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La cultura progressista come cultura di guerra

di Vincenzo Costa - 30/10/2024

La cultura progressista come cultura di guerra

Fonte: Vincenzo Costa

In "Modelli di cultura" Ruth Benedict accenna a quei popoli che non solo appellano se stessi come "gli uomini", escludendo così dal novero degli umani tutti gli altri, ma si vedono costretti a guerre continue contro tutti gli altri, perché essere in pace con loro significherebbe ammettere che siano uomini.
L'idea stessa di pace non può apparire dentro questa rete di significati. È semplicemente un non senso.
La cultura progressista è la riproduzione di questa mentalità mitica nell'età della tecnica. Segna una ricaduta del pensiero occidentale nel mito.
Il cristianesimo era stata la grande rottura con questo mito, che dimorava sia nella cultura greca (come Erodoto racconta degli sciti la dice lunga) sia nella cultura ebraica, in cui la giustizia è si verso l'orfano e la vedova, ma solo se appartenenti al popolo ebraico, al sangue e alla razza.
San Paolo, spaccando la comunità cristiana primitiva, spezza questa mitologia.
Ma il mito trova sempre le sue strade per riaffermarsi. Nell'idea di progresso vibra questa istanza mitica, e c'è un lungo percorso attraverso cui, a partire da Locke, questa mitologia diventa qualcosa di ovvio e di indubitabile.
Questo dilagare del mito lo abbiamo chiamato progresso.
Il compito , oggi, è emanciparsi da questo mito, da questa ricaduta nel chiuso.
Entro l'orizzonte progressista l'alterita' dell'altro può apparire solo come mostruosità, come qualcosa di illegittimo, che non ha diritto a esistere, che bisogna raddrizzare, con la minaccia, il ricatto, le sanzioni e la guerra.