La distruzione pianificata dell'Italia
di Thomas Fazi - 12/05/2020
Fonte: Thomas Fazi
Questo grafico di Lucio Baccaro mostra la crescita del produttività del lavoro in Italia rispetto alla Germania. Come si può vedere, con la "liretta" la produttività nel settore manifatturiero è cresciuta molto più rapidamente in Italia che in Germania fino al 1995, per poi collassare.
Cosa sarà mai successo alla metà degli anni Novanta per determinare un'inversione così drastica? Quelli sono ovviamente gli anni della radicale riconfigurazione nostro assetto economico-istituzionale conseguente all’adesione dell’Italia alla sovrastruttura economica europea (post-Maastricht) e alle varie (contro)riforme regressive ad essa associate: fissaggio del tasso di cambio (perdita di fatto della sovranità monetaria), deregolamentazione/precarizzazione del mercato del lavoro, compressione dei salari, politiche fiscali restrittive e privatizzazione della grande industria pubblica.
In pratica tutte le "riforme" che avrebbero dovuto renderci più "forti" e più "competitivi" hanno avuto l'effetto diametralmente opposto: la deindustrializzazione e "mezzogiornificazione" dell’Italia – a beneficio soprattutto della Germania – e la retrocessione del nostro paese a un ruolo fortemente subordinato all’interno della gerarchia di potere europea.
Tutto ciò era facilmente prevedibile (ed infatti era stato previsto da numerosi politici ed economisti). Ma fu fatto lo stesso perché l'obiettivo non è mai stato quello di rendere l'Italia più forte, quanto quello di "spezzare le reni" ai lavoratori italiani ed espropriare la collettività di tutta una serie di beni pubblici.
In pratica le nostre classi dominanti hanno sacrificato il sistema-paese stesso sull’altare della loro guerra di classe. Ecco perché oggi salvare l'Italia - partendo dal recupero della sovranità monetaria e delle leve di politica economica - vuol dire anche e soprattutto combattere il nemico interno: le oligarchie neocoloniali che hanno svenduto il paese.