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“La fine della storia” è finita il 24.02.2022

di Lucio Caracciolo - 17/11/2022

“La fine della storia” è finita il 24.02.2022

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Il 24 febbraio 2022 è definitivamente finita la fine della storia. Trent’anni dopo la pubblicazione del saggio di Francis Fukuyama sopra La fine della storia e l’ultimo uomo, l’invasione russa dell’Ucraina impone il sigillo all’illusione di emanciparci dalla prigionia del tempo, stigma d’ogni progressismo occidentale.
Fukuyama scriveva all’indomani del miracoloso biennio avviato dal crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e chiuso dal suicidio dell’Unione Sovietica (25 dicembre 1991), con i decisivi passaggi dell’unificazione tedesca (3 ottobre 1990) e dello scioglimento del Patto di Varsavia (1° luglio 1991). “Acta est fabula, plaudite!”: le parole con cui Augusto prendeva congedo dalla vita, culminata nella fondazione dell’impero che Virgilio aveva annunciato sine fine, parevano echeggiare nella tesi del politologo americano. Il presidente George H. Bush preconizzava un Nuovo Ordine Mondiale (ancora!), fondato sull’incontestata, pacifica, benevolente egemonia a stelle e strisce. I cantori della vittoria americana nella Guerra fredda annunciavano il trionfo della Nuova Roma. Pax americana, dunque?
Non proprio. Prima il lungo decennio della Guerra del Golfo e dei conflitti di successione jugoslavi, poi il ventennio della “guerra al terrorismo” con le fallimentari invasioni di Afghanistan e Iraq, infine la contestazione russa dell’ordine americano via “denazificazione” dell’Ucraina da restituire al rango di Piccola Russia, parallela all’analoga sfida cinese al primato di Washington centrata sul “rimpatrio” di Taiwan.
Finita era la pace, non la storia. A Bush padre come a quasi tutti i contemporanei sfuggiva che la fine dell’impero sovietico e la scomposizione dell’Urss in quindici Repubbliche che dalla sera alla mattina vedevano i loro pseudoconfini amministrativi eretti a frontiere di improbabili Stati, segnavano il tramonto del vecchio ordine, non l’alba del nuovo. Le rovine dell’edificio crollato, costruito dopo il 1945 sulla spartizione dell’Europa per mano dei suoi conquistatori – base della doppia egemonia sovietico-americana sul pianeta – ostruivano qualsiasi velleità di impiantarvi il Sistema-mondo definitivo, già battezzato “Washington Consensus”.
Stiamo ancora spalando tra le macerie del vecchio ordine, mentre i residui muri portanti su cui americani e altri occidentali imperniavano l’ideale dell’umanità metastorica si rivelano perfettamente inadatti allo scopo.
Viviamo il rovesciamento della fine della storia: le storie della fine. Le narrazioni correnti suonano apocalittiche fra epidemie, guerre, disastri ambientali e migrazioni di massa. La storia universale dell’umanità, glorioso progetto kantiano, è archiviata. Pullulano storie particolari e particolaristiche.
Se la fine della storia era l’ultima filosofia della storia, una volta evaporata secondo quale criterio generale può essere rivendicato e legittimato il potere? La scorciatoia è il “diritto storico”, strumentale archeologia della pertinenza di spazio determinato a determinato popolo. Così schiacciando il presente sul passato in leggenda unica su cui poggiare i binari del futuro. Dal superamento della storia al sovrappiù di storie. Inclinazione che invita al moltiplicarsi dei conflitti, incomponibili quanto le opposte narrazioni che li alimentano. Tanto più efficaci perché amplificate dai nuovi media (a)sociali, flussi perpetui di “verità” infalsificabili, solipsismi e altri assolutismi. Fino alla “cultura” del boicottaggio (cancel culture) che stigmatizza personalità o comunità specifiche via sentenze definitive perché prive di contesto spaziotemporale.
Risultato: il campo semantico del lemma “storia” ne esce devastato, aperto a mille sensi e altrettanti usi. Nell’autoscontro delle narrazioni inconciliabili idea e prassi dell’ordine mondiale non hanno spazio.