La guerra in Ucraina paragonata a quelle del recente passato
di Gennaro Scala - 26/05/2022
Fonte: Gennaro Scala
Per renderci più intellegibile quanto avviene in Ucraina, dobbiamo interrogarci sulle modalità in cui noi, occidentali, intendiamo la guerra. Quindi proverò ad abbozzare un approccio comparativo con le guerre del recente passato, magari come base per ulteriori sviluppi. In modo più o meno inconfessato, per la cultura dominante occidentale il modo migliore di fare la guerra è quello denominato Shock and Ave, si aggredisce una nazione (senza neanche dichiarare guerra), gli si scaraventa un diluvio di bombe sulla capitale e le principali città, così si costringe lo Stato aggredito alla resa. Tuttavia questo modello sebbene garantisce risultati immediati, nel lungo termine, in quanto evita un vero confronto con l'esercito nemico, non riesce a stabilire un controllo sullo Stato sconfitto, come si è visto in Iraq e in Afghanistan. La guerra “dall'alto” fa una caterva di vittime ma non riesce realmente a piegare coloro che sono disposti al combattimento, in generale la massa dei combattenti sopravvive ai bombardamenti, perché è la parte più attiva e organizzata della popolazione aggredita. Una vera sconfitta dell'esercito comporta una “discesa sulla terra”, e un confronto diretto con l'esercito nemico anche in condizioni di netta superiorità tecnica.
L'ultima vera guerra combattuta dagli Usa è stata quella del Viet Nam. L'esito di questa guerra ha condizionato le successive, in quanto da allora gli Usa hanno evitato il confronto diretto. Con la crescita del coinvolgimento degli Usa dal 1965 questa guerra vide una crescente opposizione soprattutto da parte del mondo giovanile, con una diffusa renitenza alla leva, proteste di massa e il sorgere di una cultura di opposizione che sfocerà nel cosiddetto '68. Probabilmente inaspettate, queste proteste indussero un profondo cambiamento nei rapporti tra le classi sociali negli Usa. Di lì a poco finirà, nel 1973, l'esercito di leva, per dare vita ad un esercito esclusivamente professionale, e finirà anche il patto sociale che ad esso si accompagnava, fatto di benessere diffuso, quasi piena occupazione. La miseria, e con essa emarginazione e disagio sociale e microcriminalità diffusa comincia a diventare un panorama consueto delle società americana. Trasformazione immortalata ad es. nel film Taxi Driver di Martin Scorsese.
Le proteste contro la guerra erano giustificate da tutti i punti di vista, anche quelli non puramente pacifisti. Innanzitutto, non si capivano bene gli obiettivi della guerra, se non una “lotta al comunismo” che diventava la lotta contro una sorta di mostro dai contorni indefiniti. Inoltre, la condotta di guerra statunitense che prevedeva l'attacco alla società vietnamita con l'incenerimento di interi villaggi provocava forti crisi morali nei soldati che si vedevano costretti ad attaccare una popolazione verso cui non sentivano motivi di inimicizia. La finalità della guerra era principalmente il contenimento (containment) del comunismo, ma se questo obiettivo era ben chiaro alle classi dominanti, per i soldati delle classi inferiori questo obiettivo non appariva una motivazione sufficiente per la guerra. Questo obiettivo derivava dal sistema statunitense di egemonia globale, e non era tanto una questione ideologica, quanto appunto sistema di dominio globale senza fini concreti. A parti invertite, con gli Usa che sostenevano la resistenza, qualcosa di molto simile avvenne durante la guerra dell'Unione Sovietica in Afganistan che fu tra i fattori che porteranno al “crollo del comunismo”. Anche in questa guerra si verificarono fenomeni di disaffezione popolare, verso una guerra di cui non si comprendevano i motivi, che erano da ricercarsi non in una contesa effettiva con l'Afganistan, ma nella lotta globale contro gli Usa. I veterani successivamente daranno vita ai primi gruppi di opposizione che poi sfoceranno nella glasnost di Gorbačëv.
I movimenti del '68 apportarono effettivamente un cambiamento radicale, le motivazioni della protesta erano sacrosante ma finirono per essere declinate in un'opposizione generica alla guerra di carattere essenzialmente individualistico, e un rifiuto generico della guerra che evitava una riflessione sul ruolo del conflitto nelle relazioni umane. Nasceva la “cultura del '68”, in cui siamo ancora in parte immersi e che fu poi trasformata abilmente dai media statunitensi in un altro modo per vendere nel mondo la cultura statunitense. La base individualistica di tale protesta fini per incontrarsi con la riformulazione del patto sociale seguito alla conclusione della guerra che possiamo tratteggiare in questo modo:
1) lo Stato non richiede all'individuo la partecipazione alla guerra con il rischio della vita, che viene demandata solo a coloro che fanno ciò per professione;
2) lo Stato non garantisce la partecipazione alla vita sociale attraverso quella modalità fondamentale qual è il lavoro. Questo diventa un campo di darwiniana lotta per l'esistenza (neo-liberalismo) in cui vi è sempre il pericolo di finire nella fascia degli esclusi e degli homeless
Questo secondo punto ha subito delle forti mistificazioni, in quanto viene presentato come il risultato di impersonali cambiamenti del sistema economico. L'economia è secondo il significato originario del termine, amministrazione delle casa. La concentrazione del potere economico e del potere coercitivo dello stato conferisce alle classi dominanti un ampio potere di “amministrazione” della società, il settore economico viene gestito appunto come proprietà dei possessori del capitale. Così le forti sperequazioni sociali e la precarizzazione del lavoro che nascono in quegli anni e che poi daranno vita al sistema liberista sono frutto della volontà delle classi dominanti di esercitare una forte pressione nelle classi inferiori al fine di indurre una quota sufficiente della popolazione a scegliere “liberamente” la strada dell'arruolamento nell'esercito, pena l'arruolamento nell'esercito degli homeless. Questo è possibile farlo grazie alla concentrazione del potere economico e del potere dello stato, che danno un'ampia possibilità di modellare la società.
In seguito a questo patto le classi dominanti non possono chiedere alle classi popolari la partecipazione alla guerra, se non attraverso la forma mistificata dalle “coercizione liberale” appena esposta. Ma allo stesso tempo il numero di morti in guerra deve essere minimo altrimenti non apparirebbe più come rischio naturale del mestiere, ma sacrificio sociale effettivo. E allo stesso tempo, poiché ciò che spinge principalmente all'arruolamento è il salario, un rischio eccessivo lo trasformerebbe in un gioco che non vale la candela. Per questi motivi nelle guerre recenti gli Usa hanno seguito come modalità principale quella di “scioccare e terrorizzare”, in quanto permette di ottenere risultati rapidi (ma che si vanificano a lungo termine), minimizzando i morti in guerra.
Veniamo quindi all'oggi per mostrare come la guerra in Ucraina rappresenta una nuova storia rispetto alle guerre gemelle del Viet Nam e della guerra sovietica in Afghanistan, molto simili per finalità ed esiti.
La guerra in Ucraina, anzi non viene chiamata guerra ma “operazione speciale”, è stata presentata con delle finalità limitate e ben precise. Ogni articolo della Ria Novosti, e di altri quotidiani principali russi che riguarda il conflitto in Ucraina, presenta un paragrafo finale (su evidente richiesta da parte del governo), in cui si riassumano le finalità del conflitto che attualmente fa riferimento esclusivamente al soccorso alle popolazione di etnia russa del Donbass. Inizialmente c'era anche il riferimento alla denazificazione, ma ora questo è scomparso, il che probabilmente riflette l'ulteriore restringimento degli obiettivi alla sola conquista del Donbass. Inoltre, si è cercato di minimizzare le vittime civili, anche a costo di limitare l'azione dell'esercito. Poiché vi era l'obiettivo politico di includere le popolazioni russofone o russofile (e in generale chi nell'Ucraina intende stare con la Russia), per evitare quindi l'odio della popolazione civile, non c'è stato nessun bombardamento delle città, e in generale gli attacchi aerei e missilistici sono stati diretti alle infrastrutture militari. Inizialmente, si è cercato di limitare anche l'attacco alle infrastrutture civili, ma con l'aumento esponenziale degli aiuti militari occidentali si è imposta la necessità di colpire strade, ponti, ferrovie, depositi di carburante per limitare l'afflusso di armi e carburante all'esercito ucraino.
È probabile che la Russia conseguirà questo obiettivo ad un prezzo notevole di vite umane e in termini materiali, come già appare evidente. Ma ciò non ha incrinato il consenso della popolazione russa, che anzi è cresciuto in questi mesi, e quindi è evidente che essa condivide le finalità e le modalità di questa guerra. La Russia è stata trascinata in questa guerra dagli Usa e dall'Inghilterra con la finalità di disgregarla, ma è probabile che si otterrà l'effetto opposto.
Quanto detto ci indica che dal crollo dell'Unione Sovietica la Russia ha effettuato la sua conversione in sistema imperiale da sistema imperialista-globalista alternativo a quello capitalistico a guida statunitense qual era il comunismo. Precisiamo che stiamo usando i due termini, in mancanza di una terminologia migliore, sistema imperiale e sistema globalista-imperialista, nel significato rispettivo di un sistema composto da diverse entità statuali, etniche, religiosi e culturali con un gruppo egemone, ma integrato al suo interno e delimitato verso l'esterno. Per quanto riguarda il sistema imperialista-globalista lasciamo la parola a Limes, precisando che loro non utilizzano questo termine. “Di norma l’impero stabilisce e difende i suoi correnti limiti. L’America rifiuta di porseli. La sua frontiera è sempre mobile, definita mai. Se fortificasse un limes in nome del canone imperiale (voluto il riferimento al Muro del Rio Grande, Sagrada Familia delle architetture di frontiera) rischierebbe di perdere d’un colpo identità e impero. Se non si autolimitasse, finirebbe vittima della bulimia di spazio e di potere, malattia professionale degli imperi.” (L'impero nella tempesta, 1/2021).
In breve, l'imperialismo-globalismo è un sistema votato al dominio globale senza limiti definiti.
Riuscirà l'occidente a riconvertirsi in un sistema imperiale con obiettivi specifici e delimitati? Vi è il rischio, altrimenti, che nel confronto con il mondo non occidentale, appena iniziato con il conflitto indiretto con la Russia, sia piuttosto l'Occidente ad andare in pezzi.
Chi vivrà vedrà. E questo è anche un augurio.