La famiglia
di Enrico Galoppini - 08/01/2023
Fonte: Enrico Galoppini
Non desidero compiacere nessuno e praticamente non accontenterò quasi nessuno, ma anche questo andava messo per iscritto affinché si sappia come la vedo io, il che ovviamente non significa che tutti la debbano vedere allo stesso modo. Ma chi non la vede allo stesso modo mi faccia il piacere di non farmi prediche o simili, sia "da destra" che "da sinistra".
L'argomento è: famiglia e figli.
Partiamo dalla cosa più scomoda da dirsi, e che - solo se mi si vuol fraintendere o prendere solo un pezzo del discorso, che va seguito fino in fondo - 'scandalizzerà' qualcuno. Qualcuno che s'è rivestito del personaggio del "difensore della famiglia", nel senso che "famiglia è bello" sempre e comunque. "Bello", così, tanto per fregiarsi di qualche addobbo moralistico ed appuntarsi allo specchio o davanti agli altri la medaglia del "bravo".
"Famiglia e figli" non è, di per sé, né "bene" né "male": ciascuno si regoli come meglio crede. Inutile nasconderselo: dietro ogni famiglia con figli (la coppia senza figli secondo me non è nemmeno una famiglia in senso stretto, e, ripeto, non sto giudicando nessuno) c'è anche (e sottolineo anche) una grande fatica. Fatica che tuttavia, ammettiamolo, è la radice quadrata di quella che hanno sopportato i nostri predecessori, i quali partivano da una base di ben poche possibilità materiali quando lasciavano le loro famiglie d'origine. Ma anche qui, andiamo oltre, ché ogni epoca ha le sue caratteristiche specifiche. Oggidì la fatica è di due tipi: organizzativa (ogni figlio comporta una miriade di cose da tenere sotto controllo e d'impegni) e educativa, poiché il principio di autorità è stato messo ovunque in discussione. La fatica, da che sovente era di tipo economico (mica per tutti, eh!), è diventata mentale, psicologica. Tutto ciò trova il punto di ricomposizione in un solo ed unico fatto: che l'uomo non fa l'uomo e la donna non fa la donna. Dunque in famiglia mancano perlopiù dei riferimenti chiari che sono "il padre" e "la madre". Un principio d'autorità certo ed un difensore dal mondo esterno; una presenza rassicurante, custode del "mondo interno".
Anche tra le mura domestiche tutto è diventato "fluido", negoziabile e discutibile. Non si sa più "chi fa cosa" ed è misconosciuta, per ideologia, una gerarchia chiara, lineare, presente in ogni dove, dal lavoro alla scuola pena il caos, mentre nella famiglia vige il sistema dell'assemblea permanente d'istituto "a maggioranza". Con tutta la fatica che ciò comporta. Se poi (ma le cose son tutte correlate) a ciò si aggiunge che si mette su famiglia senza chiarirsi se si è disposti a "sacrificarsi", ecco che la dimensione della fatica ad un certo punto può diventare insostenibile per certuni. L'ego insoddisfatto dei genitori (o di uno solo dei due) è così capace di reclamare dalla "vita" il 'maltolto", ovvero "il piacere", perché nella famiglia ha solo coltivato il senso del "dovere" (che indubbiamente c'è e ci dev'essere), senza trovare di pari passo la dimensione della soddisfazione, trasformando 'alchemicamente' ciò che ad un certo livello può apparire solo quel che la nega e la impedisce. È una cosa difficile a spiegarsi a chi figli non ne ha, ma credo che qualcheduno possa capire. Ripeto, non m'interessa il commento di chi se ne esce con un "hai voluto i figli, ora pedala", anche perché per quanto mi riguarda "pedalo" e pure volentieri. Qui il punto è un altro: chiarire e chiarirsi con chi ha una sensibilità per questi argomenti così centrali - prepolitici! - che se non si è sufficientemente equilibrati sarebbe meglio lasciar perdere e dedicarsi al mero soddisfacimento dei propri "desideri" e basta. L'equilibrio, la ponderatezza e la perseveranza richieste per metter su famiglia sono immensamente superiori rispetto a quel che ci vuole per trovarsi un qualsiasi lavoro per campare: dal lavoro dipende la pura e semplice sussistenza, e per questo legioni di dannati, per ricatto, abbassano la testa e svolgono lavori che non amano affatto. Ma in famiglia non esiste la paura del licenziamento, quindi per molto meno di quel che si subisce in ufficio si mette su un Quarantotto, e tutto l'apparato pseudo-giuridico architettato dagli anni Settanta facilita senz'altro la fuga alla ricerca di un'illusoria "felicità". Una "felicità" a buon mercato, fatta di continue "novità" per gente annoiata ed incapace di capire che è proprio nel mettersi alla prova (e la famiglia è anche questo) che consiste la chiave per il superamento di quell'io per l'appunto illusorio come la "felicità" che insegue senza requie. In poche parole, tutta la "fatica" ed il "sacrificio" che i più oggi vedono nella famiglia hanno una radice antireligiosa di negazione di quei mezzi che la Provvidenza divina aveva messo a disposizione per trascendere se stessi e trovare così l'autentica Felicità. "Il matrimonio è metà dell'Islam", recita una celebre sentenza profetica: ciò significa che se "Islam" vuol dire "accettazione volontaria del volere divino", del fatto cioè che "non vi è altro che Lui" e che il nostro io individuale è illusione, per l'uomo ordinario vi era una "via" facilmente disponibile, quella del matrimonio e della famiglia, per svolgere l'improrogabile ed ineludibile "lotta contro l'ego".