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La decrescita ci salverà come sostiene Jason Hickel…. Se abbiamo il coraggio di fare un passo in più

di Gloria Germani - 03/09/2022

La decrescita ci salverà come sostiene Jason Hickel…. Se abbiamo il coraggio di fare un passo in più

Fonte: Gloria Germani

A proposito di  Jason Hickel ,  Less is more: how Degrowth will save the World, W.Heiemann, 2020 - Trad. it. Siamo ancora in tempo,  come una nuova  economica può salvare il pianeta, Torino, il Saggiatore, 2020.

Non c’è dubbio che il  nuovo libro dell’antropologo  J. HIckel – Meno è meglio, come la Decrescita salverà il mondo,  sia molto   bello, argomentato  ed entusiasmante, per quanto   il suo lavoro  precedente,  The Divide: A brief guide to global inequality and its solution  (W.Heiemann, 2017)   sia, a mio avviso,    ancora  più ricco ed innovativo.   Quest’ultimo infatti fornisce  una serie di dati  inconfutabili sulla responsabilità del processo di colonizzazione  ad opera degli europei,  nella  creazione del mondo  attuale  con le  sue drammatiche   conseguenze sia  a livello sociale che ecologico.   
Venuto a conoscenza  solo in tempi  recenti  del dibattito che va sotto il nome di “Decrescita”, Hickel  costruisce  un testo  denso ed articolato  in cui  mette a  fuoco  il vero responsabile   che ci ha portato  attraverso  gli ultimi  tre  secoli  alla situazione attuale, cioè  l’imperativo  della  crescita che   è la legge intrinseca  dell’economia moderna  e del  capitalismo. Possibili  colpevoli   -troppo spesso   evocati - come le corporations, la finanziarizzazione,  il neoliberismo globalista, la disonestà,  sono accantonati per mettere  a fuoco  quella che  è  l’essenza stessa dell’economia  moderna - sulla scia  della teorizzazione soprattutto di   Serge Latouche -  la crescita.  Secondo l’antropologo,  l’idea di decrescita  oggi  è  essenziale   perché ci scuote dallo stordimento in cui siamo finiti,   perché il culto  della crescita  economica  è arrivato a rimpiazzare  ogni forma di  pensiero, non ci fa più  cercare risposte  alle  domande su  qual è il fine della vita  o   su dove stiamo andando. Per Hickel  “La decrescita è un idea di cui oggi non si può fare a meno” (p.261) e suscita  addirittura sdegno  il fatto che  l’ editore italiano abbia invece  preferito nascondere  il termine  nel titolo del  libro.
L’autore  arriva giustamente  a  chiarire un altro punto estremamente  importante:  il capitalismo e la sua legge sono    in realtà solo l’ effetto di una atteggiamento ancora più profondo che riguarda  l’universo mentale.  “ Il vero problema  si trova ad un livello molto più profondo, nel regno dell’ontologia: nella nostra teoria  dell’essere” – scrive Hickel ( p. 41) .  E’ precisamente perché  è radicato in  livelli  culturali   molto stratificati,  che è così difficile  cambiare  l’attuale  orientamento economico   anche   quando i suoi  effetti  nefasti sono così eclatanti:  collasso climatico, sesta estinzione di massa,  plastificazione degli oceani, desertificazione dei suoli.  Come A.Porciello  nel suo recenti  Filosofia dell’Ambiente ( 2022), anche HIckel  sostiene: “ Non è soltanto la nostra  economia a dover cambiare. Dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo  e il nostro posto del mondo” ( p.43).  
L’ atteggiamento  di fondo  che  dobbiamo  abbandonare  per invertire la rotta, riguarda  il rapporto tra uomo e natura   o,  in altre parole,   la  separazione  con cui  l’uomo  moderno   ha  percepito  se stesso distaccato dalla natura: il dualismo (p.73 sgg).  Hickel  giustamente  fa risalire  questa caratteristica a  Cartesio  e Francis Bacon  ( con cui   si inaugura  la filosofia dualistica per cui la natura è un oggetto  inerte e meccanico ) e a  Thomas Hobbes e a John Locke che trasportarono questa visione in campo  politico e sociologico.  A differenza di tante  società indigene conosciute dagli antropologi,  la natura smise di essere una madre amorevole e nutrice  per diventare mera materia da dominare e modificare.
Il brillante antropologo  ha senz’altro  il merito di aver  messo a fuoco che  la legge della crescita nasce dalla separazione dualistica avvenuta nel  pensiero  occidentale a cavallo tra Seicento e Ottocento.  “La filosofia dualistica  è responsabile della nostra crisi ecologica"- afferma  anche  Hickel (p.41).  Tuttavia  egli   evita  accuratamente di  toccare i temi  scabrosi della scienza  o della tecnologica  anche se  è fuori  dubbio che hanno avuto  origine  in questi  secoli e nella medesima compagine culturale.  A differenza dei poderosi  studi di Fridjof Capra, soprattutto in  Il punto di svolta del  1982,   Hickel non parla del  dualismo cartesiano-newtoniano  come dell’origine   fondamentale della scienza  occidentale  - materialistica, meccanicistica e riduzionistica -  che proprio perché  concepita in tal modo,  ha reso possibile la tecnologia e i suoi  sconvolgenti sviluppi. Anzi,  si tiene  cautamente  al  margine della  spinosa  questione, intitolando  un capitolo  “Cartesio rItwittato”, come se si trattasse di un atteggiamento  deviato  isolato,  e stupidamente  ripetuto.
Non possiamo dimenticare che    Newton  è stato il primo  a parlare di  tempo assoluto  come  di un entità  che scorre indipendentemente da ogni  attività  umana  ed  è difficile  non collegare  le sue teorie  alla fortuna  che ha avuto, da allora in poi, l’idea di  crescita  e   di  sviluppo che scorrono  imperturbabili   verso un  futuro  di Progresso . Non possiamo  neppure  scordare che i facili  successi  a breve termine della scienza e della  tecnologia  occidentali  sono  stati  il potentissimo motore  prima   della colonizzazione  e oggi della  globalizzazione ed è quest’ultima che ha finito per  schiacciare le altre culture che si basavano  sulla verità  che “tutto  è collegato”( come Hickel intitola l’ultimo capitolo)    
Le popolazioni indigene che  l’antropologo    ricorda (p.230 sgg.) -i cewong, achuar, debamuni, kanak – si nutrivano  degli    insegnamenti degli antenati che  non conoscevano   il dualismo  tra  uomo-natura  al pari della odierna fisica quantistica.    Una visione  più interculturale  della storia delle  idee, ci insegna però che anche  gli  indù, i buddisti, i giainisti, i  confuciani ed altre popolazioni  avevano  costruito   civiltà millenarie  proprio sul non dualismo , sul fatto che  tutto  è interrelato ed interconnesso  e  in base a questa visione del mondo avevano dato vita a  maniere di concepire l’uomo, la società, l’ecologia,  di fare  arte, architettura,  e soprattutto di  concepire l’economia,  in maniera  radicalmente diversa .
Hickel evita  di entrare  a fondo  su  questi argomenti  e invece attribuisce  in maniera semplificatrice la nascita del dualismo  uomo-natura, ovvero dell’idea di dominio, al “Periodo Assiale” cioè a quella fase  tra  l’800 e il  200 a.C.    in cui  -secondo il filosofo e psichiatra K.Jaspers  - in tutto il mondo si formarono le religioni  considerate  “trascendenti “(p. 66 sgg.).  Vengono  così  superficialmente accumunate  esperienze  completamente diverse come  l’induismo in India  o il confucianesimo in Cina con la  tradizione giudaico –cristiana con le sue caratteristiche  prettamente antropocentriche, così evidenti  per esempio nella Genesi.  Anche  l’inclusione di Platone  nella  supposta  corrente che  ha conferito  all’uomo il dominio sulla natura, tradisce una  falsa interpretazione del cosiddetto  “dualismo platonico”,  atta  in fondo  a  non intaccare le certezze del “superiore pensiero  scientifico” che, a partire dal suo araldo Aristotele,  ha  dato forma al pensiero occidentale.
Hickel  sottolinea  giustamente che non sarà la tecnologia a salvarci e  ripetutamente  richiama il fatto che” i progressi della ricerca scientifica  hanno dimostrato che  non solo che Cartesio si sbagliava, ma anche  che, sotto alcuni aspetti  fondamentali, il pensiero animista  era più  in  sintonia  con il modo in cui  la vita funziona” (p. 240). D’altro canto, la  fisica quantistica   ha del tutto sconfessato  gli  assiomi  su cui è stato  costruita l’industrializzazione: tempo e spazio assoluti, materia inerte, oggettività, legge  univoca di causa ed effetto.  Nonostante questo,  egli ammette che ancor aggi nelle società occidentali la maggior parte della persone è convinta che gli esseri umani siano  fondamentalmente distinti dal resto della natura (p. 242).
E’ indiscutibile  che il libro  offra tantissimi spunti   interessanti e   forieri  di  una nuova  speranza per cambiare radicalmente  il nostro atteggiamento  verso l’economia che sta  distruggendo il pianeta.  Tuttavia  un analisi più  spregiudicata del nesso tra l’errore  del dualismo  e l’epopea della scienza moderna con  le sue sorelle –l’industrializzazione e lo sviluppo  tecnologico - sarebbe più  incisiva per tracciare nuove strade -  piuttosto  che limitarsi a constatare che “ quattrocento anni dopo continuiamo a ritwittare Cartesio” (p. 242).
Infatti non si tratta tanto di  cambiare l’economia  ( secondo i 5   brillanti punti  indicati da Hickel, tra cui proibire la pubblicità)   ma occorre   addirittura uscire dall’economia come sta indicando il padre nobile della decrescita: Serge  Latouche. Se non critichiamo alla radice l’esistenza di una “Scienza  Economica” ( fondata da A.Smith) insieme  alla  specializzazione e al riduzionismo  delle Scienze moderne, continueremo  a  "verniciare di un verde ormai sbiadito" lo squallore della civiltà industriale” (G.Dalla Casa).
E’ necessario  che  rimettiamo la prospettiva economia  ( eco-nomos) dove è sempre stata – come  dicevano Karl Polanyi  e Tiziano Terzani -  incastrata  nell’intreccio di  ecologia, etica,  rapporti umani  e dimensione affettiva e relazionale  con altri essere senzienti, ma anche con tutto  l’ecosistema  di cui facciamo parte.
Forse, pian piano, sta passando il concetto che la crescita infinita è impossibile in un mondo finito, ma” il progresso della scienza e della tecnologia restano  ancora  idoli intoccabili. Lo scientismo pandemico ne è una conferma”( L.Madiai). Dobbiamo davvero  fare un passo in più.