La questione identitaria e la modernità
di Alain de Benoist - 06/03/2023
Fonte: Barbadillo
In occasione dell’uscita in libreria di “Nous et les autres, L’identité sans fantasme” (Le Rocher), Alain de Benoist risponde alle domande di “Breizh-Info”. La questione identitaria attraversa da parte a parte la società. Ma cosa sappiamo dell’identità, filosoficamente parlando? A cosa rimanda? Come comprenderla? È a queste domande – e ad altre – che risponde Alain de Benoist, da filosofo.
BREIZH-INFO. Innanzitutto, questo libro parte dalla volontà di dare una risposta ai dibattiti attuali sull’identità o le identità, dibattiti monopolizzati mediaticamente e curiosamente dall’estrema sinistra e da una certa sinistra?
ALAIN DE BENOIST: “Direi piuttosto che parte dalla volontà di vederci più chiaro in questi dibattiti che, oggi, assomigliano a una giungla. Al giorno d’oggi, tutti parlano di identità, ma il più delle volte sotto forma di litania o slogan. Quando si chiede a coloro che ne parlano di più di dire che cosa intendano con ciò, quale contenuto diano all’identità, che idea se ne fanno, si ottengono risposte perfettamente contraddittorie. Il mio libro è un tentativo di messa a fuoco. La prima parte, la più teorica, si sforza di mostrare come la nozione di identità si è formata nel corso della storia sociale e della storia delle idee, in connessione in particolare con l’ascesa dell’individuo. La seconda, più attuale e più polemica, analizza l’identitarismo razzialista veramente delirante degli ambienti indigenisti o ‘postcoloniali’.
Nell’introduzione dico che l’identità è insieme vitale e vaga. Vitale perché non si può vivere senza un’identità, vaga perché l’identità è sempre complessa: comprende diverse sfaccettature che possono entrare in conflitto tra loro. I due errori da evitare sono di credere che l’identità non sia vitale perché sfocata, o che non possa essere sfocata se è veramente vitale.
Per capire bene ciò di cui si tratta nella narrazione identitaria, bisogna prendere in considerazione tre categorie di differenze: tra l’identità ereditata, in genere alla nascita, e l’identità acquisita (che è determinante quanto la prima: quando si muore per le proprie idee, si muore per un’identità acquisita), tra l’identità individuale e l’identità collettiva, e soprattutto tra l’identità oggettiva e la percezione soggettiva che ne abbiamo. Le diverse sfaccettature della nostra identità non hanno infatti ai nostri occhi la stessa importanza, ed è questo che determina il nostro senso di prossimità rispetto agli altri. Se sono bretone, francese ed europeo, mi sento più bretone che francese o il contrario? Più francese che europeo o il contrario? Se sono cristiano, mi sento più vicino a un cristiano del Mali che a un pagano norvegese (per ragioni religiose) o il contrario (per ragioni culturali)? Se sono una lesbica di destra, mi sento più vicina a un uomo di destra (per ragioni politiche) o a una lesbica di sinistra (per ragioni di carattere sessuale)? Si possono immaginare mille domande di questo genere. Esse ci dimostrano che i diversi aspetti della nostra identità non si armonizzano necessariamente tra loro”.
BREIZH-INFO. L’era della globalizzazione, l’avvento della società liberale, in particolare dopo i conflitti civili del XX secolo in Europa, sembravano aver cancellato in parte la questione identitaria, che torna oggi sotto altri aspetti. Il segno di una forza molto più importante di qualsiasi questione di carattere economico in particolare?
ALAIN DE BENOIST: “La questione identitaria non fa ritorno, essa spunta semplicemente. Nelle società tradizionali, la questione dell’identità non si pone nemmeno. È nell’epoca moderna che comincia a porsi perché i punti di riferimento svaniscono, e sempre più persone si interrogano su ciò che sono e su ciò a cui appartengono. ‘Chi sono?’, ‘chi siamo?’ sono domande che sorgono solo quando l’identità è minacciata, incerta, o già scomparsa. È questo che rende tale nozione intrinsecamente problematica. Supposta come soluzione, è anche parte del problema.
È un errore credere che l’ampiezza delle preoccupazioni identitarie situi le questioni di carattere economico su un piano secondario. L’economico e il sociale fanno anche parte dell’identità. La nostra identità economica, sociale, professionale o di altro tipo non è dissociabile dagli altri aspetti della nostra personalità. Questo è particolarmente vero per le classi popolari, che sono ben consapevoli di essere attualmente oggetto di una discriminazione sia culturale che sociale: si sentono straniere nel proprio Paese e subiscono un disprezzo di classe costante. Si sentono quindi doppiamente escluse. Separare l’identità e il sociale non ha senso. Questo è ciò che non ha compreso Eric Zemmour, che ha creduto di poter resuscitare il clivage destra-sinistra associando un discorso anti-immigrazione dei più ansiogeni a opzioni economiche liberali. Le classi popolari hanno naturalmente preferito Marine Le Pen a lui”.
BREIZH-INFO. Questo inizio del XXI secolo sembra ugualmente segnare il ritorno della questione della razza, del razzialismo, nel dibattito identitario, specialmente a causa dei movimenti indigenisti (ma non solo). Ritiene che questo dibattito sia fondamentale o che costituisca invece una forma di regresso, di essenzializzazione dell’identità attraverso questo prisma?
ALAIN DE BENOIST: “Le razze esistono, e i fattori razziali devono essere presi in considerazione come tutti gli altri. Dare loro un’importanza centrale, voler spiegare tutto con essi, è incoerente. Ho già pubblicato tre libri contro il razzismo, non ci tornerò. La vera natura dell’uomo, è la sua cultura (Arnold Gehlen): la diversità delle lingue e delle culture deriva dalla capacità dell’uomo di affrancarsi dalle limitazioni della specie. Voler fondare la politica sulla bioantropologia equivale a fare della sociologia un’appendice della zoologia, e impedisce di comprendere che l’identità di un popolo è innanzitutto la sua storia. Non è soltanto una regressione di tipo riduzionista, è anche profondamente impolitica. Il risultato lo vediamo con i deliri razzialisti dell’ideologia ‘woke’, che sono perfettamente paragonabili ai deliri del suprematismo bianco americano: il grado zero del pensiero politico”.
BREIZH-INFO. Perché ha scelto di soffermarsi particolarmente sulla questione dell’identità ebraica? Essa cosa ci dice oggi?
ALAIN DE BENOIST: “Dedico a tale questione un ‘excursus’ posto in appendice al mio libro. La ragione è semplice. Negli ultimi due millenni, il popolo ebraico è sempre stato posto a confronto (e si è sempre confrontato) con la questione della sua identità. Mentre tanti altri popoli sono scomparsi nel corso della storia, è riuscito a mantenersi in diaspora tramite una disciplina intellettuale costante e tramite la proscrizione dei matrimoni misti. Senza questa endogamia rigorosa, sarebbe senza dubbio scomparso. Ciò che è ugualmente interessante, è che il pensiero ebraico è sempre stato combattuto tra un polo universalista e un polo particolarista. La risposta che l’ebraismo ortodosso dà alla domanda: ‘Chi è ebreo?’ differisce totalmente dalle legislazioni antisemite che distinguono dei ‘semiebrei’, dei ‘quarti di ebrei’, il che non significa granché. Secondo la tradizione della halakha, ciò che prevale è la legge del tutto o niente: uno è ebreo se è nato da una madre ebrea, non lo è se è nato da un padre ebreo e da una madre non ebrea. Naturalmente, col passare dei secoli, tutto ciò ha dato luogo a discussioni appassionate, che si sono ancora intensificate dopo la creazione dello Stato di Israele. Ho scelto questo esempio per dimostrare che l’identità non è mai una cosa semplice”.
BREIZH-INFO. Lei ha consacrato l’essenziale della sua vita alla difesa dell’identità, e in particolare della civiltà europea. Come sono cambiati il suo sguardo e la sua percezione di ciò che lei è e di ciò che sono gli altri nel corso di diversi decenni? E oggi, chi è lei, chi sono gli altri?
ALAIN DE BENOIST: “Il mio sguardo senza dubbio si è affinato, ma non è mai cambiato. Personalmente, mi definisco fondamentalmente un europeo, solidale con la sua storia e la sua cultura. Nell’epoca della crisi generalizzata delle dottrine universaliste, auspico che l’Europa diventi una potenza a livello di civiltà autonoma. Ma questa definizione della ‘nostrità’ non è esclusiva rispetto agli altri. Non porta né alla xenofobia né al rifiuto di riconoscere i valori e la grandezza delle altre culture del mondo, al contrario (su alcuni punti dovremmo anche prendere esempio). Nei nostri rapporti con gli altri, dobbiamo capire che ogni identità è dialogica: non si ha identità se si è soli. I sistemi universalisti si sforzano di far scomparire l’alterità a vantaggio di un mondo unidimensionale. Sono questi sistemi che rappresentano il nemico principale, perché vogliono debellare le differenze tra tutti i popoli”.
da Éléments (https://www.revue-elements.com/quest-ce-que-lidentite/)