La nascita della Federal Reserve
di Paolo Di Remigio - 12/12/2017
Fonte: Appello al Popolo
I primi elementi del Sistema della riserva federale, la banca centrale degli Stati Uniti, furono posti nel 1863, quando il Congresso statunitense con il ‘National Banking Act’ e il ‘National Currency Act’ determinò la centralità finanziaria di New York. Alcuni centri bancari, come Chicago, St. Louis o Boston, furono designati come città della riserva nelle cui banche nazionali le banche regionali potevano tenere il 25% delle loro riserve minime obbligatorie in forma di depositi e banconote. Le banche nazionali di New York ebbero però uno status speciale e fu loro richiesto di tenere il 25% delle loro riserve di valuta legale in forma di monete o lingotti d’oro o d’argento. La legge designava la sola New York come ‘città della riserva centrale’, cioè la riconosceva come centro monetario nazionale. Poiché le banche locali e regionali potevano guadagnare interessi collocando i loro fondi nelle banche di New York, il capitale fluiva dalle banche regionali alle banche di New York provocandone la crescita abnorme. A New York, oltre alle grandi banche nazionali, c’era anche un gruppo, piccolo ma molto influente, di banche private internazionali che non vendevano le loro azioni al pubblico e non erano dunque limitate agli affari locali. A differenza di quelle nazionali, queste banche non potevano emettere banconote; proprio perciò erano poco regolamentate, libere di fare affari ovunque trovassero opportunità. Negli ultimi decenni del XIX secolo queste banche d’investimento divennero enormi società bancarie internazionali come J. P. Morgan, Kuhn Loeb, Lazard Frères, Drexel e poche altre, organizzando da Londra e Parigi le più ampie operazioni finanziarie per la costruzione delle ferrovie americane e per l’espansione della grande industria attraverso i confini statali.
Nel primo decennio del XX secolo da questa élite della finanza internazionale emersero due giganti, il britannico Nathaniel Lord Rothschild della N. M. Rothschild & Co. e J. Pierpont Morgan della J. P. Morgan & Co., che dapprima lavorarono in stretta collaborazione – tanto che Morgan si limitava a rappresentare in modo discreto gli interessi dei Rothschild negli Stati Uniti -, poi divennero rivali alla fine del primo decennio del XX secolo, quando diventò chiaro che l’impero britannico era in declino irreversibile e Morgan cercò di costituire il proprio impero finanziario. Alla fine degli anni ‘90 dell’Ottocento Morgan diventò il più potente banchiere del mondo, organizzando insieme a August Belmont, il rappresentante dei Rothschild negli Stati Uniti, il panico finanziario del 1893 per annichilire il ruolo monetario dell’argento, così abbondante negli Stati Uniti da non poter essere controllato dai banchieri, e per imporre il Gold Standard agli Stati Uniti. Approfittando inoltre dei fallimenti provocati dalla crisi di cui erano stati promotori, Morgan e Rothschild acquistarono a prezzi stracciati le più importanti società ferroviarie, così da poter controllare l’intera economia americana; nel frattempo, per coprire le loro manipolazioni, creavano e diffondevano con i loro giornali i miti della democrazia, dell’individualismo e del libero mercato. Sconfitta la fazione dell’argento, a Morgan e al ristretto circolo di banche di New York e Londra sue alleate era aperta la strada per impossessarsi delle stesse finanze degli Stati Uniti: nel 1907 Morgan e Rockefeller organizzarono una nuova ondata di panico che avrebbe portato al ‘Federal Reserve Act’. La vicenda iniziò dal tentativo di Frederick A. Heinze, direttore della Mercantile National Bank, di accaparrarsi il mercato del rame comprando le azioni della United Copper Company; il gruppo Rockefeller, che controllava l’enorme Amalgamated Copper Company, lo contrastò inondando il mercato con il suo rame così da precipitarne il prezzo: se il 14 ottobre 1907 un’azione della United Copper Company valeva 62 dollari, il 16 ottobre ne valeva 15. Heinze ne fu travolto. Intanto i giornali divulgavano notizie sui legami tra la sua Mercantile National Bank e altre sei banche di New York; il timore della loro insolvenza provocò un primo prelievo massiccio dei depositi. Il panico generale fu destato però quando la stampa diffuse la notizia che anche Charles T. Barney, il rampante presidente di una banca di media grandezza, la Knickerbocker Trust Co., era in affari con la Mercantile National Bank. Ne seguì una corsa agli sportelli che costrinse Barney a mendicare il salvataggio della sua banca dalla Clearing House Association di J. Pierpont Morgan. Chiesta una verifica dei conti, Morgan rifiutò il credito; e non solo non fermò il panico: diffondendo insinuazioni per mezzo dei giornali che controllava (Evening News, The New York Times), lo estese alle banche di cui voleva sbarazzarsi, in particolare alla Trust Company of America. Essa era in realtà solvente, ma possedeva le azioni della Tennessee Coal and Iron Company, una società su cui la US Steel Corporation di Morgan aveva messo gli occhi; ebbe dunque i prestiti da Morgan ma solo a condizione di cedere le sue quote della Tennessee Coal and Iron Company. Acquisendo queste quote Morgan avrebbe però violato le leggi antitrust. Mandò allora due dei suoi dal presidente Roosevelt perché le sospendesse. Intanto lo scenario si era fatto apocalittico: Barney si era suicidato, il mercato azionario di New York era crollato perché le banche assetate di liquidità vendevano azioni per aumentare il capitale, il paese era precipitato in una nuova depressione dopo quella del 1893. Theodor Roosevelt, sensibile ai desideri di Rockefeller e Morgan, abituato anzi a concordare con loro addirittura i suoi discorsi, non poté deluderli: sospese le leggi antitrust. Per miracolo il panico si dissolse: appena Morgan ebbe messo le mani sul Tennessee Coal and Iron Company, la campagna stampa cessò e la Trust Company of America poté tornare ai suoi affari. Morgan fu celebrato dalla sua stampa come l’eroe che aveva fermato il panico, proprio mentre approfittava dei prezzi crollati per comprare grandi società da aggiungere al suo impero. La crisi del 1907-08, oltre ad aumentare l’impero e l’influenza di Morgan, diede al presidente Roosevelt l’occasione per istituire la ‘Commissione monetaria nazionale’ con il compito di studiare le crisi bancarie e mettere fine alle ondate di panico sui mercati finanziari. Direttore della Commissione fu il senatore Nelson Aldrich, suocero di John D. Rockefeller, noto come ‘mediatore senatoriale di Morgan’, non estraneo in passato alla corruzione elettorale, destinato a diventare molto facoltoso alla fine della sua carriera politica; Aldrich fu colui che si fece strumento del più importante colpo di Stato della storia americana – la creazione del Federal Reserve System. Nel novembre 1910 Nelson Aldrich e i principali finanzieri americani salirono in treno per raggiungere un remoto resort di proprietà di Morgan a Jekyll Island, al largo delle coste della Georgia. Qualora fossero stati scoperti, avrebbero risposto che si riunivano per andare a caccia di anatre. Di questa riunione segretissima scrisse Forbes nel 1916 omettendo i cognomi dei partecipanti: “Nelson [Aldrich] aveva confidato a Henry [Davidson, socio di J. P. Morgan & Co.], a Frank [Vanderlip, presidente della National City Bank di Rockefeller], a Paul [Warburg, di Kuhn Loeb & Co.] e a Piatt [Andrew, vicesegretario al Tesoro degli Stati Uniti] che li avrebbe tenuti in conclave a Jekyll Island, fuori dal mondo, finché non avessero sviluppato e redatto un sistema monetario scientifico per gli Stati Uniti … Warburg è il collegamento tra il sistema Aldrich e il sistema attuale [la Federal Reserve]. Egli più di tutti ha fatto del sistema una realtà effettiva.” (Bertie Charles Forbes, Current Opinion, dicembre 1916, p. 382). È rivelatrice della natura del cosmopolitismo dei finanzieri internazionali la circostanza che a creare il Federal Reserve System, strumento finanziario della sconfitta tedesca del 1918, sia stato il tedesco Warburg. Warburg organizzò il Federal Reserve System secondo il modello della Banca d’Inghilterra. Per aiutare a superare lo scoglio dell’art. 1 della Costituzione, che attribuendo il potere monetario al Congresso escludeva i privati dalla sua gestione, Warburg suggerì che la banca centrale degli Stati Uniti non si chiamasse banca nazionale o banca centrale, ma avesse il titolo lambiccato di Associazione per la banca della riserva federale, in modo che si potesse avanzare l’argomento che non si trattava di una banca centrale perché, a differenza della Banca d’Inghilterra o delle altre banche centrali europee, il modello statunitense era decentralizzato; inoltre l’influenza dominante di New York era nascosta con la creazione di 12 banche regionali ‘indipendenti’, ognuna di proprietà delle banche o delle società più potenti della regione; ugualmente in ombra il fatto che il capitale delle 12 banche affiliate sarebbe stato di proprietà di azionisti privati. Il piano Warburg, rinominato piano Aldrich perché sembrasse idea del senatore repubblicano anziché piano dei banchieri internazionali, suscitò qualche opposizione. Nel 1912 il deputato del Minnesota, Charles Lindbergh (padre e omonimo del più noto aviatore), presentò al Congresso la richiesta che si investigasse sul potere di Wall Street; ma Wall Street già condizionava la maggioranza dei deputati; essi dirottarono quindi la richiesta di Lindbergh a un deputato della Luisiana, Arsene Pujo, che incaricò un avvocato della cerchia di Wall Street, Samuel Untermeyer, di organizzare un’inchiesta addomesticata.
La commissione Pujo accertò l’esistenza di un Money Trust formato da sei banche che controllavano l’industria dell’acciaio, le società ferroviarie, i servizi pubblici, le compagnie di estrazione e di raffinazione del petrolio, la grande stampa; il vertice del Money Trust era occupato da J. P. Morgan & Co., che controllava in vario modo le più grandi società del paese ed era legato a soci londinesi. Dopo questi risultati il Congresso, ora a maggioranza democratica, non poteva più accettare il piano del troppo oligarchico Aldrich; lo si poteva però orientare ad accettare una versione democratica dello stesso piano; perché questa versione fosse più credibile, la si diede da scrivere a Untermeyer che la stampa degli oligarchi aveva appena trasfigurato in amico del popolo e persecutore dell’oligarchia. Le udienze della commissione Pujo e i resoconti che ne diede la stampa furono usati in modo che il Congresso potesse approvare come alternativa democratica al piano Aldrich il disegno di legge Owen-Glass, sebbene ricalcasse quasi verbatim il piano di Jekyll Island da cui era nato lo stesso piano Aldrich. Così, mentre la stampa di Morgan marchiava d’infamia il piano Aldrich in quanto ‘piano della banca centrale’, il Federal Reserve Act del deputato Glass, scritto in realtà dallo stesso Warburg con la semplice collaborazione di Untermeyer, ma encomiato dalla stampa oligarchica come equilibrata alternativa democratica al piano dell’oligarchico Aldrich, istituiva proprio una banca centrale sotto diverso nome e sotto il controllo stretto del Money Trust: la Federal Reserve Bank sarebbe stata proprietà di azionisti privati che avrebbero usato la fiducia e il credito del governo statunitense per il loro profitto, che in contrasto con l’art. 1 della Costituzione avrebbero controllato il denaro e il credito della nazione, che avrebbero creato e distrutto denaro e finanziato il governo in tempo di guerra. Non a caso l’Owen-Glass Federal Reserve Act fu accolto con entusiasmo dall’Associazione dei banchieri americani. Il 23 dicembre, dopo scarso dibattito, l’Owen-Glass Bill fu approvato da un Congresso mezzo vuoto per le vacanze di Natale; un’ora dopo l’approvazione il presidente Woodrow Wilson, lui stesso una nuova creatura di Morgan, appose la sua firma e lo rese esecutivo. Il Federal Reserve System fu costituito come una banca centrale indipendente dallo Stato. Sebbene il presidente degli Stati Uniti avesse il potere di nominarne il presidente e i governatori e le nomine dovessero essere approvate dal Senato, erano i presidenti delle 12 banche private della Reserve a controllare il sistema (e nessuno era più potente del presidente della Federal Reserve di New York, primus inter pares); infatti la legge prescriveva che le decisioni della Federal Reserve non dovevano essere ratificate dal presidente degli Stati Uniti o in generale dall’esecutivo o dal Congresso. La Federal Reserve Bank di New York e i suoi direttori – i nomi più importanti di Wall Street – avevano potere totale sulle politiche monetarie. La clausola che i capitali non detenuti dalle banche affiliate non avrebbero avuto potere di voto garantiva che nessun estraneo comprasse quote della Federal Reserve e ne faceva un club rigorosamente riservato agli oligarchi, che con il potere di creare e distruggere moneta potevano determinare periodi di espansione e periodi di recessione – potere che usarono con una violenza maggiore di quanto avessero fatto i singoli banchieri nell’Ottocento. Alle interruzioni delle espansioni economiche si diede anche la veste pseudo-scientifica della teoria dei “cicli economici”, come se fossero fenomeni naturali inevitabili. La nuova Federal Reserve permise alle banche private, in particolare a Morgan e ai suoi alleati, di correre rischi fino a quel momento inimmaginabili; le loro scorribande erano ora sostenute dalla fiducia e dal credito del governo degli Stati Uniti e dei suoi contribuenti ignari. La sua prima prova sarà la richiesta di enormi crediti avanzata dall’Inghilterra e dalla Francia per finanziare la loro guerra contro la Germania e l’Austria-Ungheria.