L'Occidente e i boscimani
di Guido Dalla Casa - 02/09/2021
Fonte: Arianna editrice
Ho sempre avuto simpatia per il popolo San, che gli europei hanno battezzato “Boscimani” (gli uomini della boscaglia), soprattutto da quando ho saputo che sono stati considerati, da molti antropologi degli ultimi due secoli, i più “arretrati e primitivi” fra gli umani, con basso quoziente intellettivo: quindi si possono trattare come schiavi, almeno fino a quando non arriveranno “al nostro livello”. Ora i San non esistono più come cultura: sono soltanto un’etnia, come la maggior parte delle popolazioni native, fagocitate e distrutte dalla nostra invadente civiltà.
Il concetto di intelligenza, e gli standard di valutazione, sono del tutto relativi al modello culturale di riferimento. Come esempio, è piuttosto evidente che, se si fosse potuta fare una "gara di intelligenza" con un criterio scelto da loro, sarebbe saltato fuori qualcosa di simile a questa prova: “Caro uomo bianco, andiamo, a piedi, senza viveri, né scorte, né armi, poi ci troviamo fra un mese al di là del Kalahari”. Nessun occidentale potrà mai riuscirci.
I Boscimani sono stati etichettati come “estremamente primitivi”, forse basandosi sul loro “tenore di vita”, un concetto inventato solo per far lavorare le nostre fabbriche.
I San sono nel Kalahari da almeno 30-40.000 anni, e forse molto di più: inoltre sono di origine mongoloide (come gli ex-Ottentotti), non negroidi, e non abbiamo la più pallida idea di come abbiano fatto a trovarsi nell’Africa del Sud. Tra l’altro, non risulta che abbiano mai fatto una guerra, e scusate se è poco. Almeno fino a quando hanno potuto conservare la propria antica cultura.
Qualche “genio” mi chiederà se sono disposto a vivere come un Boscimane, ma probabilmente costui pensa che ognuno di noi è ben distinto da quanto gli sta attorno: non si rende conto che la sua premessa è una conseguenza del “Cogito. Ergo sum” di Cartesio, cioè dell’esistenza di un ego autonomo e separato da quanto lo circonda. Siamo l’Occidente, anche se la pensiamo diversamente a livello razionale, mentre i Boscimani erano il Kalahari, come gli Eschimesi erano l’Artide e gli Yanomami erano (o sono ancora?) la foresta.
Recentemente mi è capitato di leggere uno scritto di un antropologo (Matteo Bucalossi, Esistenza e cultura ecologica dei San, 2014). Eccone le conclusioni:
Questo saggio ha esposto lo stile di vita del popolo San, quello dei cacciatori-raccoglitori,
adottato dalla nostra specie per innumerevoli millenni, e le conoscenze necessarie alla
sopravvivenza in un ambiente desertico, che questa popolazione ha raccolto e trasmesso
nei secoli ai propri discendenti. Questa gente così legata e rispettosa del territorio e degli
altri insegna come lʼadattamento ad una delle condizioni naturali più difficili e aspre della
Terra sia stato raggiunto attraverso unʼevoluzione culturale, caratterizzata da pratiche
altamente specializzate e da una conoscenza ecologica ricchissima, mantenuta grazie alla
trasmissione informale tra i membri del gruppo. Il dato davvero impressionante è come
questa modalità di vita sembrerebbe di primo acchito una delle più dure e faticose da
sopportare, mentre studiando effettivamente popolazioni come i San si scopre come sia
invece preferita e preferibile rispetto ad altre, dato che il tempo dedicato al lavoro è
pochissimo rispetto a quello impiegato da agricoltori e allevatori, dando così la possibilità
di dedicarsi ampiamente ad attività socio-culturali, e che le risorse alimentari, soprattutto
quelle vegetali fondamentali, sono davvero più che sufficienti per condurre unʼesistenza
tranquilla nel deserto del Kalahari. Questa capacità di usufruire con estremo successo
delle risorse naturali disponibili deriva in gran parte dallʼacutissima intelligenza che i San
impiegano nel riconoscere specie vegetali e nellʼindagare i comportamenti animali,
invidiata perfino dai migliori scienziati occidentali per lʼobiettività, precisione e vastità dei
dati ottenuti. Ciò costituisce la prova che molte volte vivere in assoluta intimità con la
Natura e con ciò che essa offre allʼuomo produce una cultura stabile e complessa, che
permette al popolo di sopravvivere nel suo ambiente ed anzi lo spinge anche oltre, ad
arricchire sempre più il proprio bagaglio di conoscenze e a rispettare la propria fonte di vita, con un approccio ecologico esemplare per la specie umana intera.”
Le basi della dieta dei San erano comunque costituite da frutti, bacche e radici del deserto, cioè erano più raccoglitori che cacciatori.