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La guerra c’è, ma non si dice. E chi dissente va intimidito

di Luciano Canfora - 28/03/2025

La guerra c’è, ma non si dice. E chi dissente va intimidito

Fonte: Il Fatto Quotidiano

"Il ceto intellettuale ogni tanto viene coinvolto solo per dimostrare che siamo democratici e abbiamo ragione"
Siamo in un chiaro clima di psicosi delle élite. La narrazione militarista ormai triennale che voleva la Russia sconfitta dall’Ucraina aiutata dalla Nato ha fallito, sconfitta dal principio di realtà. L’urgenza del riarmo europeo, da ottenere indebitandoci per complessivi 800 miliardi a scapito della spesa sociale dei singoli Paesi, non è avvertita come tale dall’opinione pubblica. Ciò genera un panico da impotenza che si trasforma in un senso di onnipotenza. Ne parliamo col professor Luciano Canfora, storico e filologo.
Professore, lei avverte una recrudescenza del clima grazie al quale il sistema mediatico ci propina propaganda bellica, eticizzando il riarmo ed estetizzando la guerra, e i dissidenti sono trattati come disertori?
Da quando si è passati dalla guerra nascosta, quella dell’Ucraina contro il Donbass, alla Guerra palese, quella della Russia contro l’Ucraina in difesa del Donbass, è scattata una macchina informativa e disinformativa molto ben congegnata. Già il 25 febbraio 2022 i grandi giornali, su 50 pagine, ne avevano 25 sulla guerra. In capo a pochi giorni circa 4 milioni di ucraini scapparono in Austria, Germania, Svizzera, Francia, Italia, e l’accoglienza fu immediata. Mentre 50 migranti sono un problema epocale per cui auspicare che vadano sott’acqua nel Mediterraneo, 4 milioni di ucraini hanno trovato subito le strutture per accoglierli. Questo significa che la guerra era già preparata, e quando c’è la guerra, scatta immediatamente la censura contro chi eccepisce.
C’è un’aria di emergenza, di decisioni che vanno prese all’istante, il che naturalmente esclude il dibattito democratico.
Non mi stupisco, ma dico: visto che avete preparato e attuato la guerra, state esercitando la censura. La risposta è: ma non siamo in guerra. Non bisogna dirlo, altrimenti l’opinione pubblica, per quanto drogata, addormentata, rimbambita, viene improvvisamente a svegliarsi e dice: scusate, siete entrati in guerra senza chiederci nulla? Bisogna dire che la guerra non c’è, però ci si comporta in relazione al fatto che c’è e chi eccepisce viene malmenato.
Una commissaria per le crisi della Ue posta un video su come sopravvivere a un’emergenza, si suppone bellica o nucleare: riempie la “borsa della resilienza” con acqua, cibo in scatola, coltellini svizzeri…
Lei forse non ricorda il ministro Forrestal. Era il segretario di Stato degli Stati Uniti al tempo di Truman. Convintosi che la Russia stesse per scatenare la Terza guerra mondiale, si buttò dalla finestra e morì.
Ma i governanti di adesso fingono o ci credono veramente?
L’uno e l’altro, perché si trovano il lavoro già fatto. Macron è la caricatura, non dico di De Gaulle, ma di qualunque altro presidente arrogante della Repubblica francese. Forse manderà la Legione straniera, come facevano in Indocina, in Algeria. Lui è convinto, e qualcheduno gli va dietro, che prima o poi dovrà prendere “l’ultimo treno”. O andiamo a fare la guerra con Macron armato fino ai denti, o è la fine. Fanno il loro mestiere, sono pagati per quello.
Che differenza c’è tra chiamare il piano ReArm Europe della Von der Leyen col nome più sbarazzino di “Readiness 2030”, prontezza, e l’“Operazione militare speciale” di Putin per non dire “guerra”?
Ricordo un video: aprile 2017, tre anni dopo la Crimea. Si vede il nostro presidente della Repubblica accanto a Putin che si compiace col presidente della Repubblica federativa russa, dicendogli che sorveglierà il mantenimento della pace e il controllo delle crisi in quelle aree. Un passato azzerato, per cui la storia incomincia il 24 febbraio del 2022. Se da parte russa ci fosse stata l’intenzione di fare una vera guerra, non saremmo alle prese con Zaporizhzhia sì o no. Una guerra a 18 carati sarebbe stata di gran lunga più invasiva, distruttiva, tragica. La scelta è stata a bassa intensità. Un lessico può essere felice o infelice, sbagliato, reticente; distinguere i termini in riferimento all’oggetto definito è una cosa giusta. Ora tutti gli Adriani Sofri del mondo cominceranno a strillare “Canfora agente russo”, pazienza.
Si dirà: in Russia si è arrestati se si dice “guerra”. Qui non si arresta chi parla di riarmo.
Veramente succede di tutto alle manifestazioni pro-Palestina, andiamoci calmi a vantarsi di essere sempre più bravi.
Forse hanno capito di avere sempre meno consenso presso i popoli?
Il consenso non è richiesto. Viviamo in regimi che si auto-definiscono democratici, ma hanno portato il Paese in guerra più volte, nel ’99 contro la Federazione jugoslava, questa volta addirittura in una coalizione non confessata ma operante vastissima, senza menomamente porsi il problema se le persone normali fossero o meno d’accordo. Non ne hanno bisogno.
A che serve allora la propaganda?
A intimidire le voci che eventualmente possano dissentire. Giornali e telegiornali, anche TeleKiev di La7, sono fruiti da una piccolissima parte della popolazione. Qual è l’obiettivo di quella robaccia? Intimidire il ceto intellettuale, chiamiamolo così, che potrebbe dissentire e che però bisogna ogni tanto coinvolgere per dimostrare che siamo democratici e abbiamo anche ragione.

 a cura di Daniela Ranieri