La carica dei serrapiattisti No Pax
di Pino Cabras - 02/03/2025
Fonte: Pino Cabras
1. La glasnost trumpiana e la fretta del Partito della guerra
L’Impero era già in crisi e pieno di contraddizioni. Ora, il primo mese della presidenza Trump è la scintilla che ha innescato il combustibile che era già pronto alla guerra civile in seno alle élites occidentali.
La squadra messa insieme dal presidente statunitense ha scelto di non aspettare oltre, al punto da fare un’operazione che ho già paragonato – facendo già tutti i distinguo del caso – alla Glasnost (trasparenza) e alla Perestrojka (ristrutturazione) con cui 40 anni Mikhail Gorbaciov affrontò la grave crisi e le contraddizioni dell’impero che governava lui, l’Unione Sovietica.
Anche “The Donald”, nel suo impero, ha avviato una vasta operazione di disvelamento dei meccanismi spietati della lotta politica imperiale. Possiamo ormai leggere nella piazza globale i bonifici con cui l’America, per conto dell’élite finanziaria, stipendiava migliaia di redazioni di “presstituti” compiacenti e intere classi politiche di tanti paesi di mezzo pianeta. Un’intera infrastruttura votata alla guerra mondiale è esposta nei suoi numeri nudi e crudi, nei suoi trucchi, nella meccanica bruta dei rapporti di forza, senza più la fuffa ipocrita che ha avvelenato tutti i pozzi della comunicazione pubblica. Lo scandalo USAID – incontrovertibile e osceno - resiste come tabù innominabile, nell’imbarazzo delle redazioni. Chi non lo nomina non ha perciò alcun titolo per dare lezioni di democrazia a nessuno.
Sappiamo riconoscere una lotta fra poteri in concorrenza e perciò guardiamo con disincanto anche alla cordata capitalistica che sorregge il gioco di Trump & Musk. Non esistono poteri buoni. Ciò detto, è tuttavia un fatto gigantesco che Trump stia togliendo il velo al grande partito della guerra e non solo il velo: ha costruito un’ipotesi politica di pace in relazione alla lunga crisi ucraina. Costruire le condizioni per la pace è proprio quanto di più insopportabile per un partito della guerra, che ora è costretto a far tutto maledettamente in fretta, a salvare il salvabile, a riorganizzare tutte le sue forze, a chiamare alle armi l’impensabile, sotto la pressione degli eventi. Sintomatico quel che ha detto Kaja Kallas, la russofoba bellicista chiamata a rappresentare la politica estera della UE, una vita spesa a pendere dalle labbra di Washington: «il mondo libero ha bisogno di un nuovo leader». Sparargli non era servito, evidentemente.
Neanche 24 ore dopo che a Washington Zelensky è stato umiliato da un potente Capo di Stato, a Londra gli hanno organizzato in fretta e furia l’incontro cordiale con Carlo III, che è Capo di Stato del Regno Unito, ma anche del Canada (altro che 51° stato degli USA…), dell’Australia e altro ancora. Il vecchio potere, come negli scacchi, si arrocca, e nell’arrocco ci vuole il Re. Mai sottovalutare i simboli.
La baracca globalista va salvata arruolando l’Europa, rendendola la nuova inespugnabile Tortuga dei bucanieri globali e dei loro “clientes” delle province europoidi. L’indiscutibile centro del potere washingtoniano diventa d’improvviso discutibile se c’è da salvare proprio il potere (un potere “resiliente” che funziona come una rete multi-nodale, un network mutaforma) magari dicendo di voler salvare la democrazia a costo di annullare le elezioni vinte dagli sgraditi e scatenare gli apparati repressivi con ogni artificio e ogni falsa accusa contro chi dissente.
2. Michele Serra, il serrapiattista e i No Pax
Tutti i “clientes” del potere globalista sanno che ora rischiano di perdere tutto. Il loro “tutto” è il perimetro di privilegi che sono stati loro elargiti dai loro ricchi protettori proprio per rendere facile togliere “tutto” a tutti gli altri, salvando nel contempo l’apparenza di essere buoni cittadini, gli unici buoni. Abituati a tacere le immense miserie del loro padronato di riferimento, sono diventati una sorta di ZTL globale dove vive bene chi ha giustificato ogni soperchieria. Il quartiere europeo di questa grande ZTL ha mitizzato l’europeismo come un’ideologia che sottende a un sogno, un’idea di progresso che diventa sempre più inclusiva, verde, innovativa, pacifica. I suoi abitanti sono talmente accecati dalle loro stesse bugie che non si accorgono che al contrario l’europeismo ha generato terrificanti oppressioni, precariato, aberrazioni finto-green e altri fattori che hanno portato declino, invecchiamento, deindustrializzazione, arretratezza, instabilità, destabilizzazione dei paesi vicini senza pagar dazio. Una tale incapacità si regge su un’industria culturale sussiegosa popolata da una classe intellettuale vile e mediocre. Il loro manganello con cui fanno ordine è definire “fascista” tutto quel che esce dal quadro del progressismo obamiano e costruire un corpus di norme per ostracizzarlo.
Ecco perché in certi ambienti ha subito avuto successo l’appello confuso, trombonesco e disperato dell’editorialista di «Repubblica» Michele Serra, che lancia l’idea di organizzare una grande manifestazione di piazza per l’Europa, portando solo la bandiera blu con le dodici stelle. A quei partiti che hanno fatto ogni porcata dicendo che “ce lo chiede l’Europa”, compreso alimentare una grande guerra sin dal 2014, ora non par vero di aderire subito. Il timore di fare i conti con il disastro ucraino che hanno provocato sotto l’impulso di Washington (adesso senza Washington) ha fatto scattare la necessità della fuga in avanti, gli Stati Uniti d’Europa Armata, da realizzare – come per tutte le cose europee di questi anni – con strappi, emergenzialismo, polarizzazione estrema dell’opinione pubblica, militarizzazione del dibattito. Il partito della guerra che si scandalizza per una prospettiva di pace ora mobilita tutti i suoi intellettuali organici, così docilmente abituati a giustificare tutto. Ora dovranno raccontare la bugia delle bugie, inventando l’inesistente volontà della Russia di invadere l’Europa con la complicità dell’«Autocrate Trump», per perpetuare il loro potere sacrificando ogni diritto sociale, ogni industria (treni persi in ogni campo) e per concentrare l’intera economia su uno spaventoso piano di riarmo, che può funzionare solo rigettando ogni politica di sicurezza continentale.
Lo scenario è l’«ucrainizzazione», la «georgizzazione» dell’Europa: mandare in piazza una minoranza agguerrita di persone con bandiera blu, laddove le loro carriere (alcune fulgide), i loro mutui, il loro buon tenore di vita, le loro lisce parabole esistenziali sono totalmente dipendenti dal voler usare il proprio sistema politico come un cuneo geopolitico in contrasto incomponibile con la Russia. Ripeto: l’intera impalcatura di una svolta che snaturerà per sempre l’Europa e porterà su scala continentale la tragedia ucraina si fonda su un presupposto inesistente, una pura supposizione sorretta dal rifiuto di tentare una pace europea. Cioè una superstizione ignorante, di cui si fa veicolo una classe giornalistica imbrogliona e boriosa.
Vedremo insomma in piazza i Serrapiattisti, i Guerrapiattisti, i No Pax, disposti a svenderci ancora e per sempre. Kaja Kallas e Carlo d’Inghilterra vigileranno come numi tutelari sull’Europeismo Reale, ultimo rifugio dei mascalzoni.
Dovremo contarci con un popolo desideroso di pace e di un sano ritorno al buon senso.