate Garibaldi, e una decina di Gap, a cui si aggiungono alcune decine di Sap (Squadre d’azione patriottiche) operanti in fabbriche e villaggi. Il loro obiettivo – nei piani di Togliatti, Longo e Secchia – non è la rivoluzione, ma l’epurazione.

Tutta la politica di Togliatti è cioè rivolta a “epurare” l’Italia e gli italiani. Tale mentalità stalinista e internazionalista avvicina i comunisti che vengono da Mosca ai militari alleati più estremisti e spiega anche l’intesa che Togliatti, sbarcando a Napoli, ha stabilito con determinati settori anglo-americani: per tutti loro l’Italia è un Paese da punire, epurare e rieducare.

 

Punire, epurare, rieducare. Ecco le tre parole chiave che la sinistra ha in mente, quando si trova alle prese col vicolo cieco cui è costretta da sempre: sentirsi la parte migliore della nazione, la più onesta, la più illuminata, la meglio intenzionata, e tuttavia essere irrimediabilmente minoranza, e aver a che fare con un popolo ribelle, di dura cervice, che non la vota, che non la vuole, che non si fida delle sue infallibili ricette. Aver a che fare con un popolo così miserabile, così arretrato, che a uno Zingaretti preferisce Salvini, e a un Renzi preferisce una Meloni… Certo, è dura da mandar giù: mettiamoci un po’ nei loro panni, per favore. Si sono sempre affannati per il bene dell’Italia, sia sul piano interno che su quello internazionale; hanno sempre governato benissimo; hanno sempre avuto le idee migliori, le più brillanti, le più risolutive, e poi devono fare i conti con questa massa di sanfedisti, di retrogradi, di cavernicoli, che li snobbano allegramente e se ne infischiano se l’Europa di Bruxelles ha fiducia solo in loro: anzi, che questo fatto (inaudito!) non lo apprezzano per niente...