La funzione dell'informazione è divenuta la censura
di Andrea Zhok - 05/05/2024
Fonte: Andrea Zhok
Oggi, 3 maggio, è la “giornata internazionale della libertà di stampa”. La ricorrenza, come altre simili, è stata promossa dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1993, in piena fase di trionfo neoliberale, in un periodo in cui si assumeva che oramai esistesse una sola forma di civiltà in procinto di diffondersi nel mondo, quella esemplificata dagli USA. Che gli USA da sempre avessero un rapporto piuttosto controverso con la “libertà di stampa” e con il senso da attribuire all’informazione pubblica (vedi “Quinto Potere” di Sydney Lumet) non pareva più essere un problema.
Anche la libertà di stampa fa parte di quei diritti umani sanciti dalla carta del 1948 (art. 19) e che iniziarono ad assumere uno statuto significativo solo all’indomani del crollo dell’URSS, quando si riteneva che quei diritti potessero essere gestiti senza troppi problemi dall’unica superpotenza egemone rimasta. È questa la fase in cui i diritti umani vengono branditi come un mezzo per lanciare campagne militari o di discredito sempre rigorosamente rivolte ai nemici degli USA (l’era delle “guerre umanitarie”: Iraq, Afghanistan, Serbia, ecc.)
Ma inaspettatamente, più o meno a partire dagli esiti della crisi subprime, dunque dagli anni ’10 del XXI secolo, alcuni contropoteri hanno iniziato ad emergere nel mondo a guida americana, minacciando il monopolio della verità e dell’informazione internazionale. Inizia con ciò una fase nuova, in cui l’Occidente, cioè i bungalow dell’Impero Americano, iniziano ad avere reazioni sempre più isteriche di fronte alle pretese della libertà di informazione.
È del 2010 l’inizio della persecuzione di Assange (del novembre 2010 è l’accusa, oramai certificata come farlocca, di stupro in Svezia).
Con il Covid si arriva ad un’ulteriore stretta, che dura tutt’ora: inizia la sistematica chiusura di siti, pagine web, la cancellazione di video, la chiusura di piattaforme in rete, l’utilizzo sistematico di algoritmi di oscuramento per parole chiave, ecc.
L’utilizzo delle costruzioni di stampa con intenti militanti diviene ora costante. Oggi sappiamo che erano costrutti di stampa già alcuni eventi decisivi (stragi, bombardamenti con armi chimiche) per gli interventi in Serbia o in Siria. Ma per venire a eventi ancora in corso, è notizia di stamane la conferma che i famosi “40 bambini decapitati” da Hamas a inizio conflitto è stata anch’essa una menzogna costruita e propagata ad arte per giustificare ciò che è seguito. Con adeguato ritardo, quando non serve più, alcune smentite riescono ancora a trovare la luce. Sulla vicenda pandemica solo con enorme fatica inizia, qua e là, ad emergere qualche scampolo di verità, e anche lì soltanto per i più vigili, perché l’apparato mainstream continua a tacere e coprire pervicacemente. È dubbio che, con questo ritmo, il grande pubblico perverrà mai a comprendere l’entità della manipolazione avvenuta (non volendo subire ban, mi esimo dal ricordare qui la camionata di menzogne che sono passate come verità scientifiche).
Ecco, in questo quadro, è difficile poter conferire un qualunque senso che non sia sarcastico alla “giornata mondiale della libertà di stampa”. La speranza che nel nuovo contesto di tensione internazionale, di nuova “guerra fredda”, si produca una qualche approssimazione di informazione non manipolata è bassissima.
Sono peraltro certo che oggi le “grandi firme” della stampa italiana si scambieranno reciprocamente grandi medaglie al merito per la loro integerrima lotta contro le “fake news”, cioè nella lotta ad ogni notizia che pro-tempore disturbi il manovratore / procacciatore di salario. E questa è invero l’unica funzione che gli è ancora rimasta. Che l’informazione ufficiale sia poco credibile è oramai ampiamente percepito, e ciò si mostra plasticamente nel crollo delle vendite e degli ascolti. A credervi ciecamente sono rimaste solo quelle minoranze da ZTL che nel continuare a credervi hanno un sostanzioso interesse (niente conferisce maggior potere persuasivo ad una presunta verità del fatto di essere comoda).
La funzione rimasta all’informazione ufficiale non è dunque più quella di produrre forti convincimenti nel grande pubblico. Può accadere su temi inediti, come è accaduto durante la pandemia, ma questo tipo di presa è sempre più fioca. No, il ruolo rimasto alla “grande informazione pubblica” (in ciò simile al ruolo dei “grandi partiti”) è soprattutto quello di creare un tappo che impedisca la crescita del nuovo. Essi non riescono più a convincere, figuriamoci a istruire, ma riescono ad occupare con il rumore bianco delle proprie narrazioni di comodo quasi ogni spazio mentale. E rispetto ai pochi spazi che non occupano si producono costantemente in un’attività di discredito e delegittimazione delle voci indipendenti, trattate come complottismo, come “bufale” da sottoporre al proprio integerrimo fact-checking.
L’informazione odierna non è più davvero in grado di produrre una convincente verità pubblica, ma le è rimasto il compito di impedire a qualunque altra verità di farsi largo, e questo compito lo svolge ancora egregiamente.