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La globalizzazione è finita, non andate in pace

di Marcello Veneziani - 07/04/2025

La globalizzazione è finita, non andate in pace

Fonte: Marcello Veneziani

Tre guerre mondiali spaccano e sconvolgono questo mondo di pace. In primis la guerra delle armi, delle distruzioni e dei popoli che si è concentrata in Ucraina e in Palestina ma in realtà pullula di innumerevoli focolai sparsi nel mondo; col grottesco colpo di coda europeo, che corre al riarmo per riaccendere le ostilità con la Russia. Poi la guerra dei dazi, del commercio e della finanza che sta squassando il pianeta dopo le sanzioni di Trump al mondo, in una specie di girone di ritorno dell’americanizzazione del pianeta. Infine la guerra dello spazio, dei satelliti e dell’intelligenza artificiale in cui Stati, potenze, intelligence, deep state e colossi privati si contendono il primato e l’egemonia dei mezzi di controllo, comunicazione e sviluppo tecnologico del futuro. Tre guerre che hanno in fondo una sola chiave: è finita la marcia progressiva e unidirezionale della globalizzazione, stiamo entrando in uno scenario indefinibile, instabile, fluttuante che è comunque policentrico, ha molte teste o forse nessuna, ma tanti tentacoli e altrettanti testicoli.
La sensazione che ci resta è che tutto il mondo stia ballando, come in un terremoto di proporzioni gigantesche, che non ci siano punti fermi né ancore di salvataggio a cui aggrapparsi: tutto gira, vorticosamente, e siamo totalmente disorientati. È presto per dire come invece sbrigano quasi tutti gli osservatori, che la colpa è di Trump, o del duo Trump-Putin o su altri versanti del duo Trump-Musk. Troppi attori, antefatti e situazioni s’intrecciano per ridurle a un solo fattore.
Stiamo tornando alla realtà, alle inevitabili diversità, all’economia reale, alla competizione, dopo aver coltivato l’illusione che una bolla irreale entro cui si espandeva la globalizzazione ci avrebbe preservato da tutto. Trump, indipendentemente dal giudizio su di lui e sulla sua guerra dei dazi, è stato l’occasione e non la causa, il fattore scatenante che ha fatto precipitare le cose; potremmo dire, sulla scia di Hegel e di Marx, che la storia si stia servendo di lui come agente del cambiamento, per imboccare una nuova strada. Del resto, le guerre delle armi non le ha innescate lui, l’invenzione che la Russia voglia attaccare l’Europa non l’ha lanciata lui e le guerre tecnologiche serpeggiavano già da tempo; lui ha solo accelerato ed esplicitato, in modo stridente, la crisi della globalizzazione sul piano commerciale. Ci preoccupano, anzi ci spaventano, i suoi effetti collaterali, ma con la globalizzazione sta crollando una sorta di paradigma che molti davano per irreversibile: che la storia segua una linea e che non vi possano essere deroghe, deviazioni, imprevisti rispetto a quella linea. Ma la storia non è scritta in anticipo, e se non credete in Dio o in un Demiurgo Malvagio ma solo nel Caos, non potete poi pensare che il corso della storia sia prestabilito dentro un Disegno Unico entro cui dovrà svilupparsi. E invece la storia si riprende le sue libertà, le sue incognite, le sue variazioni; e sopra di lei l’eterogenesi dei fini riprende a dimostrare che le conseguenze, gli effetti storici non sono quasi mai il frutto delle premesse e delle intenzioni dei suoi agenti. C’è un’astuzia beffarda della storia, forse una mano invisibile della Provvidenza o di un dio capriccioso e creativo che ci costringe a fare i conti con le discontinuità, le sorprese e i raggiri della storia. Gli uomini fanno la storia, ma la somma degli eventi tradisce i singoli addendi e agenti.
Siamo sull’orlo di un grande precipizio, e non sappiamo se sia possibile arretrare dal baratro o se sia destino vivere costeggiando l’abisso o se si possa davvero precipitare dentro. Le incognite sono tante, le variabili pure, e il passaggio repentino da salvatori a distruttori, o viceversa, rende impossibile mantenere una linea e preservare un giudizio, senza badare ai fatti e alle smentite. Lo stesso Trump che sembrava voler ritirare gli Stati Uniti dentro i suoi confini sta in realtà sconvolgendo il mondo e condizionando il pianeta in una forma di colonizzazione rovesciata, d’interdipendenza a contrario, fino a rendere la ritirata americana una forma inedita di americanizzazione del mondo.
Prima ancora di prender partito si tratta in questo momento di prendere coscienza e conoscenza, ossia capire quel che sta succedendo, o quantomeno tentare di farlo. Dobbiamo uscire dalla logica che domina la storia da almeno due secoli secondo cui prima di interpretare il mondo dobbiamo trasformarlo; no, dobbiamo capire cosa sta succedendo prima di prendere posizione e comportarci di conseguenza. Fino a ieri si diceva che il punto debole dei populismi e dei sovranismi era la semplificazione, ridurre il mondo complesso a formulette e risoluzioni facili, di grande suggestione popolare ma totalmente insufficienti nella loro puerile rozzezza a comprendere il mondo. La stessa cosa sta avvenendo adesso, se leggiamo e ascoltiamo il mondo liberal, radical, progressista: semplificano tutto agitando il Demonio Trump alle origini di ogni male. Senza rendersi conto che l’anno scorso stavamo sul filo di una guerra mondiale grazie a Biden, ai suoi alleati e fantocci e a quel che succedeva in Palestina. E che la concentrazione degli odii su Putin mentre l’enorme gattone cinese si espandeva tranquillamente per conto suo, stava deformando la realtà in modo a dir poco pericoloso.
Ora è come se i nodi stiano venendo al pettine, e quando questo succede è doloroso districarli; e forte è il rischio che si spezzino. Il problema è che non c’è un’Autorità super partes, un grande Arbitro che possa dirimere le controversie e presiedere le trattative nel nome degli interessi generali: l’Onu non è in grado di farlo, altre autorità sovraordinate non esistono, la Monarchia universale sognata da Dante rimane un sogno, come il Sacro Romano Impero o lo Stato universale; sicché siamo in balia della storia e dei suoi pluriversi; siamo in balia degli uomini, dei rapporti di forza, dell’intelligenza e della stupidità degli attori.
Tornando a casa nostra, mai come in questo caso, non ci aspettiamo nulla dalla Meloni; può fare la sua parte con più o meno efficacia e dignità, prendere le misure, barcamenarsi, esortare ai negoziati, ma i suoi margini d’azione sono assai stretti e le sue prospettive d’incidenza internazionale sono davvero minime. Trovo grottesco chi vorrebbe da questa situazione ricavare un processo al governo in carica accusato di subordinazione a Trump. Se è vero, nulla di nuovo: in ginocchio rispetto al Padrone Americano ci stanno, ci state, da anni, è la condizione per governare nel nostro Paese da ottant’anni. Puoi guidare l’Italia se a tua volta ti fai guidare. Avete consumato tutte le pantofole dei predecessori di Trump coi vostri baci e le vostre umide carezze, ora non siete credibili se insorgete invocando la dignità sovrana rispetto alla pantofola col ciuffo dell’ultimo arrivato alla Casa Bianca.




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