L’Occidente è il ritratto di Dorian Gray
di Marcello Veneziani - 17/12/2023
Fonte: Marcello Veneziani
L’Occidente odierno ha stretto un patto col diavolo: per salvaguardare la sua vitalità e la sua giovinezza perenne ha scaricato la decadenza, i malanni e le negatività sulla rappresentazione storica di sé, sul suo ritratto di civiltà. Tutte le brutture del suo presente le attribuisce infatti al passato da cui proviene, alla sua storia, alla sua tradizione, alle sue radici. Il passato è diventato il suo capro espiatorio, la sua bad company, il rovescio negativo di cui vergognarsi e a cui attribuire tutti i mali presenti: la guerra e il razzismo, la xenofobia, l’omofobia e il maschilismo, la società patriarcale, gerarchica e familista. Esorcizza i suoi mali e la sua vecchiaia attribuendoli al suo passato infame, coloniale, misogino e suprematista, in un rito d’accusa contro il suo passato, da correggere e da cancellare. Due parole usate non a caso: tutta la cancel culture, nonché la solerzia di correggere le brutture della storia e le storture della realtà, il canone woke, sono il tentativo di scaricare sulla rappresentazione storica di sé, sulla propria cultura e civiltà di provenienza, il male di cui patisce il mondo oggi.
Liberato dal fardello della sua identità, l’Occidente potrà muoversi finalmente affrancato ed emancipato dagli orrori, nel suo orizzonte radioso di progresso, liberazione ed inclusione. Tutto regge sull’illusione che a invecchiare e degenerare sia il suo ritratto storico, mentre sia messa in salvo la sua figura e la sua sorte nel presente, libera di seguire i suoi desideri e vivere una permanente giovinezza. Stiamo parlando dell’Occidente nel nostro tempo ma a ben vedere è la trama precisa del celebre romanzo di Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, uscito nel 1890 e diventato il manifesto del decadentismo, del vitalismo e della bellezza illusoria. Ma quell’opera è soprattutto il manifesto del narcisismo, oggi del selfie made man, cioè di chi si autoritrae di continuo con lo smartphone.
“Che cosa triste è invecchiare, abbrutirsi mentre il proprio ritratto resta sempre giovane” dice Dorian Gray “Oh, se potesse avvenire il contrario! Se potessi, io, restar sempre giovane e invecchiasse invece la pittura! Per questo sarei pronto a dare qualsiasi cosa, sì, non vi è nulla al mondo che non darei! Darei la mia stessa anima!”
Il suo desiderio si realizza. Così Dorian Gray, in un baratto faustiano, cede la sua anima pur di salvare il suo corpo dal disfacimento. “Si è venduto al diavolo per rimanere sempre bello” scrive Oscar Wilde. Ma la bellezza, separata dal bene, si unisce nella vita di Dorian alla pratica del male, visto come un mezzo per realizzare il bello. L’estetica scaccia l’etica e ogni morale. Il destino di Dorian Gray fu in realtà il destino di Oscar Wilde, divorato dalla sua vita estetica, trascorsa nel segno della bellezza ma poi ridotta a vivere una dolorosa e indecorosa decadenza nel brutto. “Divenni il dissipatore del mio stesso genio e il distruggere un’eterna giovinezza mi procurava una gioia singolare – confessò poi in carcere nel De profundis – m’inabissai deliberatamente”.
A voler diagnosticare la sindrome occidentale di Dorian Gray, possiamo definirla una forma di narcisismo deviato: come nel mito, Narciso vive del suo specchiarsi ma l’espediente per non invecchiare e non abbrutirsi è “deviare” sulla propria immagine riflessa la corruzione estetica e morale, il suo degenerare nel tempo e nel mondo. Così salva la bellezza e il vitalismo dalla decadenza e dalla bruttura; è il ritratto a decadere, è la sua immagine a corrompersi, la rappresentazione storica della sua identità.
Ma il proposito non è destinato a finire in bellezza; infatti il finale di Dorian Gray è tragico. Alla lunga il male si ritorce contro chi lo ha generato, ritorna su di lui. Dorian prima uccide l’autore del suo ritratto, poi assillato dall’immagine corrotta e decadente di sé, decide di accoltellare il suo ritratto. Così “impugnò il coltello e colpì la tela. Si sentì un grido e un tonfo. Un grido d’agonia così tremendo…”
Cos’era successo? Accoltellando il suo ritratto, Dorian Gray aveva in realtà accoltellato se stesso. Così accadde il miracolo inverso: i domestici che entrarono nella stanza, accorsi dopo il grido, “videro, appeso al muro, uno splendido ritratto del loro padrone come lo avevano visto l’ultima volta” – prima che fosse nascosto in soffitta per non mostrare il suo progressivo abbrutimento- “in tutto il suo prodigioso nitore della sua gioventù e della sua bellezza. A terra giaceva un uomo morto, in abito da sera, con un coltello piantato nel cuore. Era sfiorito, rugoso, ripugnante nel volto. Solo esaminando i suoi anelli riuscirono a riconoscerlo”.
Era Dorian Gray restituito alla realtà dei suoi anni, alle fattezze della sua vecchiaia e alla sua vita corrotta. L’arte tornava nuovamente a splendere nel dipinto, la vita cedeva al declino, alla vecchiaia e alla morte.
Succederà la stessa cosa all’Occidente, pensando di cancellare la rappresentazione di sé, alla fine cancellerà se stesso? E colpendo al cuore il suo ingombrante ritratto che non vuole più vedere, finirà col colpire al cuore se stesso, fino a ritrovarsi tutta la decadenza e le brutture che voleva scaricare sulla sua immagine storica, mentre il ritratto riprenderà le sue originarie, inalterate fattezze? Dietro la parabola di Dorian Gray c’è una più grande parabola di civiltà: separare la vita apparente dalla vita reale non è un modo per salvarsi dalla decadenza ma per inabissarsi con essa. Narciso annega nel fiume in cui si specchia…