La decrescita privilegia la natura e penalizza il mondo umano?
di Paolo Scroccaro - 09/06/2022
Fonte: AFT
La contrapposizione uomo-natura si è affermata in modo perentorio all’inizio della
modernità, in polemica con le saggezze premoderne, che prevedevano invece
un’alleanza o addirittura un’appartenenza dell’uomo alla natura. Non si tratta di
privilegiare la natura, ma di ricomporre un equilibrio andato perduto, con
conseguenze devastanti.
L’armonia tra umani e natura è centrale in molte saggezze premoderne di ogni dove;
restando in Occidente, possiamo citare la linea cosmocentrica della filosofia greca (da
molti presocratici fino ai circoli neoplatonici), portatrice di grandi insegnamenti
idealmente rivolti all’equilibrio tra tutti gli esseri (umani, animali e non solo). L’idea di
fondo era semplice e profonda: nessun ente, nessuna energia cosmica può espandersi
oltre misura (vedi faq n. 8 sul senso del limite), perché questa prevaricazione, lungi
dal rimanere circoscritta, comporterebbe inevitabilmente l’alterazione degli equilibri
cosmici, con gravi ripercussioni ampiamente descritte dagli autori del passato1
. La paideia greca si configura per lo più come una grande impresa formativa, che ha lo
scopo di educare al senso del limite l’ente maggiormente esposto alla seduzione della
dismisura e della potenza, cioè l’uomo: molte opere classiche, che costituiscono o
dovrebbero costituire un vanto della tradizione occidentale, sono dedicate proprio a
questo tema.
Con l’avvento del Cristianesimo, e specialmente con la rilettura fornita dai padri della
chiesa (Agostino in testa), la preesistente tradizione cosmocentrica viene disattesa su
alcuni punti cruciali, così da preparare quel rovesciamento di valori che sarà portato a
compimento nel corso dell’età moderna, quando finisce per imporsi stabilmente un
nuovo immaginario , nettamente antropocentrico, i cui tratti essenziali finiscono per
celebrare la contrapposizione uomo-natura e il diritto/dovere del soggetto umano a
dominare la natura, deprivata ormai di ogni sacralità e di ogni valore intrinseco. In
questo nuovo contesto culturale, il concetto di progresso fa tutt’uno con la crescente
manipolazione della natura per fini umani: di contro, i popoli extraeuropei risultano
per lo più arretrati, nella misura in cui non dispongono di potenza tecnologica
funzionale al dominio sulla “nemica” natura. Queste idee-forza del nuovo
immaginario, tradotte in linguaggio economico, permetteranno di elaborare il dogma
fideistico e aggressivo della crescita economica ad oltranza, oltre ogni limite:
espressione privilegiata della potenza umana che si moltiplica all’infinito e che
sottomette tutti gli altri esseri. Questo immane progetto di espansione e di dominio,
che poteva sembrare in parte utopistico ai tempi di F. Bacone e Cartesio, è diventato
realtà nel corso degli ultimi secoli, e particolarmente in alcune aree del pianeta. Gli
scienziati non allineati se ne sono occupati ampiamente, proponendo anche dei
criteri per valutare il peso crescente esercitato dagli umani sulla Terra. Il concetto di
“Impronta ecologica” ha avuto un notevole successo, perché permette di misurare
l’impatto esercitato sul pianeta dagli individui e dalle popolazioni. Tuttavia, come ha
fatto notare David Orton, è un concetto che resta sostanzialmente antropocentrico:
anche se permette di tratteggiare le enormi disparità di consumo tra i vari popoli, e
l’insostenibilità delle economie avanzate, per il resto si dà quasi per scontato che,
entro certi limiti ottimali, gli umani possano mettere sotto pressione l’ambiente in cui
vivono, senza considerare le esigenze delle altre specie.
Complementare, ma molto più interessante, per i nostri scopi, il concetto di
Appropriazione umana della Produzione Primaria Netta 2, anticipato da Peter
Vitousek e altri nel 19863, perché è maggiormente incentrato sulla relazione tra
umani e natura, tra umani e tutti gli altri esseri. Esso permette di fotografare
l’espansione aggressiva dell’attivismo umano, e il conseguente restringimento degli
spazi vitali per le altre specie. Qualche dato essenziale sarà utile per farsi un’idea dei
profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi secoli. Secondo gli studi riportati da
Mario Giampietro 4, nel 1700 gli umani riuscivano a disporre di meno del 5% della
produzione primaria netta; nel 1900, l’appropriazione umana ha avuto
un’accelerazione terribile, arrivando (in terraferma) al 40%; nel 2000, si stima che
l’utilizzo umano riguardi il 50% della produzione primaria5
. Con quali conseguenze?
Nel 2005 il M.E.A. (Millennium Ecosystem Assessment) ha avvertito che questo livello
di appropriazione da parte di una singola specie va considerato un inquietante
pericolo pubblico, per una serie di motivi, riassumibili come segue:
- L’espansione abnorme dell’appropriazione umana colpisce direttamente o
indirettamente le altre specie, molte delle quali sono infatti in estinzione.
- Il degrado degli ecosistemi, e quindi l’affievolirsi di molti servizi ecosistemici6,
sono una minaccia per l’intera rete della vita, e dunque anche per il mondo
umano.
- La depurazione dell’acqua e dell’aria, la regolazione climatica, l’assorbimento
di carbonio, la fertilità del terreno … sono servizi indispensabili per la vita
umana e non umana, e non possono essere validamente sostituiti dalla
tecnologia7.
Lo squilibrio del nostro tempo, dovuto all’eccesso abnorme di appropriazione
umana, nelle linee generali corrisponde alla diagnosi fatta dagli antichi padri della
decrescita; correlativamente, anche il rimedio possibile finisce per rispecchiare
tali insegnamenti: infatti, qualsiasi ipotetica soluzione deve necessariamente
passare per un ridimensionamento dell’appropriazione umana, condizione
indispensabile per richiamare una nuova armonia tra esseri umani e non umani,
tra umani e natura in generale. Questo è un tratto fondamentale di una strategia
di decrescita, che non comporta la penalizzazione del mondo umano, ma caso mai
di un cieco antropocentrismo produttivistico che ha generato squilibri epocali che
non è in grado di risolvere.
Note
1 Un antico padre del pensiero ecosistemico e della decrescita ante litteram ha espresso molto bene
questo punto, scrivendo che quando gli enti diversi e opposti “ricevono armonia e saggia
combinazione, allora portano la buona annata e la salute agli uomini, a tutti gli animali e ai vegetali, e
non producono danni”. Invece, quando la prevaricazione “prende il sopravvento… distrugge e
danneggia mille cose; perché da qui provengono le epidemie in generale e molte altre diverse malattie
agli animali e alle piante” (Platone, Simposio, XII, 187e; XIII, 188 a-b).
Quaderno di Ecofilosofia n. 33
2 La Produzione Primaria Netta (Net Primary Production, NPP) viene definita come l’insieme della
materia organica realizzata tramite la fotosintesi, ed è la fonte primaria di cibo/energia/risorse per
tutti gli esseri incapaci di fotosintesi, uomo compreso. Tra i ricercatori, vi sono discordanze nel modo di
calcolarla, e tuttavia in linea di massima l’appropriazione umana di essa comprende sia il consumo
diretto di NPP in forma di cibo, legname, combustibile ecc., sia la contrazione di NPP dovuta
all’interventismo umano (cementificazione, deforestazione, desertificazione…).
3 Peter M. Vitousek, Paul R. Ehrlich, Anne H. Ehrlich and Pamela A. Matson (1986) Human
Appropriation of the Products of Photosynthesis. BioScience 36: 368-373.
4 Mario Giampietro, Qualità delle fonti energetiche (in Agroenergie per lo sviluppo rurale: scenari a
confronto. Veneto Agricoltura, 2006).
5 E’ facilmente intuibile che ulteriori incrementi demografici, per di più inseriti in un contesto culturale
fortemente antropocentrico e sviluppista, faranno ulteriormente salire i livelli di appropriazione, con
conseguenze sempre più devastanti. D’altronde, i dati riportati riguardano un valore medio: nei paesi
più “sviluppati”, il livello di appropriazione è già di gran lunga superiore a quello medio.
6 Secondo il M.E.A., due terzi dei servizi ecosistemici a livello mondiale sono ormai in declino.
7 La civiltà urbana, che si è allontanata anche fisicamente dalla natura, sovrapponendole un mondo
artefatto, si affida all’ottimismo tecnologico, e non ha consapevolezza della sua costante dipendenza
dai sistemi naturali: questa mancanza di ecoalfabetizzazione ha favorito il dilagare massivo di
comportamenti distruttivi e irresponsabili, che finiscono per convergere nell’ossessione per la crescita
economica. Ma “la natura batte per ultimo”, come ha detto Gary Snyder.