La città sorgerà su tre colonne
di Marcello Veneziani - 07/02/2025
Fonte: Marcello Veneziani
Le metropoli, diceva Eugenio Montale, sono abitate da milioni d’eremiti. Penso che oggi la stessa cosa possa dirsi anche di città più piccole, perfino paesini. L’isolamento individuale è il tratto distintivo e universale dell’abitare odierno; non la solitudine, che può essere una scelta e perfino una beatitudine (Beata solitudo, sola beatitudo), ma l’isolamento, che è la perdita del mondo, il venir meno dei legami e dei rapporti comunitari. Lo sottolineava Hannah Arendt. Collegati col mondo, tramite il web ma sconnessi dai vicini e circostanti: viviamo da remoto, assenti nella prossimità. E poi famiglie sempre più ristrette, addirittura mononucleari (una contraddizione in termini). I mezzi di comunicazione ci fanno compagnia in solitudine e ci rendono soli in compagnia.
Descrivendo Scontentopoli, la città popolata dagli insoddisfatti, nel mio saggio dedicato agli Scontenti (Marsilio, 2022) ho sottolineato tre fattori come cause principali dell’alienazione urbana: la prevalenza del brutto nel nome della funzionalità abitativa; la tirannia del profitto nel nome della commercializzazione totalitaria; l’invasione dei clandestini e degli homeless che rendono estranei luoghi un tempo avvertiti come nostrani, famigliari.
I luoghi alienanti, e ancor più i non-luoghi, per citare Marc Augé, incattiviscono i loro abitanti. L’uomo non esiste solo nella dimensione individuale, ma è sempre inserito in un contesto vitale: “io sono io e la mia circostanza”, diceva Ortega y Gasset. Se vivi nel brutto, nel degrado, nell’informe, o dentro un ipermercato globale, finisci col detestare la città, ritenerla ostile, invasiva e minacciosa. La vivi in cagnesco e la patisci di conseguenza. E la casa diventa la sua antitesi, il riparo dalla città.
L’avvenire della città, a mio parere, è collegato alla ripresa di tre fattori di segno opposto rispetto ai precedenti: la riscoperta della dimensione civica, conviviale, comunitaria della città e del borgo; il recupero armonioso del bello in tutte le sue forme possibili; e infine, tema ancora più delicato e arduo: la riscoperta di un cuore sacro intorno a cui vive un borgo, un quartiere, una città.
Sono tre fattori che comportano tre rivoluzioni, o meglio una Rivoluzione che le comprende armoniosamente tutte e tre, anche perché ci sono nessi evidenti tra la bellezza e il sacro, la comunità e il sacro, la bellezza e la comunità. La storia passata affidava il sacro agli edifici religiosi, la cattedrale, le chiese, ma a volte solenni erano anche gli edifici di uso civico, militare o dedicati alla memoria storica dei grandi e degli eroi. Poi affidava la bellezza soprattutto alle piante, ai fiori, ai giardini, oltre che al lindore delle strade e dei muri, alla vivibilità dei suoi quartieri e dei suoi angoli. E affidava la comunità ai luoghi preminenti di socializzazione, la parrocchia o il duomo, le associazioni lavoristiche o dopolavoristiche, i movimenti, i sindacati e i partiti, i circoli e le sale d’intrattenimento, teatri e cinema inclusi. Si tratta di ripensare queste dimensioni vitali nel nostro presente, di ritrovarle dopo il web, dopo le chiusure (aggravate dalla pandemia), oltre i muri invisibili che ci impediscono di vivere la comunità, la bellezza e il sacro.
Impossibile pensare alla polis senza la dimensione politica che ne determina le condizioni e i piani; ma è impensabile una nuova politica senza un pensiero, una visione e una visuale che ne allarghino il campo e ne allunghino lo sguardo. Non potendo immaginare la tabula rasa, ma dovendo ripartire dalla realtà e da quel che è già nella realtà, con tutte le sue imperfezioni, si tratta di ritrovare una nuova luce e un nuovo sguardo alle cose, dopo averle riformate, ristrutturate, rimodulate per quel che è possibile. Ma la rivoluzione è culturale prima che urbanistica, esistenziale prima che architettonica, spirituale prima che ingegneristica.
Non si tratta di cercare la Città Ideale, che si perde nei cieli dell’Utopia, ma la Civitas Hominis a misura storica, che abita la realtà con la mente del mito e usa la creatività per risvegliare la tradizione. Città è la casa comune a cielo aperto, di noi concittadini e consorti.