La Brexit sbatte sulla questione irlandese
di Salvo Ardizzone - 04/03/2018
Fonte: Il Faro sul Mondo
Il nodo cruciale dei rapporti fra Nord Irlanda e il resto dell’Isola è un colossale problema ben conosciuto da tutti, ma nessuno, né al momento di proporre la Brexit, né tantomeno dopo, ha pensato a una soluzione.
A gettarlo sul tavolo, insieme ai tanti altri, è stata Bruxelles stanca dell’inconcludente melina del Governo di Londra, incapace d’affrontare concretamente l’uscita del Paese dalla Ue.
Con un documento di 120 pagine Bruxelles propone una bozza di trattato che regoli il divorzio, una serie di misure che, anche se inquadrate nell’ottica della Ue, mettono sotto i riflettori i problemi che Downing Street ha finora evitato di trattare perché non sa come affrontare.
C’è di tutto: dalla giurisdizione della Corte di Giustizia Europea sulle controversie relative ai rapporti, all’intesa che il Regno Unito dovrà trovare con la Spagna su Gibilterra; dal periodo di transizione per attuare gli accordi, al nodo dei rapporti dell’Ulster con l’Irlanda.
Di tutti è quest’ultimo il nodo di gran lunga più spinoso: la proposta della Ue prevede che l’Irlanda del Nord sia considerata parte del territorio doganale dell’Unione; in essa potranno circolare liberamente le merci degli altri Stati membri senza che Londra possa applicare dazi o restrizioni. In pratica il confine fra la Ue e il Regno Unito verrebbe posto nel Mare d’Irlanda.
La ragione del provvedimento, caldeggiato da Dublino, è di preservare gli accordi del Venerdì Santo che nel 1998 posero fine a trent’anni di violenze in Nord Irlanda; la radice di quell’intesa prevede che i circa 500 km di confine (invero artificioso) fra le due parti dell’Irlanda sia di fatto inesistente. L’uscita del Regno Unito dalla Ue farebbe tornare una divisione ritenuta inaccettabile dagli irlandesi, esclusa la fazione unionista dell’Ulster.
E questo è il punto: il debole Governo di Theresa May si regge sulla manciata di voti degli unionisti nord irlandesi, ferocemente contrari ad ogni accordo con Dublino.
È ovvio che la Premier britannica si sia scagliata contro la bozza d’intesa della Ue; accettarla o anche criticarla debolmente per lei sarebbe un suicidio politico, perché così come è stata confezionata mette in dubbio la sovranità di Londra sull’Ulster.
Ma assai più rilevante è la violenta contrarietà espressa da molti sostenitori della Brexit verso gli accordi del Venerdì Santo; essi, e non sono pochi, sono disposti a sacrificarli pur di uscire dalla Ue.
Il fatto è che si tratta di una scelta politica irresponsabile, che può portare a esiti disastrosi per almeno tre ragioni: la prima è l’incapacità di avanzare soluzioni valide sia da parte del Governo May, debole quanto lacerato, sia da parte nord irlandese, con Belfast senza un Governo locale da 13 mesi a causa delle irriducibili posizioni anacronistiche degli unionisti.
La seconda è che Dublino non ha alcuna intenzione di arretrare, perché intravede la seria possibilità di riunificare – finalmente – l’Irlanda; ha già dichiarato che in sede comunitaria porrà il veto su qualsiasi soluzione che intacchi gli accordi del Venerdì Santo e non tenga nel debito conto le aspirazioni della popolazione cattolica nord irlandese.
La terza, e per molti versi più inquietante, è che la violenza settaria cova ancora sotto le ceneri: decenni di una guerra sanguinosa e i vent’anni di pace successivi non hanno rimosso le radici della contrapposizione. Le condizioni sociali ed economiche delle contee dell’Ulster sono assai più arretrate rispetto ai territori circostanti, e poco è stato fatto realmente per lasciarsi dietro le 3mila vittime della guerra e le lacerazioni di quegli anni.
Per affrontare la situazione a Londra servirebbe un governo forte con le idee chiare, esattamente quello che manca. Inoltre, la posizione della May è indebolita dal fatto che il leader laburista Jeremy Corbyn ha lanciato una proposta che risolverebbe il problema: la permanenza di tutta la Gran Bretagna nell’area doganale Ue, una posizione accettata anche da alcuni deputati conservatori, ma una bestemmia alle orecchie dei fautori della Brexit che la vedrebbero tradita.
La conclusione è che, esasperando lo scontro senza offrire uno straccio di soluzione, Londra sta accelerando la scomposizione del Regno Unito, di cui la vittoria del “Remain” al referendum sulla Brexit nell’Ulster e le tensioni separatiste in Scozia sono serie avvisaglie.