La Baoshang Bank è la Lehman Brothers Cinese?
di F. William Engdahl - 23/07/2019
Fonte: Comedonchisciotte
In fin dei conti, il moderno sistema bancario a riserva frazionaria è un gioco basato sulla fiducia. Finché i prestatori o i depositanti sono convinti che la loro banca sia solvibile, tutto funziona. Se la fiducia si rompe, questo porta storicamente al panico bancario, a prelievi di denaro massicci e precipitosi ed anche al fallimento a catena di un sistema finanziario, o peggio. Il fallimento inatteso, a fine di maggio, di una piccola banca Cino-mongola, la Baoshang, ha improvvisamente attirato l’attenzione sulla fragilità del sistema bancario più vasto e più opaco del mondo, quello della Repubblica Popolare Cinese. L’occasione è scelta molto male, dato che la Cina è alle prese con un netto rallentamento economico interno, un aumento dell’inflazione dei prezzi alimentari e delle incertezze legate alla guerra commerciale degli Stati Uniti.
A fine maggio, per la prima volta da tre decenni, la Banca Popolare Cinese (PBOC) e gli organismi di controllo statali di regolazione delle banche hanno preso il controllo di una banca insolvente. L’hanno fatto pubblicamente e con l’evidente obiettivo di mandare un messaggio alle altre banche affinché controllino i rischi legati ai prestiti. In questo modo forse hanno dato il via al fallimento a catena di uno dei sistemi bancari più grandi, più opachi e meno regolamentati al mondo: le banche regionali e locali di Cina, poco regolamentate, a volte chiamate banche parallele. Gli attivi totali delle piccole e medie banche cinesi sono stimati essere più o meno uguali a quelli di quattro giganti banche di stato, le quali però sono regolamentate, tanto che una crisi che si allarghi partendo dalle “banche parallele” potrebbe avere delle brutte conseguenze. È la ragione evidente per cui Pechino è intervenuta così rapidamente per circoscrivere il fallimento della Baoshang.
La Baoshang Bank aveva tutte le apparenze della buona salute. Il suo ultimo resoconto finanziario pubblicato nel 2017 indicava un utile di 600 milioni di dollari per il 2016, delle partite attive di circa 90 miliardi di dollari e meno del 2% di prestiti irrecuperabili. Lo shock della insolvibilità ha creato una crisi di credibilità crescente sul mercato dei prestiti interbancari della Cina, un po’ come nei primi momenti della crisi interbancaria dei prestiti ipotecari sub-prime negli Stati Uniti nel 2007. Questo ha obbligato la PBOC a iniettare miliardi di yuan, fino ad ora l’equivalente di 125 miliardi di dollari, e a emettere una garanzia su tutti i depositi bancari per circoscrivere le premesse di una crisi sistemica più estesa. Ma vi sono degli indicatori che la crisi è ben lontana dall’essere terminata.
Il problema è che la Cina, nel corso di una trentina di anni, ha lanciato uno degli sforzi di costruzione e di modernizzazione più impressionanti nella storia dell’umanità: intere città, decine di migliaia di chilometri di ferrovia per i treni ad Alta Velocità, automatizzazione dei porti per container, come nessun altro paese aveva mai fatto nella storia; e tutto questo a debito. L’efficacia di questo debito dipende dunque da un’economia i cui profitti non cessino di crescere. Ma se comincia anche una sola contrazione dello sviluppo, le conseguenze saranno incalcolabili.
Ora che l’economia rallenta (ed alcuni parlano anche di un periodo di recessione), dovunque nel paese gli investimenti a rischio si trovano improvvisamente di fronte all’insolvenza. I prestatori di tutti i tipi rivalutano i rischi di nuove aperture di credito. Il settore dell’automobile è fortemente in ribasso in questi ultimi mesi ed anche altre industrie. Peggio ancora, una grave epidemia di peste africana decima l’enorme popolazione porcina della Cina e questo ha per conseguenza un’inflazione dei prezzi degli alimentari di circa l’ 8%. In questo contesto, la Banca Centrale di Cina per paura di accendere una nuova bolla finanziaria, fa coraggiosamente di tutto per evitare di ricominciare ad emettere moneta, perché questo creerebbe maggiore inflazione e indebolirebbe il Renmimbi.
Un altro tallone di Achille è la dipendenza della Cina dai mercati finanziari mondiali, in ragione di un debito che si valuta in migliaia di miliardi di dollari, nel momento in cui diminuiscono le entrate in dollari delle esportazioni. E questo anche prima che avesse inizio la guerra dei dazi doganali americani. Se la Cina fosse stata isolata dall’economia mondiale come negli anni 1970, lo Stato avrebbe potuto semplicemente regolare i problemi all’interno, cancellare i prestiti insolubili e riorganizzare le banche.
Il modello cinese del debito
Fondamentalmente il modello di credito cinese è differente da quello dell’Occidente. La moneta, il Renminbi, non è ancora liberamente convertibile. Il controllo della moneta non è nelle mani di banche centrali indipendenti private come la FED negli Stati Uniti o la BCE nell’Unione europea. È invece nelle mani della Banca Popolare Cinese (PBOC), che appartiene interamente allo Stato e che risponde al comitato centrale del Partito Comunista.
I più grandi conglomerati industriali non sono imprese private, ma imprese di Stato, comprese le quattro più grandi banche mondiali, la più grande impresa di costruzione ferroviaria del mondo e alcune società petrolifere giganti. Da un certo punto di vista, questo dà un immenso vantaggio alla Cina: quando lo Stato ordina, l’esecuzione è immediata. Le ferrovie e le autostrade sono costruite senza ostacoli. D’altro canto, in un sistema centralizzato di pianificazione o di comando, quando gli ordini sono sbagliati, posso ingigantire gli errori.
Attualmente, da più di due anni, Pechino sì preoccupa chiaramente del modo in cui può correggere l’esplosione incontrollata dei “prestiti fuori bilancio” o dei prestiti delle “banche parallele” nell’insieme dell’economia. Dopo la crisi della Lehman Brothers nel 2008, la Cina ha finanziato un numero allarmante di progetti di costruzione per ammodernare quello che fino a 40 anni fa era uno dei paesi più poveri al mondo, impedire la contrazione dell’economia e quindi l’esplosione della disoccupazione e dei disordini sociali. Dal 2013 ha aggiunto alla sua lista di spese l’ambiziosa iniziativa “La Cintura e la Ruota”, in parte per sostenere il ritmo di crescita dell’industria dell’acciaio e delle infrastrutture cinesi, via via che l’economia interna si avvicinava alla saturazione.
Con la crisi mondiale della Lehman nel 2008 Pechino ha gonfiato questo debito come nessun altro paese nella storia. Dal 2009, la massa monetaria cinese è aumentata di circa il 400% ovvero di 20.000 miliardi di dollari (133.000 miliardi di Yuan) mentre il prodotto interno lordo annuale della Cina è aumentato di soli 8.400 miliardi di dollari. In linea di principio questo non è sostenibile a lungo. Si può dunque supporre che oggi all’interno di questa espansione monetaria enorme, si trovino più di una banca Baoshang insolvibili. A questo stadio intanto, dato che la capacità di controllo finanziario è ancora ai suoi primi passi, nessuno, neanche Pechino, conosce i rischi reali di contagio.
Rischi interbancari non quantificati
Il problema dei prestiti che è sottinteso a queste cifre, è che il credito emesso da quelle che noi chiamiamo le “banche parallele” (quelle banche di piccola e media taglia poco regolamentate e che non appartengono al gigantesco sistema bancario statale) è poco controllato e ora deve affrontare i mancati rimborsi e i fallimenti a causa dei prestiti ad alto rischio. Il fallimento della Baoshang Bank ha improvvisamente attirato l’attenzione di tutti su questi rischi.
Le grandi banche esitano a continuare i loro prestiti alle piccole banche con l’intermediazione del mercato interbancario, e questo fa salire il tasso di sconto. È poco probabile che le garanzie date dalla Banca Centrale cinese secondo la quale il caso della Baoshang sia “isolato” rassicurino i prestatori. Bloomberg stima che nei primi 4 mesi del 2019, le imprese cinesi abbiano fatto fallimento per un ammontare di 5,8 miliardi di dollari in obbligazioni nazionali, ovvero più di 3 volte della media di un anno fa. Le autorità di Pechino, tra le quali la PBOC, fanno chiaramente sapere da mesi che vogliono ridurre i prestiti a rischio accordati dalle banche parallele locali e da altre istituzioni per tenere sottocontrollo la situazione.
In seguito al fallimento inatteso della Baoshang Bank, il mercato dei prestiti interbancari cinesi è improvvisamente in crisi. Non sappiamo ancora se le autorità di Pechino prenderanno provvedimenti sufficienti per calmare la crisi o se sia in corso un progressivo silente inaridimento dei prestiti delle grandi banche alle piccole banche regionali per mezzo dei prestiti interbancari. In questo caso ci saranno disagi, fallimenti e disoccupazione. Un segnale che non tutto va bene è il fatto che secondo le notizie finanziarie di Caixin, il 24 giugno la Banca Centrale cinese ha annunciato che avrebbe concesso a selezionati istituti di intermediazione di prendere a prestito fino al triplo in più di effetti commerciali a scadenza a breve di 90 giorni, per mantenere in circolazione il denaro liquido e nel frattempo tentare di risolvere il problema. Si tratta chiaramente di una manovra per guadagnare tempo.
Un altro segnale dell’inquietudine di Pechino, è che dall’inizio di giugno, le autorità hanno autorizzato le municipalità ad aumentare ancora i loro prestiti già enormi per la costruzione di infrastrutture. I rappresentanti delle amministrazioni locali saranno autorizzati a utilizzare i prodotti della vendita di obbligazioni come capitali propri nei nuovi progetti di infrastrutture che comprendono l’estensione di Ferrovie e di strade e che si aggiungono alla montagna dei debiti.
Il ministro cinese delle Finanze Liu Kun ha appena pubblicato una relazione sulla situazione budgetaria regionale, locale e nazionale riguardante il periodo da gennaio a maggio. Le cifre non sono incoraggianti per la politica di controllo dell’inflazione e delle bolle di capitale da parte di Pechino. l’analisi mette in evidenza che l’insieme degli incassi del governo è aumentato soltanto del 3,8% nell’anno. Gli introiti fiscali sono aumentati solo del 2,2% a causa di una notevole riduzione delle imposte. Parallelamente, le spese pubbliche sono aumentate del 12,5% all’anno. Di conseguenza, Liu Kun ha annunciato che il governo esigerà un’austerità di “più del 10%”per ridurre lo scarto.
La Cina è governata da gente molto intelligente e operosa. Non è quello il problema. Tuttavia rimettere nella sua bottiglia il genio della moneta facile, senza maggiori disavventure, richiederà una abilità straordinaria e un po’ di fortuna.
All’inizio del 2019, il debito verso l’estero della Cina ufficialmente valeva un po’ meno di 2.000 miliardi di dollari, di cui i due terzi sono a breve termine. Ufficiosamente però le analisi indicano che le grandi imprese pubbliche hanno contratto molto più di quella cifra in prestiti stranieri erogati in dollari o in euro a basso tasso di interesse. Nessuno sa a quanto ammonta la cifra reale.
Questa situazione costituisce un’occasione per Pechino di far vedere che tiene saldamente sotto controllo le sue crisi bancarie tipo Baoshang e che i cinesi sono rigorosi nell’aprire i loro mercati finanziari alle imprese straniere quale componente della mondializzazione della Cina. La Cina ha bisogno del contributo delle banche occidentali per mantenere l’economia al suo impressionante livello.
Fino ad ora la Cina era apparentemente la grande vincitrice nel modello di globalizzazione del periodo post-1990. Il modo in cui Pechino gestirà i suoi problemi bancari nel corso dei prossimi mesi chiarirà se le sue incredibili prestazioni continueranno. La sfida dunque è reale.
F. William Engdahl è consulente e conferenziere sui rischi strategici, diplomato in politica presso l’Università di Princeton e autore di bestseller sul petrolio e la geopolitica, esclusivamente per la rivista web New Eastern Outlook .
Fonte: http://williamengdahl.com/
Link: http://williamengdahl.com/englishNEO7July2019.php
7 luglio 2019
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