La bioetica moderna e il caso di Charlie Gard
di Enrica Perucchietti - 24/08/2017
Fonte: Interesse Nazionale
In questi mesi la vicenda del piccolo Charlie Gard ha sconvolto molti, diviso l’opinione pubblica e centralizzato l’attenzione collettiva, monopolizzando in parte i post suoi social network e i servizi dei TG.
Le riflessioni sarebbero molte, però è da chiarire come questo caso sia la punta dell’iceberg dell’attuale bioetica le cui derive hanno ormai il volto dell’eugenetica nazista.
È ormai chiaro infatti che lo Stato vede i cittadini come una proprietà su cui ha diritto di vita e di morte. La vita umana per chi ci governa, deve essere terminata qualora non possa più produrre o il costo del suo mantenimento risultasse troppo elevato e non remunerativo, come nel caso del piccolo Charlie.
Ho inoltre la sensazione che coloro che anticipano certe tematiche rimangano inascoltati, come delle Cassandre e che le peggiori distopie si realizzino perché gli allarmi lanciati dai ricercatori cadono nel vuoto… In questo caso è da anni che mostriamo come per gradi si sia abituato il popolo ad accettare provvedimenti una volta impensabili che appartengono all’eugenetica e che ci stanno traghettando verso quello scenario immaginato da Aldous Huxley nel Mondo Nuovo.
Vorrei pertanto tornare a parlare delle derive della bioetica che ho già ampiamente trattato nella Fabbrica della manipolazione e in Utero in affitto. In particolare di Peter Singer, classe 1946, australiano, filosofo e docente a Princeton, massimo esponente mondiale dell’utilitarismo portato fino alle sue estreme conseguenze. Il suo pensiero si studia in tutti i corsi di Bioetica delle facoltà occidentali (anche da noi).
Ho conosciuto il pensiero di Singer nel 2000 quando all’Università avevano attivato il corso di Bioetica. Era uno di quegli indirizzi che mi interessavano e su cui inizialmente avevo persino pensato di laurearmi. Ebbene, quel corso mi aveva sconvolto al punto toglierlo poi dal corso di studi. Si trattava di tematiche che soltanto dopo 12-15 anni avrei ripreso e trattato nei miei libri con una maturità ovviamente “diversa”.
Il «Time» ha inserito Singer di diritto «tra i cento uomini più influenti del pianeta». Altri lo hanno accusato di essere un “nazista” (anche se ebreo), un novello Mengele, un “decano della morte”, chi semplicemente lo giudica un folle che gioca a fare Dio.
Singer a 29 anni era già passato alla storia per Animal Liberation: un bestseller che gli animalisti più arrabbiati considerano il loro manifesto fondativo. Ha poi formulato teorie che con gli anni sono diventate casi da manuale, dal Protocollo di Groningen sulla “morte bambina” alle raccomandazioni del Royal College sull’eutanasia dei neonati disabili fino al parere del Nuffield Council on Bioethics, secondo il quale ai medici del Regno Unito dovrebbe essere imposto l’obbligo di staccare la spina ai bambini nati prima delle 22 settimane di gestazione.
Sostenitore del vegetarianesimo e dell’abolizione della vivisezione sugli animali (perché, semmai, si dovrebbe praticarla sui cerebrolesi o sulle persone in coma vegetativo), Singer è anche il promotore della cosiddetta Etica della Qualità della Vita che si contrappone a quella della Sacralità della Vita: ovvero un orientamento laico (e ateo) contrapposto a quello religioso (vitalismo etico o finalismo autoconservativo) che si basa sulla salvaguardia di tutto ciò che è “vita”.
Una volta abbandonato il vitalismo, secondo cui ogni “vita” è sacra e inviolabile (anche quella del feto), si arriva consequenzialmente a un’etica della qualità della vita che, però, portata alle sue logiche conseguenze, giustifica l’aborto anche dopo i tre mesi, l’infanticidio per motivi eugenetici (patologie particolari come l’emofilia o disabilità del neonato), morte volontaria, sperimentazione sui cerebrolesi, clonazione, ecc. Non vi è cioè una ricerca di equilibrio tra gli opposti: se si abbandona il principio secondo cui la vita è sacra, tutto è permesso, basta che “sia possibile”.
Questa dottrina è anche sostenitrice di un sistema sanitario non pubblico ma privato basato sulle assicurazioni, perché ritiene un dovere e una responsabilità dell’individuo mantenersi “in salute” e sottoscrivere una polizza assicurativa, sostenendo invece che sia dannoso per la collettività pagare per permettere a tutti l'accesso alla cure. Si devono prevenire le malattie per evitare di dover intervenire successivamente a curarle, così come si deve prevenire la nascita di bambini con disabilità o con patologie rare.
Per Peter Singer si deve distinguere nelle cure tra chi è persona da chi non lo è. È persona non solo chi ragiona, ma chi ha interesse per la vita. Pertanto ci sono umani che non sono persone (i neonati o i cerebrolesi) e non umani che invece sono persone (come cani, gatti, scimmie, elefanti e maiali). In Ripensare la vita Singer scriveva: «Né un neonato, né un pesce sono persone, uccidere questi esseri non è moralmente così negativo come uccidere una persona».
Già in Liberazione animale, pubblicato nel 1975, Singer ammetteva: «Io non credo che sperimentare su un umano cerebroleso non possa mai essere giustificabile. Se fosse davvero possibile salvare numerose vite con un esperimento che ne togliesse una sola, e non esistesse alcun altro modo di salvare tali vite, sarebbe giusto fare l’esperimento». In quest’ottica, infatti, il bambino viene visto come un “prodotto” su cui è possibile esercitare arbitrariamente un dominio “utilitaristico”: in caso di disabilità può essere “eticamente giusto” sopprimere il nascituro se ciò può concedere ai genitori, ad esempio, di avere in futuro un secondo figlio sano e godere di una vita “felice” («I feti, i neonati e i menomati cerebrali non hanno diritto alla vita», «Se si vuole un altro figlio, è giusto eliminare quello Down»).
Il pensiero singeriano, declinato poi in quello dei suoi numerosi discepoli, se tutela i diritti degli animali, si contraddistingue quindi per derive considerate da altri ricercatori “naziste”.
Sul punto su cui si sono concentrati unanimi gli strali – l’infanticidio - Singer si è sempre giustificato ricordando che solo con il pensiero giudaico-cristiano sarebbe subentrata l’idea della tutela del “debole”, pensiero che in altre culture non esiste. Sarebbe quindi lecito tornare ad adottare metodologie che tutelino i genitori anziché il nascituro: «I feti, i bambini appena nati e i disabili sono non-persone, meno coscienti e razionali di certi animali non umani. È legittimo ucciderli».
In Should the baby live?, Singer affermava senza giri di parole che «alcuni bambini con gravi disabilità devono essere uccisi», tesi che venne ripresa nel suo celebre saggio, Ripensare la vita.
Il «Wall Street Journal» non la prese bene e lo paragonò al segretario di Hitler, Martin Bormann. La querelle avveniva due decenni fa, e ora il pensiero di Singer si è gradualmente affermato e si insegna in tutte le università del mondo.
Nel 1999 il «New York Times» pubblicò un estratto del libro di Singer Etica pratica, testo base del suo insegnamento all'Università di Princeton, in cui si sostiene che l'eutanasia può essere applicata anche a un neonato emofiliaco. Per giustificare questa posizione, Singer scriveva:
«Da un punto di vista complessivo uccidere il neonato emofiliaco non è l’equivalente morale di uccidere una persona. La perdita di una vita felice da parte del primo bambino è superata dal guadagno di una vita più felice da parte del secondo. Di conseguenza, se uccidere il bambino emofiliaco non ha conseguenze negative per altri, da un punto di vista complessivo, sarebbe giusto ucciderlo».
Questo discorso venne esteso dal filosofo anche a tutti i neonati affetti da sindrome di down o disabilità.
In un’intervista rilasciata da Singer al «Foglio» nel 2008, il filosofo australiano argomentava la sua tesi a sostegno dell'infanticidio come segue: «Il feto non ha autocoscienza e alcun senso della propria esistenza nel tempo. Non può sperare, non sa cosa sia il futuro. Per questo non ha diritto alla vita. Non penso che l’uccisione di un feto o di un bambino sia moralmente equivalente con l’uccisione di un essere razionale e autocosciente» e ancora, «Perché limitare l’uccisione dentro il corpo della donna? È ipocrita far abortire all’ottavo mese e non consentire l’eutanasia neonatale».
Singer si è infine detto convinto che nei prossimi trent’anni l’etica e la visione tradizionale dell’uomo cambieranno radicalmente, offrendo un sistema culturale e tecnologico a sostegno di un miglioramento della qualità della vita: «Potrebbe accadere che solo dei superstiti, un gruppo di irriducibili fondamentalisti ignoranti difenderà l’idea che ogni vita umana, dal concepimento alla morte, sia sacrosanta».
Gli altri, modelli di quell’uomo nuovo descritto da Huxley, o dell'uomo perfetto sognato da Hitler, potranno stabilire liberamente i criteri «per decidere chi dovrebbe essere ucciso». L'uomo nuovo potrà decidere anche chi (e in che modo) avrà diritto alla vita, riappropriandosi dell'eugenetica:
«Se per eugenetica intendiamo ciò che fece il nazismo o la sterilizzazione forzata, dobbiamo rigettarla. Se per eugenetica invece intendiamo l’idea che i genitori selezionano le caratteristiche genetiche è un’idea positiva. È la diagnosi prenatale. È l’idea di riduzione della sofferenza. Molti parlano di ritorno dell'eugenetica, ma nelle società liberali l'eugenetica non sarà coercitivamente imposta dallo stato per il bene collettivo. È una scelta dei genitori».
In questo caso Singer, similmente alla versione distopica di Huxley, prevede un mondo in cui, in nome del progresso e dell’evoluzione, la società è stata convinta ad accettare la “selezione” genetica dei nascituri. Ovviamente, per il “bene collettivo”.
progresso e dell’evoluzione, la società è stata convinta ad accettare la “selezione” genetica dei nascituri. Ovviamente, per il “bene collettivo”.