La destabilizzazione americana del mondo ortodosso
di Antonio Catalano - 11/01/2023
Fonte: Antonio Catalano
Chi voleva capirlo lo ha capito: il 24 febbraio non segna l’inizio della guerra russo-ucraina. Gli altri, quelli in buona fede, saranno convinti dai fatti materiali quando questi gli urleranno nei timpani la realtà delle cose. Mentre, quelli in busta paga della propaganda Nato, continueranno a ripetere il verbo impartito da Washington, almeno fino a quando gli attuali scenari lo consentiranno, poi si vedrà… della serie siam tutti antifascisti quando il fascismo cade.
Chi ha capito come sono andate le cose sa quindi che l’intervento russo scaturisce dalla pluridecennale strategia americana di avanzamento verso oriente, nello specifico con le manovre tese a utilizzare l’Ucraina in funzione anti russa, in particolare a partire dal colpo di stato procurato a Kiev nel 2014. Un processo che si è concretizzato nell’insediamento di avamposti Nato nei paesi dell’ex campo sovietico, nell’eseguire grandi esercitazioni ai confini occidentali della Russia, nell’imporre ai sudditi europei sanzioni commerciali contro gli stessi propri interessi (obiettivo principale: spezzare l’asse Berlino-Mosca) e, da un anno a questa parte, nel finanziare armare e istruire il collaborazionista Zelensky.
Ma la guerra alla Russia si è giocata oltre che sul piano commerciale, economico, politico, diplomatico, militare, culturale anche su quello religioso. Tralasciare o addirittura negare quest’ultimo piano è segno di una miopia che impedisce di scorgere la forza che sprigiona il fattore religioso nel movimento reale, specialmente in un’area in cui la religiosità è forte elemento identitario e si combina con un profondo richiamo ai valori della tradizione.
Motivo per cui gli Usa, con il suo Dipartimento di Stato, si sono mossi da tempo per favorire la rottura delle varie Chiese ortodosse (autocefale, ovvero autonome) nazionali con Mosca. Processo culminato nell’imposizione in Ucraina della celebrazione del Natale il 25 dicembre invece che il 7 gennaio, come è tradizione per il mondo ortodosso di orientamento moscovita, che segue il calendario giuliano.
L’Occidente collettivo (come da un anno a questa parte definiscono in Russia l’Occidente), col suo transumanesimo, il suo sesso fluido, il suo neo malthusianesimo, la sua cancellazione della storia e le sue altre distopie che attentano la gerarchia naturale dei valori umani, è vissuto in Russia come minaccia contro la quale opporre un sistema di valori basato sulla tradizione della civiltà cristiana della quale ci si sente depositari. Per capire meglio quale sia la distanza culturale e antropologica che separa l’animo russo da quello occidentale si leggano, per esempio, le recenti dure parole del Segretario del Consiglio di Sicurezza della Russia, Nikolaj Patrušev.
«L’Occidente promuove valori neoliberali contrari alla natura umana. Le corporation transnazionali influenzano le politiche dei vari paesi, come esperimenti con agenti patogeni e virus pericolosi condotti nei laboratori biologici militari gestiti dal Pentagono. Dopo aver fatto il lavaggio del cervello alle persone con la propaganda di massa, adesso l’Occidente cerca di utilizzare armi cognitive targettizzando tutti e ciascuno attraverso tecnologie informatiche e mezzi neuropsicologici mentre l’agenda Lgbt punta a ridurre gradualmente il numero di persone in più che non rientrano nel famigerato miliardo d’oro [espressione indicante il totale della popolazione dei paesi sviluppati]. Quelli che promuovevano gli ogm sono gli stessi che oggi esortano le donne a non avere figli per combattere il cambiamento climatico. I ricercatori di oltre oceano stanno misurando e calcolando gli esseri umani come facevano gli scienziati nazisti, per stabilire criteri di distinzione tra razze superiori e inferiori».
Insomma, per esprimerci con linguaggio religioso, una Russia che si vive come una sorta di Katéchon (concetto biblico che sta per “colui che trattiene”) contro l’Anticristo rappresentato dal dissoluto e satanico Occidente, quasi si fosse finalmente giunti all’inveramento della profezia di Mosca “Terza Roma” del monaco Filiteo. Il quale, nel 1520, predisse l’assunzione della capitale russa del ruolo di unico baluardo della fede, dopo la caduta delle due precedenti capitali, Roma e Costantinopoli. La tradizione vuole infatti che il monaco Filiteo, rivolgendosi al Granduca Vasily III, ebbe a dirgli: «Ricorda che le due Roma caddero, la terza, Mosca, sta e non ci sarà una quarta».
Le agenzie di alta intelligence occidentali si sono scatenate in tutti i Balcani per dividere le Chiese ortodosse dalla Chiesa ortodossa russa; e purtroppo ci sono riusciti, incassando la costituzione della “Chiesa ortodossa dell’Ucraina” e il suo riconoscimento da parte delle altre Chiese ortodosse.
Grande artefice di questo lavoro è stato Geoffry Pyatt, che, insieme a Vittoria Nuland (quella che nel 2014 a Kiev distribuiva biscottini a Maidan e incitava al colpo di stato contro il legittimo governo ucraino) gestì la situazione all’epoca dei violenti fatti del 2014 a Kiev. Pyatt, una volta svolto il compitino in Ucraina viene trasferito dal Dipartimento americano in Grecia, dove si dedica a “condizionare” (qualcuno dice corrompere) il patriarca “primus inter pares” (nel mondo ortodosso non c’è un papa) Bartolomeo di Costantinopoli, fino a che questi non cede. Ed ecco che nel settembre del 2018 il Dipartimento di Stato americano dichiara in modo perentorio che gli Stati Uniti sostengono l’autocefalia in Ucraina e considerano il patriarca Bartolomeo come la voce della tolleranza nel mondo. Come può il patriarca Bartolomeo, lusingato da questa attribuzione, deludere i suoi amici americani? Quindi, nel gennaio 2019, concede il Tomos (documento) di autocefalia alla “Chiesa ortodossa dell’Ucraina”. Ottimo lavoro, Geoffry!
Il rapporto di collaborazione tra Bartolomeo e i suoi nuovi padrini culmina nel viaggio di 12 giorni negli Stati Uniti dell’autunno scorso (23 ottobre – 3 novembre 2022). Dodici giorni fitti di incontri e di ricevimenti, in cui il patriarca “ecumenico” (quanto piacciono ai globalisti patriarchi e papi “ecumenici”!) parla di libertà religiosa, maggiore giustizia ambientale, accesso universale al vaccino anti covid, situazione in Medio Oriente e Nord Africa. In un eccesso di trasporto, Bartolomeo arriva a definire Biden «un uomo di fede e lungimirante, che offrirà a questo meraviglioso Paese e al mondo la migliore guida e direzione». E poi, in qualità di “costruttore di ponti”: «Il cammino verso l’unità dei cristiani non è stato né pacifico né indolore. L’unità è un compito che resta difficile da realizzare. Ma i vincoli di amicizia tra le Chiese divise e i ponti attraverso i quali possiamo superare le nostre divisioni sono indispensabili, ora più che mai». Proprio a questo proposito, Bartolomeo indica come esempio l’appello per la protezione dell’ambiente lanciato «per la prima volta nella storia del cristianesimo» insieme a Papa Francesco e all’arcivescovo di Canterbury.
Solo di sfuggita, e mi avvio alle conclusioni, un richiamo al diverso atteggiamento americano nei confronti di papa Benedetto XVI, del quale si osteggiò – come scrive Germano Dottori su Limes di maggio 2017 – in tutti i modi la «ferma volontà di pervenire a una riconciliazione storica con il patriarcato di Mosca, che sarebbe stata nelle sue intenzioni [del papa] il vero e proprio coronamento religioso di un progetto geopolitico di integrazione euro-russa sostenuto con convinzione dalla Germania e anche dall’Italia di Silvio Berlusconi – ma non quella più filo americana, che si riconosceva in Giorgio Napolitano. Come è andata a finire» conclude l’articolo di Dottori, «è noto a tutti. Governo italiano e papato sarebbero stati simultaneamente investiti da una campagna scandalistica, coordinata, di rara violenza e priva di precedenti, alle quali sarebbero associate anche manovre più o meno opache nel campo finanziario, con l’effetto finale di precipitare nel novembre 2011 l’allontanamento di Berlusconi e nel febbraio 2013 l’abdicazione di Ratzinger».
I fatti prima sinteticamente esposti permettono di inquadrare meglio la posizione evidentemente filo-ucraina di papa Bergoglio, nonostante quell’«abbaiare della Nato alle porte di Mosca» pronunciato nel giugno scorso, compensato dalla recente “scivolata” in un’intervista rilasciata sulla rivista dei gesuiti “America” in cui definisce ceceni e buriati (due popoli della Russia) i più crudeli tra i militari russi. Cosa che ha suscitato l’ira della portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, la quale ha replicato così: «Le parole del Papa sulla crudeltà dei ceceni e dei buriati non sono più una prova di russofobia, ma una perversione della verità». Incidente chiuso dopo le scuse del Vaticano. Ma con la Zakharova che lascia ben intendere come questo “incidente” abbia chiuso definitivamente qualsiasi possibilità che il Vaticano si sieda a un futuro tavolo di trattativa in qualità di parte mediatrice.
Queste manovre tese a spaccare il mondo dell’Ortodossia non potevano che trascinare l’Ucraina in una spirale di vera e propria caccia alle streghe e repressione, ispirate dal governo banderista di Zelensky. Con tanto di individuazione dei “traditori” nel clero, di aggressioni fisiche (vedi l’accoltellamento dell’arciprete Kovtonyuk davanti all’altare della sua chiesa), di irruzione nei luoghi di culto (vedi monastero delle grotte di Kiev), di arresti di ecclesiastici e suore, di minacce a semplici fedeli di osservanza moscovita, di chiusura di chiese di rito russo. Fino ad arrivare alla proclamazione del 2 dicembre 2022 del decreto che bandisce la Chiesa ucraina filorussa, che ha un peso rilevante in Ucraina.