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La nuova classe mondializzata e l’aristocrazia del denaro

di Luciano Lago - 04/09/2017

La nuova classe mondializzata e l’aristocrazia del denaro

Fonte: Controinformazione

 

Come altre volte abbiamo rilevato, l’Europa e buona parte del mondo, da vari decenni, è caduta nella trappola del neoliberismo, imposto non come scienza economica ma come ideologia totalizzante, una sorta di teoria del tutto, che, grazie ad una massiccia manipolazione dei media, è riuscita a insinuarsi in ogni aspetto del sistema e della società attuale con la potenza di una religione.
Per effetto dell’imposizione di questa dottrina ideologica totalizzante, quale unico parametro di riferimento basato sulla preminenza del libero mercato e della libera circolazione dei capitali e delle merci, le élite sono riuscite a realizzare definitivamente il loro sempiterno progetto: dominare i popoli e le masse. Vedi: Neoliberismo e manipolazione di massa

 

Il sistema neoliberista e l’apertura illimitata dei mercati di capitali ha prodotto nel tempo la finanziarizzazione sempre più spinta di buona parte delle attività economiche, facilitata anche dallo sviluppo tecnologico dell’informatica e dal parallelo processo di globalizzazione dei mercati sempre più avanzato e favorito dai grandi organismi finanziari transnazionali.
La globalizzazione dei mercati ha legittimato la dittatura implacabile che questi esercitano sui governi e sui sistemi economici, vista la capacità degli stessi mercati di paralizzare le azioni di qualunque governo che volesse tentare di proteggere la propria moneta, il proprio livello di tassi di interesse e il proprio mercato borsistico dalle fluttuazioni speculative permanenti che spesso sono dirette ad ottenere il crollo subitaneo dei valore azionario di società quotate o di monete nazionali.

Superfluo notare che “Il mercato” viene sentito, dai sostentori dell’ideologia neoliberista, come il “supremo regolatore” o il “giustiziere” che corregge gli errori dei governi che vogliono intervenire in forma diretta sull’economia dei propri paesi.
A smentire questo ruolo di “giustiziere” è intervenuta a suo tempo la crisi dei derivati subprime del 2007/2008 che ha prodotto la catastrofe bancaria ed il successivo periodo di recessione economica (il più lungo a memoria d’uomo). Una crisi causata dall’eccessivo ruolo di mano libera attribuito ai mercati ed alle banche che ha consentito a questi istituti di aprire alla più bieca speculazione e gettare sul mercato milioni di titoli tossici che hanno finito per generare la grave crisi che ha investito tutto il mondo occidentale per poi contagiare anche l’Asia e l’Estremo Oriente. In questo caso le non regole dei mercati aperti e della assoluta libertà di speculazione hanno giocato un ruolo nefasto sul sistema economico che si pretendeva “autoregolatore” sulla base delle teorie monetariste sostenute dagli apologeti del neoliberismo.

La libertà assoluta ottenuta dalle banche oltre allo sviluppo di tutte le tecniche finanziarie relative ai derivati ed “hedge funds”, ha comportato una esplosione dei fondi comuni di investimento in quasi tutto il mondo sottoposto ai dettami dell’ideologia liberista. In questo contesto i Fondi di Investimento hanno conquistato un ruolo preminente nella grande finanza internazionale ed il successo di questi fondi è stato considerevole. Già nel 2008, malgrado la crisi si calcolavano per la sola categoria del fondi indicizzati (che acquistano e vendono indici di Borsa) circa 2.000 fondi che gestivano 1.000 miliardi di dollari. Questo fenomeno dell’espansione dei fondi ha comportato la creazione di una nuova professione, quella di gestore di hedge funds per conto terzi (clienti che affidano i loro patrimoni) che dispongono di un potere contrattuale molto forte nei confronti di organismi pubblici, banche, istituzioni e governi, grazie alla possibilità di effettuare cospiqui investimenti.

L’elevato volume dei profitti realizzati dalle grandi banche d’affari con le attività speculative ha consentito il moltiplicarsi di questi “hedge funds” specializzati nei vari rami delle attività finanziarie, tanto che “Il fondo principe” degli Hedge Funds, la LCH Investments con base a Londra, una filiale della Edmond de Rothschild Capital Holdings Limited, ha appena pubblicato la sua annuale classifica dei 20 gestori di portafogli che hanno più successo, con i nomi del 2016.
La classifica si basa sui guadagni netti, dopo le imposte, dei sette manager dal momento dell’istituzione del fondo.
Insieme, presi come gruppo, gestiscono più di 275 miliardi di dollari in beni e hanno guadagnato oltre 200 miliardi dall’istituzione dei rispettivi fondi d’investimento.
Vedi: Business insider

Se consideriamo l’insieme del volume gestito dagli Hedge Funds si arriva a cifre astronomiche che, già nel 2007, si calcolava pari a 13 volte il PIL mondiale. . Basti pensare che la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) ha calcolato l’aumento della crescita del totale dei contratti derivati conclusi dai sistemi bancari dell’OCSE nel 653%, passando da un volume di 80.309 miliardi di dollari nel 1998 a 604.622 nel giugno del 2009.
Facile immaginare a quale montagna di denaro (e di conseguente potere di influenza sui mercati) corrisponda attualmente il volume gestito dai fondi.

Da questi dati parziali è possibile farsi una idea di come il formidabile sviluppo dell’industria finanziaria sia divenuto il cuore dell’economia di rendita che produce “magici” guadagni per gli operatori e speculatori, come per i finanzieri senza scrupoli, ma la cui utilità sociale è pari a zero. Il vasto serbatoio del risparmio mondiale e del patrimonio finanziario, la cui gestione è fortemente concentrata nelle mani di alcune grandi società che gestiscono fondi di investimento, non è utilizzato per migliorare l’economia reale produttiva, per incrementare i posti di lavoro, il tenore di vita delle masse dei cittadini o per la regresssione della povertà e dell’emarginazione sociale.
Per questi gestori di portafoglio l’obiettivo è produrre profitti di rendita grazie alle opportunità di speculazioni legate alla finanziarizzazione dell’economia mondializzata ed alle facilitazioni offerte negli investimenti borsistici in ogni parte del mondo.

La nuova classe mondializzata

La grande finanza, intesa come attività economica, fornisce i mezzi per avere un ottimo reddito ed un sostanzioso benessere ad alcune decine di migliaia di professionisti, alcuni dei quali riescono ad accumulare notevoli fortune. Questa dei professionisti, operatori della finanza, che costituisce una rete trasversale di interessi che lega persone di diverse nazionalità appartenenti tanto ai paesi occidentali quanto all’Asia, ai ricchi paesi arabi petroliferi, ai paesi emergenti dell’America Latina, ecc.. Qualunque sia la loro nazionalità gli attori dell’industria finanziaria non hanno alcuno scrupolo in merito alle utilità sociale delle loro professioni. Gli operatori finanziari formano una confraternita che si sostiene a vicenda e difende i suoi privilegi al riparo della legittimità acquisita dalla cultura economica neoliberista che si è affermata ovunque.

Lo stesso accade con i dirigenti delle grandi multinazionali (corporations) le cui remunerazioni possono raggiungere svariati milioni di dollari all’anno (esclusi bonus e premi) e che sono spesso dotati di una sorta di immuntà rispetto agli effetti negativi delle loro attività speculative. I governi e le autorità di controllo, il più delle volte lasciano correre, anzi sono spesso complici con i crack bancari in quanto hanno ottenuto finanziamenti ed agevolazioni non dovute. In pratica politici e finanzieri si coprono a vicenda dagli scandali che avvengono frequentemente. Quelli dell’Italia, con gli scandali del Monte dei Paschi di Siena, della Banca Etruria e delle Banche Venete, sono casi esemplari.

D’altra parte il volume di denaro nelle mani dei gestori di fondi è talmente elevato che non c’è politico o alto funzionario statale che non possa essere comprato ottenendone il tacito assenso alle operazioni più sporche. Gli stessi enti di controllo sono infiltrati dai fiduciari di queste entità finanziarie in modo da essere consenzienti con le operazioni più spericolate, le agenzie di rating a loro volta presentano una proprietà azionaria riconducibile ai grandi organismi finanziari ed i tutto si risolve in un incrocio di interessi e di connivenze che rendono difficile ogni forma di tutele dei risparmiatori.

Il denaro facile anestetizza le coscienze e fa perdere, a coloro che ne beneficiano, la nozione di bene pubblico, di moralità, di etica e perfino di decenza nei confronti di tutti coloro che svolgono un lavoro ingrato e spossante le cui remunerazioni rappresentano solo una infima percentuale di quelle percepite dai grandi dirigenti delle multinazionali e dai banchieri e finanzieri che dispongono del flusso finanziario.

L’aristocrazia del denaro

A somiglianza di quanto avveniva con le aristocrazie di un tempo, costruite sulla rendita fondiaria agricola ( latifondista), si assiste all’emergere del potere mondialista che si è consolidato attraverso la generalizzazione dell’economia di rendita finanziaria e nelle rendite ottenute dalle delocalizzazioni di larghi settori di produzione verso i paesi emergenti a basso costo di manodopera.
In modo analogo alla posizione di rendita derivante dalla proprietà latifondista, di cui disponevano le aristocrazie terriere nei secoli passati, l’aristocrazia del denaro si è strutturata in strati differenti e con livelli diversi di fortuna e di vantaggi materiali. Al vertice della piramide si trovano i miliardari divenuti tali nelle diverse fasi del processo di mondializzazione. Al di sotto troviamo lo strato dei manager di multinazionali e di grandi banche internazionali con i loro principali collaboratori ed advisors. Più in basso figurano i membri delle burocrazie delle istituzioni internazionali il cui livello di reddito potrebbe apparire scarso in raffronto ai primi due strati elitari.

In realtà questi burocrati degli organismi internazionali usufruiscono di uno status privilegiato in raffronto alle professioni dei “colletti bianchi” . In effetti i loro stipendi sono interamente defiscalizzati, senza che ve ne sia una ragione sostanziale, beneficiano di una stabilità di lavoro, di una copertura sociale e di un sistema pensionistico del tutto esorbitante rispetto alla precarizzazione crescente dei posti di lavoro nel mondo, oltre ad una serie di benefits in tema di acquisti, viaggi e vacanze, formazione per i figli, ecc.. che rendono la loro posizione invidiabile rispetto ai normali colletti bianchi del paese in cui sono ubicate queste Istituzioni (come il FMI, Banca Mondiale, BCE, ecc..).

Di fatto quello che garantisce la solidarietà e la fidelizzazione della nomenklatura che lavora nelle Istituzioni mondializzate è l’accesso alla possibilità di guadagni speculativi assicurati dai tanti fondi che consentono una notevole crescita del livello di vita che il solo stipendio non potrebbe garantire, oltre ai notevoli benefits di cui godono i burocrati e le loro famiglie.
Questa dei burocrati, funzionari, manager e collaboratori delle Istituzioni finanziarie costituisce il livello alto della classe mondializzata, che ottiene i suoi vantaggi materiali grazie alla fedeltà mantenuta con le isitituzioni e l’assoluta ossevanza dei dettami dell’ideologia neoliberista. Indipendentemente dalla nazionalità, religione o lingua di chi appartiene a questa classe, il sistema si assicura la coesione delle sue leve operative. Sul campo si potrà assistere ai peggiori massacri, guerre civili, insurrezioni e disordini ma, nelle sfere del potere mondializzato, tutti convivono in modo educato sotto la maschera delle buone maniere, nell’uniformità dell’abbigliamento all’europea, utilizzando tutti gli attrezzi e gadget dei servitori, dai palmari ai tablet, notebook sofisticati, personal computer, carte di credito, tessere punti sulle compagnie aeree internazionali e sui grandi alberghi di lusso ed attrezzi sportivi.

Le improvvise fortune di molti dei finanzieri suscitano invidia ed ammirazione nel pubblico medio e i personaggi esposti alla mediatizzazione appaiono spesso come filantropi e difensori del liberismo, con l’ostentazione del proprio status riescono a sedurre settori del pubblico che, disorientati dal loro fragilità economica, si ispirano alla facile “favola del successo” narrata dai media che sembrerebbe alla portata di tutti.
Il potere per consolidarsi deve alimentare nel popolo la vetrina dei sogni, “panem et circensis” dicevano i romani ed in fondo nulla cambia nel modo di assicurarsi il consenso dei sudditi.