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La “distruzione creativa” del modello russo di relazione con l’Occidente

di Alastair Crooke - 06/03/2022

La “distruzione creativa” del modello russo di relazione con l’Occidente

Fonte: SakerItalia

L’Occidente collettivo era già arrabbiato. Ed è fuori di sé dopo che il Presidente Putin ha scioccato i leader occidentali con l’ordine di lanciare un’operazione militare speciale in Ucraina, che è in larga parte descritta (e, in Occidente, percepita) come una dichiarazione di guerra: “un attacco ‘colpisci e terrorizza’ che tocca gran parte delle città in tutta l’Ucraina”. In effetti, l’Occidente è così arrabbiato che lo spazio informativo si è letteralmente diviso in due: è tutto in bianco e nero, nessun grigio. Per l’Occidente, Putin ha sfidato Biden frontalmente, ha “cambiato i confini” dell’Europa unilateralmente e illegalmente ed ha agito come una “potenza revisionista”, tentando di cambiare non solo i confini dell’Ucraina, ma l’attuale ordine mondiale. “Trent’anni dopo la fine della Guerra Fredda, noi affrontiamo uno sforzo deliberato per ridefinire l’ordine multilaterale”, ha ammonito [in inglese] l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, “È un atto di sfida. È un manifesto revisionista, il manifesto per revisionare l’ordine mondiale”.

Putin è caratterizzato come un nuovo Hitler, e i suoi atti si afferma essere “illegali”. Si sostiene esser lui ad aver stracciato gli Accordi di Minsk II (eppure le repubbliche hanno dichiarato la loro indipendenza nel 2014, hanno firmato a Minsk nel 2015, ed è la Russia che, non avendo mai firmato gli accordi, non può certo averli rotti). In realtà, sono stati gli Stati Uniti ad aver messo il veto alla messa in pratica di Minsk fin dal 2014, e la pubblicazione della corrispondenza diplomatica da parte della Russia nel novembre 2021 ha mostrato come anche la Francia e la Germania avevano poca intenzione di premere su Kiev per una qualsiasi attuazione sensata degli accordi. E così, avendo concluso che una soluzione negoziata, come stipulato negli Accordi di Minsk, non sarebbe semplicemente avvenuta, Putin ha deciso che non aveva più senso aspettare prima di mettere in pratica le linee rosse della Russia.

L’ultimo Stephen Cohen scrisse [in inglese] sui pericoli di un tale manicheismo senza riserve, su come lo spettro di un Putin malvagio ha così sopraffatto e intossicato l’immagine che gli Stati Uniti hanno di lui che Washington non è stata capace  di pensare chiaramente, non solo su Putin, ma sulla Russia in sé. Il punto di Cohen era che una tale totale demonizzazione invalida la diplomazia. Come si distingue dal diavolo? Cohen chiede, come si è arrivati a questo punto? Lui suggerisce che nel 2004, Nicholas Kristof, l’opinionista del New York Times, involontariamente ha spiegato, almeno in parte, la demonizzazione di Putin. Kristof si rammarica amaramente di essere stato “fregato dal signor Putin. Lui non è una versione sobria di Boris Yeltsin”.

La maggior parte dei russi, tuttavia, sostengono Putin nel suo riconoscimento delle repubbliche del Donbass, a cui poi lui ha dato seguito con l’ottenimento dal senato russo dell’autorizzazione all’uso delle forze armate russe all’estero (come richiesto dalla Costituzione). La risoluzione del Consiglio della Federazione è stata unanimemente sostenuta da tutti i 153 senatori nella sessione straordinaria di giovedì.

Nel suo discorso alla nazione, Putin ha parlato con un’amarezza provata da molti russi. Gli sviluppi politici in Ucraina avvenuti dopo il 2014 lui li vede come un progettato per creare un regime anti-russo a Kiev, allevato dall’Occidente e con intenzioni ostili verso la Russia. Putin illustra questo punto spiegando che “Il sistema di controllo delle truppe ucraine è già stato integrato nella NATO. Ciò consente al quartier generale della NATO di dare direttamente ordini alle forze armate ucraine, perfino alle unità separate e ai plotoni”. La Costituzione russa, Putin fa anche notare, stipula che i confini delle regioni di Donetsk e di Lugansk siano là dov’erano quando erano parte dell’Ucraina”. Questa è una formulazione attentamente calibrata, i confini delle due repubbliche hanno subìto modifiche significative all’indomani del colpo di Stato del Maidan (in ballo qui c’è la rivendicazione storica di Donetsk sulla città costiera di Mariupol).

La dichiarazione di riconoscimento fatta da Putin era accompagnata da un ultimatum alle forze di Kiev, intimando loro di interrompere i bombardamenti di artiglieria lungo la linea del fronte oppure affrontare le conseguenze militari. Tuttavia , durante la sera di mercoledì la situazione sulla linea di contatto si era riscaldata, con scambi di artiglieria; ma nel primo mattino di giovedì, per la prima volta, Kiev usò i lanciarazzi multipli lungo la linea di contatto (chiaramente qualcuno nella parte di Kiev voleva un’escalation, forse per pressare Washington). Putin ordinò immediatamente quella Operazione Speciale per “de-militarizzare e de-nazificare l’Ucraina” che era stata evidentemente preparata in anticipo. Un paio d’ore dopo l’inizio dell’offensiva, i militari russi annunciavano di aver messo fuori uso tutti i sistemi di difesa aerea dell’Ucraina. Una massiccia presenza aerea russa, inclusi aerei da combattimento ed elicotteri, era confermata su tutto il paese.

Forse questa operazione (che Putin ha assicurato non prevedere l’occupazione dell’Ucraina) segue lo schema della Georgia del 2008, quando le forze russe si ritirarono dopo pochi giorni. È stato anche lo schema del Kazakistan. Semplicemente, non sappiamo se sarà così anche in Ucraina, molto probabilmente no. Quando Putin parla di ”de-nazificare”, si sta riferendo alla cooptazione statunitense delle formazioni neonaziste [in inglese] nelle forze armate ucraine per montare, nel 2014, il colpo di Stato del Maidan. La cosiddette Brigata Azov di neonazisti si è dimostrata essere la forza combattente più efficace per respingere la milizia della DNR nella regione del Donbass (l’Ucraina è la sola nazione al mondo ad avere [in inglese] una formazione neonazista nei suoi ranghi, e ci saranno conti da regolare).

Tuttavia, l’Ordine Speciale di Putin, come senza dubbio lui aveva previsto, ha scioccato profondamente l’Occidente con la sua decisa reazione militare. Ha messo il mondo, e i suoi mercati finanziari ed energetici [in inglese], in bilico.

In effetti, quest’ultimo aspetto può diventare quello più saliente. Nel 1979, i disordini nel Medioriente fecero schizzare in alto i prezzi energetici (proprio come sta accadendo oggi) e sprofondare le economie occidentali. Qualunque cosa ci porterà il domani, deve essere chiaro che la breve conferenza stampa del 22 febbraio sta agendo come si voleva: come un potente accelerante. La “distruzione costruttiva” [in inglese] del vecchio Ordine Globale procederà più veloce di quanto molti di noi si aspettassero. Segna la fine delle illusioni – la fine dell’idea che gli Stati Uniti abbiano imposto un ordine basato su regole rimane un’opzione.

Come interpretare la rabbia estrema dell’Occidente? Semplicemente così: al fondo, c’è la realtà. E quella realtà, cioè cosa ci possa fare l’Occidente, è tutto quello che conta, ed è … poco.

La prima realizzazione brutale alla base della rabbia è che l’Occidente non alcuna ha intenzione né, criticamente, possibilità, di contrastare militarmente le mosse della Russia. Biden ha ripetuto ancora il “mantra del niente scarponi sul terreno” subito dopo le operazioni militari russe. E per l’Europa, l’imposizione alla Russia di un regime sanzionatorio non poteva arrivare in un momento peggiore. L’Europa è di fronte alla recessione e alla crisi energetica preesistente (che sarà terribilmente aggravata dall’offerta tedesca del Nord Stream 2 agli affamati dei della vendetta). E l’impennata dell’inflazione (peggiorata dal petrolio a 100 dollari il barile) sta causando irritazione ai nervi dei tassi di interesse e delle obbligazioni sovrane. Ora la pressione è sull’Unione Europea per trovare sanzioni addizionali.

Sanzioni ci saranno, e colpiranno gli europei direttamente nelle loro tasche. Alcuni stati europei stanno montando azioni di retroguardia per limitare le sanzioni che potrebbero peggiorare la recessione europea in arrivo. Tuttavia, in un senso molto reale, rimane il fatto che l’Europa sta in effetti sanzionando sé stessa (subirà il maggior colpo dalle sue stesse sanzioni), e Mosca ha promesso di contraccambiare qualsiasi sanzione in modo da colpire gli Stati Uniti e l’Europa. Siamo in una nuova era. Questa prospettiva, e il doverla affrontare, rendono conto per una grande porzione delle frustrazioni e rabbia europee.

Washington afferma di avere una “arma omicida” puntata su Mosca: sanzionare i chip semiconduttori. “Questo sarebbe l’equivalente moderno dell’embargo petrolifero del XX secolo, poiché i chip sono il combustibile critico dell’economia elettronica”, argomenta [in inglese] Ambrose Pritchard sul Telegraph, “Ma è un gioco pericoloso anche questo. Putin ha i mezzi per tagliar fuori i minerali e i gas critici necessari a sostenere la catena di forniture occidentale necessaria all’industria dei chip semiconduttori”. In breve, il controllo che Mosca esercita sui minerali chiave strategici potrebbe dare alla Russia una leva simile a quella della morsa energetica dell’OPEC nel 1973.

Qui appare il secondo elemento dello sfogo di frustrazione europeo: il riconoscimento sottaciuto che la politica ucraina di Biden; il fallimento della diplomazia occidentale (tutta trattativa e nessun risoluzione dei problemi sottostanti); la maldestra gestione tedesca della questione Nord Stream 2, hanno condannato l’Unione Europea ad anni di declino economico e di sofferenza.

Il terzo elemento è più complesso ed è riflesso nel grido indignato di Josep Borrell che la Russia e la Cina sono due potenze “revisioniste” che tentano di rovesciare l’attuale ordine mondiale. La “paura” europea è basata non soltanto nel contenuto della dichiarazione comune di Pechino, ma probabilmente anche nel fatto che mai, nella sua intera vita, il Presidente Putin ha fatto un discorso al popolo russo come quello [entrambi in inglese] di lunedì. Né lui ha mai nominato gli americani come nemici nazionali della Russia utilizzando tali termini russi inequivocabili: promesse americane, senza valore; intenzioni americane: mortali; dichiarazioni americane: bugie; azioni americane: intimidazione, estorsione e ricatto.

Il discorso di Putin preannuncia una grande frattura. Sembra che gli europei (come Borrell) cominciano a rendersi conto di che punto di svolta rappresenti il discorso di Putin. Esso è incorniciato sull’Ucraina, eppure quest’ultimo problema, sebbene impellente, è incidentale rispetto alla decisione di Russia e Cina di cambiare per sempre il bilanciamento geopolitico e l’architettura di sicurezza del globo.

Quello che rappresenta il riconoscimento delle repubbliche del Donbass, è la manifestazione di quella decisione geostrategica precedente. È la prima messa in pratica di quella rottura con l’Occidente (mai assoluta, naturalmente), ed è lo svelarsi della compilazione fatta dalla Russia delle misure tecnico-militari disegnate per forzare una separazione del globo in due distinte sfere. La prima misura è stato il riconoscimento delle repubbliche; la seconda è stata il discorso di Putin; la terza, il successivo ordine per la “Operazione Speciale”.

Loro, l’asse Russia-Cina, vogliono la separazione. Che può avvenire o attraverso il dialogo (difficile, visto che il principio base della odierna geopolitica è definito dal non comprendere deliberatamente la “alterità” ), o deve essere raggiunto mediante una gara di dolore crescente (definito in termini di linee rosse) finché una parte o l’altra ceda. Naturalmente, Washington non crede che i Presidenti Xi e Putin credano veramente a ciò che dicono, e, comunque sia, l’Occidente ha un dominio crescente nel campo dell’imposizione del dolore.

Senza metterla in diplomazia, la Russia e la Cina hanno concluso che non sia più possibile condividere una società globale con un’America decisa ad imporre un ordine egemonico globale creato per “assomigliare all’Arizona”. Putin intende ciò che dice: la Russia ha le spalle al muro, e non c’è più alcun posto in cui possa ritirarsi, per loro si tratta dell’esistenza.

Il rifiuto dell’Occidente di ammettere che Putin “intenda proprio ciò che dice” (assicurando così il conseguente fallimento della diplomazia) suggerisce che questa crisi sarà con noi per almeno altri due anni. È l’inizio di una prolissa fase ad alto rischio dell’impegno, guidato dalla Russia, per modificare l’architettura di sicurezza europea in una nuova forma, cosa che l’Occidente, ad oggi, rifiuta. L’obbiettivo russo sarà di mantenere la pressione, e perfino la sempre presente latenza di guerra, in modo da tormentare i leader occidentali contrari alla guerra per spingerli a fare i cambiamenti necessari.

Alla fine, dopo una penosa lotta, l’Europa cercherà di riconciliarsi. L’America sarà più lenta: i falchi della Beltway [le tangenziali che circondano Washington] cercheranno di insistere. E saranno le situazioni dell’economia occidentale e dei mercati che potrebbero infine determinare il “quando”.

Articolo di Alastair Crooke pubblicato su Strategic Culture Foundation il 27 febbraio 2022
Traduzione in italiano di Fabio_san per SakerItalia