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La censura nelle “Democrazie” del XXI secolo

di Enrica Perucchietti - 08/01/2025

La censura nelle “Democrazie” del XXI secolo

Fonte: Italicum

Intervista a Enrica Perucchietti, autrice del libro “La censura nelle “Democrazie” del XXI secolo”, 2024, Arianna Editrice, a cura di Luigi Tedeschi

1) L’avvento dell’era digitale ha profondamente trasformato i rapporti sociali, ampliato la rete delle comunicazioni, assumendo le sembianze di una rivoluzione libertaria, che esaltasse l’individuo, le sue capacità espressive e la sua creatività. Ma la rete internet non si è rivelata uno strumento di coesione sociale o un luogo di convergenze ed elaborazione di tematiche politico – culturali alternative al sistema dominante. Ha creato semmai un mondo digitale pervaso da una anarchia mediatica di massa, che non di rado si è trasformata in una valvola di sfogo degli odi personali, degli istinti repressi, delle frustrazioni individuali. Internet non ha reso impotente il dissenso tramutando il conflitto sociale in velleità emotive individualiste, con la trasposizione delle contrapposizioni emergenti dal contesto storico – sociale nel mondo della virtualità mediatica?
Più che internet, il sistema dei social: il fatto di poter commentare e postare pensieri “liberamente” ha fatto sì che molte persone utilizzassero la rete in maniera compulsiva come uno sfogatoio, per vomitare odio e proiettare ansie, invidie, divergenze personali. Il dissenso è stato soffocato sul nascere dai fumi sulfurei della nostra incapacità di gestire un mezzo che, invece di unire, è finito per dividere e per generare un conflitto orizzontale che evoca i capponi di manzoniana memoria. Il dissenso, pertanto, è diventato di cartapesta, da divano: le persone tendono a non prendere posizione attivamente, illudendosi di aver fatto il loro, semplicemente affidando i loro sfoghi ai social e finiscono inoltre per far combattere a uno sparuto numero di persone battaglie per procura, perché poi, quando c’è da dire no e da prendere realmente posizione, si finisce per autocensurarsi per paura di ritorsioni.
2) La censura è una forma di repressione del pensiero dissidente tipica degli ordinamenti totalitari, in cui le classi dirigenti impongono come verità assoluta un credo ideologico o teologico a cui deve conformarsi la struttura sociale e culturale della società. Con l’avvento dell’era post moderna e del relativismo etico, non sussistono più contrapposizioni tra verità ideologiche o religiose. Dal momento che non si tratta più di imporre una verità anziché un’altra sembra addirittura improprio parlare di censura. Il relativismo della cultura woke, gender e della scienza transumanistica, per sua genesi, nega non solo la verità, ma la stessa realtà antropologica dell’uomo, inteso come materia prima oggetto di sperimentazione e trasformazione tecnologica. Il relativismo etico, nel negare i fondamenti della natura umana, non ha dunque un esito nichilistico, in quanto finisce per negare anche se stesso? Il relativismo etico non dà luogo a conflittualità insanabili in cui una classe dominante politica o economico-finanziaria si legittima solo in virtù della propria volontà di potenza tipica di quel bellum omnium contra omnes, assurto a principio fondativo del sistema neoliberista?
Sì, ma prima di arrivare a negare se stesso, deve cancellare ogni opposizione e ogni presunta impurità, ogni voce critica o alternativa, per livellare il dibattito fino ad annullarlo, impedire che le ragioni entrino in gioco e silenziare le voci critiche che potrebbero infettare le menti delle altre persone, generando un contagio virale delle idee. Quello a cui stiamo assistendo è proprio un disegno volto a rimodellare la natura umana, dopo averla distrutta, per plasmare il cittadino perfetto dell’ordine mondiale che si vuole costruire: questi deve essere a-morfo, senza forma, senza identità, senza legami, privo di radici, di tradizioni, pavido, avulso dalla realtà, consumatore bulimico e sostenitore indefesso della tecnologia, pronto persino a farsi ibridare con le macchine. Per questo ci troviamo dinanzi a una vera e propria rivoluzione antropologica, non solo culturale.
3) Il mondo virtuale dominato dalle Big tech, impone una sua visione ideologica e un dogmatismo scientifico su cui si struttura il modello e politico neoliberista. Pertanto, il fenomeno della censura e delle fake news è perfettamente coerente con l’esigenza di rendere la realtà storico-sociale compatibile con il sistema dominante. L’informazione ufficiale, programmata al fine di ottenere il consenso delle masse e reprimere il dissenso, si rivela assai pervasiva, data la generalizzata assenza di senso critico nella pubblica opinione. Il sistema mediatico si dimostra assai incisivo perché fa leva su di un immaginario collettivo del tutto permeabile e sulle pulsioni emozionali, piuttosto che sulla razionalità. Il mainstream impone il suo dominio mediatico nella misura in cui riesce a plasmare le menti attraverso la rimozione della memoria collettiva. Questa dimensione di nichilismo esistenziale del nostro tempo, non rappresenta la fase conclusiva di un processo di sradicamento delle identità storico – culturali dei popoli, iniziato in Occidente da almeno 50 anni, con la progressiva scomparsa della trasmissione intergenerazionale dei valori etici e della rimozione conseguente della memoria storica?
Non a caso, una delle tecniche auree dell’ingegneria sociale insegna a utilizzare l’empatia per creare un corto circuito a livello razionale, in modo da impiantare idee attraverso le emozioni, bypassando le difese della soglia critica. Sfruttando, quindi, le emozioni, in particolare attraverso la potenza evocativa delle immagini, si plasma l’immaginario collettivo, si creano “stati di spirito”, si forgia la narrazione dominante e, citando Soros, “si piega l’arco della Storia”. Le élite sanno bene come orientare il consenso attraverso la propaganda e la manipolazione delle coscienze e sanno soprattutto, come aveva intuito Orwell, che la creazione di un eterno presente permette di controllare e condizionare meglio le menti delle persone. Si deve penetrare nel loro immaginario, ma anche distruggere ogni memoria storica, in modo che non abbiano punti di riferimento per potersi orientare nel presente e siano perennemente in balia degli eventi, pronti ad affidarsi acriticamente a chi identificano come l’autorità.
4) Il mondo digitale è sorto con la globalizzazione, con l’affermazione cioè del primato della superpotenza americana su scala mondiale. La tecnocrazia delle Big tech si è rivelata un efficace strumento strategico del soft power americano. Con la diffusione di internet si sono poste le basi per il radicamento a livello globale del modello economico, politico e culturale americano nel mondo. Al monopolio tecnologico delle Big tech fa riscontro l’americanizzazione del mondo. Tuttavia, l’unilateralismo americano è oggi in crisi e il suo primato è insidiato dalle potenze emergenti del gruppo dei BRICS. La censura e la repressione del dissenso sempre più invasiva, non sono le manifestazioni evidenti di un Occidente in crisi sistemica, sia nell’ambito geopolitico che all’interno di una società dilaniata da contrapposizioni destabilizzanti e dalla marea montante di un dissenso diffuso nelle masse, che emerge proprio dal mondo dei social, divenuto ormai incontrollabile? La tecnocrazia non potrebbe aver creato uno strumento di dominio che potrebbe trasformarsi in un’arma di autodistruzione?
La smania per la censura è una moderna forma di Inquisizione digitale volta a criminalizzare e a patologizzare il dissenso. Questo maccartismo 2.0 è infarcito di fanatismo che denota, però, la disperazione e il terrore dell’Occidente Collettivo che tenta con la violenza di cancellare ogni traccia di dissenso. Se le élite non si sentissero minacciate (e questa è la notizia positiva) non investirebbero così tante energie e risorse per silenziare le voci dissonanti. Invece, come dimostrato anche dai Twitter Files e dai Facebook Files, il governo americano e le agenzie di intelligence hanno fatto pressioni sui Giganti del web per oscurare non solo opinioni divergenti, ma persino notizie vere ma scomode per il Sistema. Ci troviamo dinanzi al tentativo di sdoganare uno “psicoreato”: ma questo avviene non solo per mantenere il controllo, ma anche perché i tecnocrati si sono resi conto che con Internet rischiavano di perdere il monopolio della verità e che questo andava imbrigliato e tutti i divergenti messi in un angolo, se non addirittura “vaporizzati” digitalmente.
5) La repressione e la censura hanno creato la gogna mediatica al fine di delegittimare il dissenso. Complottista e negazionista sono gli appellativi più diffusi per esporre al pubblico ludibrio coloro che contestino le verità ufficiali del sistema. Si è instaurata una caccia alle streghe del tutto assimilabile a quella degli eretici al tempo dell’inquisizione, fenomeno tipico dei periodi di decadenza degli imperi e delle fedi. Ma le teorie del complotto sono un retaggio dei secoli scorsi del tutto incompatibili con la odierna realtà. E’ finito il tempo e si è esaurito anche il fascino delle sette occulte e delle società segrete. E anche quello delle forze oscure che dominano il mondo. Il fenomeno del complotto ha subito una radicale metamorfosi. Infatti, le lobby finanziarie, le logge massoniche, le sette religiose manifestano il loro potere pubblicamente. Si sono affermati come global class planetaria. I vecchi complottisti sono parte integrante delle istituzioni degli stati e degli organismi sovranazionali. Non è stato il WEF di Davos a imporre la quarta rivoluzione industriale e la transizione green e quindi a creare un nuovo modello di sviluppo capitalista globale, anteponendosi agli stati, come una oligarchia che si è sovrapposta al potere politico e che ha da tempo e nei fatti delegittimato le istituzioni democratiche dell’Occidente?
Infatti, è tanto grottesco quanto surreale leggere certe analisi di autoproclamatisi professionisti dell’informazione che tentano con risibile successo di smentire, per esempio, l’esistenza del Grande Reset o negare che incontrarsi in cenacoli a porte chiuse (come il Club Bilderberg o la Commissione Trilaterale) sia indicatore di quantomeno scarsa trasparenza. Il «Time», la rivista settimanale americana più diffusa al mondo, aveva dedicato al Gran Reset un numero speciale, uscito nelle edicole internazionali giovedì 22 ottobre 2020, in cui la domanda a cui si cercava di rispondere è: “Come sarà il futuro?”. Eppure, ancora oggi, per le vestali del mainstream, esso non esiste, è una paranoia cospirazionista (sono gli stessi che poi paventano invasioni aliene di fronte all’avvistamento di droni). Eppure, il Grande Reset è, come molti altri casi simili, un progetto ben documentato che non si nasconde all’opinione pubblica, anzi viene divulgato dagli stessi media mainstream soprattutto dai loro promotori (Klaus Schwab in testa). A partire dalla pubblicazione di The Crisis of Democracy (discusso dall’assemblea plenaria della Commissione Trilaterale il 31 maggio del 1975), il potere ha smesso di nascondersi e, sebbene continui a lavorare da dietro le quinte, affida anche frontman come Schwab o filantrocapitalisti del calibro di Gates il compito di mettere nero su bianco le loro velleità. L’idea di fondo espressa nella Crisi della democrazia era già allora quella di uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendone in vita solo l’involucro. Ed era espressa alla luce del sole. L’erosione della democrazia è, infatti, avvenuta per gradi, svuotando progressivamente da un lato le nazioni del proprio potere e della propria sovranità, dall’altro facendo diventare tutti noi dei soggetti passivi, dei meri consumatori. Nulla di cui stupirsi, se pensiamo che già negli anni Venti dello scorso secolo, H.G. Wells (così come Julian Huxley, con cui collaborava) in The Open Conspiracy descriveva il proprio ideale di un mondo globale unificato sotto l’egemonia anglosassone e ispirato agli ideali socioeconomici della Fabian Society e del fabianesimo. Nel libro Wells esprimeva, sempre alla luce del sole, la necessità di creare una società, un’impresa che prevede il reclutamento degli individui e l’allestimento delle istituzioni che occorrono per costituire il “direttorato” mondiale di “un nuovo ordine mondiale”. Nel saggio-romanzo del 1905 A Modern Utopia era stato altrettanto chiaro: «Si arriverà, insomma, all’attuazione di un vero e proprio Stato Mondiale». Qua il sogno wellsiano si esplicitava in uno Stato mondiale pacificato e tecnologicamente avanzato: l’utopia rappresentava per l’autore il futuro e questo, a sua volta, non poteva che risiedere nella “scienza” in quanto perseguimento del Bene e della Verità.