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La guerra fredda si ripete, ma in forma di farsa

di Alessandro Montanari - 13/12/2017

La guerra fredda si ripete, ma in forma di farsa

Fonte: Interesse Nazionale

Tutti pensano a cambiare il mondo,
ma nessuno pensa a cambiare se stesso

Lev Tolstoj

Dato il clima che si respira nel Paese, ritengo di dovervi una confessione, in modo che possiate decidere responsabilmente se proseguire in queste letture. Dall'età dei vent'anni sono soggetto all'influenza di due cittadini russi. Si chiamano Fedor Michajlovic Dostoevski e Lev Nikolaevic Tolstoj. Ammetto tutto. Ammetto di avervi intrattenuto frequentazioni non occasionali, di custodire gelosamente la parte essenziale delle loro opere, di averne diffuse e regalate alcune copie a parenti ed amici (dei quali non farò i nomi) e ammetto, infine, di esserne stato profondamente e radicalmente suggestionato. Considerandomi ormai compromesso ritenevo moralmente doveroso avvisarvi, anche perché sto per aggravare ulteriormente la mia posizione rievocando Karl Marx, il quale sosteneva, come noto, che la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.

Mi riferisco ovviamente a questa curiosa riedizione del maccartismo russofobo che i democratici americani, non paghi della caccia alle streghe scatenata in patria, intenderebbero ora esportare in Europa ed in particolar modo in Italia.

Preoccupato della nostra indipendenza di giudizio, infatti, l'ex vicepresidente Joe Biden ci ha spiegato, in modo del tutto disinteressato, che l'esito del referendum costituzionale del dicembre 2016 sarebbe stato determinato dai russi, i quali avrebbero offerto a Movimento CinqueStelle e Lega un contributo decisivo nella disinformazione di massa via web.

In attesa della pistola fumante, che mi auguro non somigli alla boccetta di antrace esibita da Colin Powell per convincerci a far la guerra in Iraq, permettetemi di dedicare qualche attenzione ai grandi giornali italiani che, impegnati nell'isterica ricerca di fake-news nei discorsi dei “nemici”, hanno dimenticato di rammentare all'amico Biden ciò che tutti quanti, trattandosi di un avvenimento di appena un anno fa, dovremmo facilmente essere in grado di ricordare. In particolare, ovviamente, se addetti ai lavori.

Attribuire la gigantesca affermazione dei “no” al merito esclusivo di grillini e leghisti, ad esempio, è un'interpretazione palesemente riduttiva delle forze politiche e sociali che combatterono la partita referendaria. La riforma Renzi-Boschi, infatti, mobilitò una coalizione davvero senza precedenti, capace di spaziare da Berlusconi al Fattoquotidiano così come da Fratelli d'Italia alla Cgil, passando naturalmente per la minoranza dissidente - e poi fuoriuscita - dello stesso Pd. Anche sulla carta, insomma, i “no” avevano già un tale vantaggio sui “sì” da rendere superfluo il contributo di un fronte del “niet”.

Fu dall'altra sponda dell'Atlantico, invece, che partì una fitta grandinata di “yes”. Con chicchi di ogni forma, peso e dimensione.

Cari e stimati colleghi, ma davvero devo ricordarvelo io che Renzi ingaggiò un fenomenale spin doctor dal passaporto americano? Trattasi dell'indimenticabile Jim Messina, il guru della comunicazione che aiutò Obama a vincere nel 2008 e a rivincere nel 2012. Renzi lo assunse (...nulla di definitivo, per carità, solito contratto precario in stile Jobs Act) per la modica cifra di 400mila euro e, fatti salvi i maldipancia dei bersaniani per l'onorario del guru, nessuno dei grandi quotidiani nazionali trovò nulla di disdicevole nel fatto che, del compito di orientare il voto degli italiani, fosse investito un americano.

Al contrario ci fu chi sollecitò pubblicamente l'ingaggio dello spin doctor di Denver per poi, altrettanto pubblicamente, compiacersene. Sentite un po' cosa scriveva il Foglio – che da quando presagì l'impronosticabile chiusura della Gabbia (https://www.ilfoglio.it/televisione/2017/05/12/news/andrea-salerno-un-non-grillino-a-la7-dopo-il-corsera-schiscio-su-boschi-134178/) consulto più attentamente dell'oroscopo del Capricorno – il 17 giugno del 2015: “...E’ che Renzi – ragionava a voce molto alta il direttore Claudio Cerasa - più che di un Nico Stumpo avrebbe bisogno di un Jim Messina, formidabile uomo chiave della macchina e della propaganda di Obama prima, e dei conservatori inglesi oggi. (…) Il vero punto di debolezza della leadership renziana, a pensarci bene, sta dunque qui: nell’illusione coltivata di potersi muovere da segretario, senza pensare che un vero capo del partito ha la necessità assoluta di convincere i suoi elettori della bontà delle scelte del suo governo. In questo senso servirebbe un Jim Messina a Renzi”. Sappiamo tutti la gioia che dà il sapersi ascoltati. Il 15 gennaio 2016, infatti, Il Foglio cedette all'umana tentazione dell'auto-compiacimento, nella speranza, forse, che un tale merito storico potesse essere tramandato di generazione in generazione: “Renzi assume Jim Messina per risolvere i problemi del Pd (come consigliato dal Foglio mesi fa...)”.

Insomma, non solo nessuno valutò la consulenza di Jim Messina come un'inopportuna ingerenza straniera, ma tutti ne sembrarono piuttosto confortati visto e considerato che Renzi, per opinione comune, stava muovendosi maluccio. E chissà quanta amarezza nello scoprire, poi, che i servigi del guru avrebbero giovato solamente a quei selvaggi dei populisti. Non solo nella fallimentare campagna renziana del “sì”, ma pure nella rovinosa caduta dei conservatori inglesi pro-remain e persino nella memorabile disfatta di Hillary Clinton contro Donald Trump.

D'altro canto non era stato mica solo il vecchio Jim a spendersi per Renzi. Segnalo infatti che, nei mesi che precedettero il voto del 4 dicembre, comunicarono agli italiani di avere una certa preferenza per la vittoria dei “sì”, nell'ordine,  il presidente Barack Obama, l'ambasciatore John Phillips, Goldman Sachs, Jp Morgan, Morgan Stanley, Citigroup, WallStreetJournal, Fitch, Moody's e pure, sebbene con toni decisamente meno teatrali, Standard and Poor's. Dall'altro lato del globo, invece, il presunto aiuto dei russi a Lega e CinqueStelle sarebbe passato da una inverificabile infiltrazione di fake-news sui social network che tuttavia, come chiunque sa ma nessuno ha avuto l'animo di osservare, sono tutti di proprietà americana.

Mi domando il perché di tutte queste amnesie. Mi domandò perché i custodi delle verità ufficiali si siano improvvisamente trasformati in maldestri apprendisti della (deprecata) narrativa complottista. E mi domando perché proprio i predicatori della “moderazione” e della “responsabilità” stiano ora esasperando il clima elettorale come fossimo alla vigilia di storiche scelte di campo - già fatte e non più reversibili - tra Monarchia e Repubblica o tra Alleanza  Atlantica e Patto di Varsavia. 

Non c'è che dire: Marx aveva proprio ragione. Sembra che la guerra fredda si appresti a tornare in forma di farsa. Ma ciò che di questo teatro dell'assurdo più mi diverte, se in tempi d'Inquisizione è ancora tollerata un po' di ironia, è che noi l'avevamo già realizzato da soli, prima con Giolitti e poi perfino con Mussolini, che “governare gli italiani non è impossibile”. Governare gli italiani, infatti, è semplicemente “inutile”. Per chiunque ci provi.