La questione indoeuropea e la nascita delle società gerarchiche
di Pierluigi Fagan - 08/01/2023
Fonte: Pierluigi Fagan
Per chi non conosce la questione indoeuropea (IE) farò una breve introduzione. Le lingue slave, baltiche, germaniche, celtiche, italiche (latino), il greco, l’albanese, l’armeno, nonché tutte le lingue iraniche e quelle indiane del centro-nord (sanscrito) ed anche una vecchia lingua asiatica ai confini orientali con l’area sinica (il tocario), mostrano incredibili tratti di somiglianza in molti aspetti. Parentele e similitudini del tutto oltre il semplice caso, sistematici. Se ne è dedotto che questo albero delle lingue originasse da un fusto e da un seme comune, una popolazione primigenia che parlava quella lingua che poi ha attecchito in varie parti del mondo euroasiatico, evolvendosi nelle varie famiglie linguistiche. Due terzi della popolazione mondiale parla idiomi di discendenza IE.
Dal XIX secolo in poi, si sono prodotte varie teorie su dove risiedevano gli antichi IE e come e perché si dispersero imponendo la loro lingua madre in un areale di incredibile ampiezza. La più famosa è quella di una archeo-antropologia lituana, Marija Gimbutas. Prima neanche considerata, poi ampiamente criticata, poi accettata ma non da tutti. Il libro in oggetto che riassume tutte le prove di ricerca di questi ultimi decenni secondo metodo multidisciplinare (archeologia, antropologia, linguistica, archeobotanica, storia delle civiltà, religioni, mitologie, genetica umana), conferma questa teoria. Il metodo multidisciplinare è l’unico metodo per ricostruire realtà complesse.
I protoIE erano popoli della steppa ucro-russa o ponto-caspica (Mar Nero – Mar Caspio). Nomadi o seminomadi, allevatori (capre, pecore) e primi domatori ed utilizzatori di cavalli. Gerarchici, patriarcali, armati di metalli. A tre riprese, tra il 4500 ed il 2800 a.C., sciamarono dalla loro patria originaria (che è nell’area indicata nella cartina del primo commento) sia verso l’Europa che verso l’Asia orientale, l’Iran-Afghanistan-Pakistan ed infine nord dell’India. Oggi finalmente sappiamo il perché. Cambiamenti climatici importanti e repentini che cambiando l’ecologia locale, data la loro dipendenza dagli animali da pascolo, li spinse a cercare nuovi spazi.
Questa popolazione originaria così diversa da quella che riteniamo la nostra tradizione, arrivò in aree già popolate che avevano loro lingue, culture e forme sociali. Come accadde che questa lingua degli invasori si sovrappose alle lingue indigene condizionandole così profondamente? Data l’evidente sproporzione tra il loro areale originario e relativa demografia e l’areale e demografia di diffusione delle nostre lingue odierne, dal Galles allo Xinjiang, tutte derivate dalla loro, come avvenne questa imposizione/sostituzione/adozione?
A questa domanda, rispose già la Gimbutas e pare oggi si confermi l’idea: questi popoli, pur essendo stretta minoranza rispetto alle aree e popoli che invasero, divennero la prima élite dei nuovi aggregati sociali. La “prima élite” è nel senso che, per molti casi, i popoli invasi non mostrano segni di gerarchia sociale pronunciata prima delle invasioni/migrazioni. Per gli IE, rimane però la sproporzione numerica tra i quanti loro fossero considerando anche le molteplici direzioni nelle quali si dispersero e la concreta possibilità di diventare élite di tanti altri popoli, tutti sottomessi e coartati linguisticamente, quindi culturalmente. Tutti i modelli di imposizione/acquisizione linguistica che conosciamo in antropologia derivano dalla storia ovvero situazioni in cui nel colonialismo o imperialismo c’è comunque una infrastruttura statale o proto-statale che aiuta ad “imporre” la lingua (in linguistica, modello pidgin-lingua creola). Ma non è questo il caso della dispersione degli IE i quali, oltretutto, sembrano responsabili anche dell’introduzione della stessa forma politica elitaria in cui i Pochi comandano i Molti. Quindi: com’è che diventarono l’élite, com'è che imposero lo stesso modello sociale gerarchico?
Il meccanismo forse fu variato ovvero dipendente da molteplici cause e varietà di percorso storico-sociale ma con un chiaro vantaggio su un punto specifico. Quando sciamarono, in alcuni casi effettivamente loro componenti divennero élite locale, ma più ci allontaniamo dalla patria originaria caspio-pontica, più è probabile che il loro complesso culturale venne acquisito da altri, locali, che poi sciamarono anche loro in una incredibile carambola di migrazioni. Lingua e cultura si diffusero per imposizione ma anche acquisizione e contagio. Ma cosa conteneva questa cultura per esser così penetrante o acquisibile?
Come detto, questi popoli originari, erano patriarcali ed erano estremamente gerarchici, erano armati, mobili (col grande vantaggio competitivo del cavallo e carro da guerra trainato da cavalli), a loro modo flessibili data la propensione al nomadismo, sono anche i primi produttori di oreficeria, sono i primi utilizzatori di oro e molti altri metalli. L’oro dava il crisma della distinzione e del valore sociale.
A Varna, oggi Bulgaria, centro della loro prima migrazione, gli scavi hanno ritrovato la più grande prima concentrazione di oggetti di metallo mai trovata in archeologia in ogni parte del mondo, pare concentrata in 700 anni di produzione ed utilizzo (4500-3800 a.C.). Ma avevano anche lunghe tradizioni di scambio e commercio. Sembra che la prima presa di Varna, di cui diventarono la prima forma di élite da migrazione, fu incruenta. Si infiltrarono a più riprese, sposarono donne locali, divennero la casta commerciale.
Teorie della gerarchia sociale hanno di volta in volta preso in esame i produttori ovvero il possesso della terra prima indivisa o i militari e relativo accompagno della casta sacerdotale, ma forse andrebbero aggiunti i commercianti. La logica del commercio retroagisce sulla produzione, agisce sulle relazioni esterne, determina le prime asimmetrie di ricchezza da cui, in certo casi, il prestigio sociale. Tutte cose a noi note oggi dopo tre decenni di globalizzazione. Nel caso dei primi insediamenti degli IE a Varna, la merce più importante era il sale (Varna è sul mare) di cui gli allevatori pastori dell’entroterra erano del tutto sprovvisti e sappiamo quanto la salatura delle carni fosse fondamentale per la loro conservazione. Il sale venne “scoperto” proprio nel mesolitico e la sua storia economica è un capitolo a sé, sino al parziale pagamento delle prestazioni militari in epoca romana, da cui “salario”. È stata chiamata “dominazione morbida” questa forma di emersione delle élite per dinamica incruenta dilatata nel tempo, che si è poi localmente assestata per assimilazione dei locali nelle nuove forme di potere politico e sociale.
Ma il cuore del perché la “gerarchia” diventò la forma più ampiamente estesa delle forme di vita associata è probabilmente nella sua funzionalità di ordine e decisione. Nelle antiche società, da un certo punto in poi, si verificarono lunghe sequenze di problemi adattivi. Nel mesolitico, c’è una sequenza prima di condizioni ambientali semi-paradisiache che probabilmente aiutarono ad accrescere le popolazioni, poi brusche inversioni di condizioni climatico-ambientali. Si ricorse sempre più alla produzione agricola per necessità di sfamare popolazioni più ampie che nel frattempo, creavano nuove densità e saturazioni di areali. Questo stanzializzò molte genti ma altre rimasero mobili e questo divenne spesso motore di conflitto per lo spazio con gli allevatori/pastori (Caino-Abele). Crebbe commercio e complessità sociale per semplici ragioni di dimensione demografica mentre le stesse nuove consistenze demografiche diluivano l’omogeneità culturale dei gruppi, accrescendo le densità locali. Questo complesso di cause qui solo accennato nella sua molteplice composizione, cause interne ed esterne, mise progressivamente sempre più sotto pressione il sistema sociale egalitario soprattutto per quanto riguarda le decisioni. C’erano sempre più cose da decidere, c’era sempre meno tempo, era sempre meno facile, c’era sempre meno coesione sociale ovvero condivisione di un’unica immagine di mondo. Fu questo a “chiamare”, in un certo senso, la necessità di una élite, l’élite era -ed è- fatta da quelli che decidono e meno sono meglio è. Che tipo di élite si afferma (etnica, anagrafica, militare, sacerdotale, commerciale) dipende e varia da luogo e tempo.
Il pacchetto “stile indoeuropeo” con la sua tradizione di comando gerarchico dovuto all’aspra vita nomade particolarmente dipendente sul clima e le ecologie e loro cambiamenti, con cavalli e carri, nuove armi, capacità di controllare ampi territori, estremamente funzionale, commerciale, metallurgica e piena di oro, fu il modello giusto al momento giusto. La nostra presunzione di trovare qualcosa che magicamente trasformò le società tendenzialmente egalitarie in gerarchiche, oltre a dover far i conti con i processi multivariabili, interni ed esterni e non con la causa unica, deve far i conti coi tempi. Noi cerchiamo “rivoluzioni” ma in realtà troviamo solo lunghe transizioni secolari quando non millenarie. Inoltre, sempre usando modelli XIX secolo, cerchiamo innovazioni trasformative (sul modello “Rivoluzione industriale”), ma per lo più sono processi adattativi a condizioni esterne.
In più e non secondario, c’erano anche chiari influssi di narrazione metafisica che esercitarono influenza tanto sul fronte occidentale, ad esempio con le trasformazioni del pantheon greco (da divinità della terra a quelle del cielo, da preponderanza femminile a maschile) o sulle basi delle narrazioni che poi consociamo come mitologia norrena (germano-nordica-scandinava), quanto sul fronte orientale quali troviamo nell’antica Avesta poi diventato zoroastrismo (ricordo che i sacerdoti ebraici compilarono grande parte dell’Antico Testamento nella cattività babilonese, “ospiti” della casta sacerdotale zoroastriana. Nietzsche rimanda a questa origine la sua analisi della morale cristiana quindi occidentale). Lì dove tutto ciò è ancora più intenso ed esplicito è nella prima collezione dei libri sacri dei Veda indiani, i Rg Veda, la più antica scrittura sacra che conosciamo. Queste forme di credenza furono anche la premessa per l’affermarsi successivo del monoteismo.
Si tenga conto che “gerarchia” viene dall’antico greco di ordine (arché), sacro (ieros). Si potrebbe chiosare con il fatidico “così in Cielo, così in Terra”. La “gerarchia” è nel mondo quanto nell’immagine di mondo e questa seconda non si limita a riflettere il mondo a cose fatte, determina come lo facciamo in quanto induce le nostre credenze, mentalità e quindi deliberazione dell’azione. Il pacchetto “gerarchia” fu quindi tanto funzionale che ideologico e si affermò perché adattativo alle nuove, più complesse, condizioni del mondo.
Molte questioni hanno tenuto fuori questo complesso di fatti del tempo profondo dalla nostra auto-narrazione di civiltà. In primis la tempistica. Se l’Antico Testamento racconta la storia originaria, l’origine dell’umanità non poteva superare le quattro-cinque migliaia di anni. Ancora ai tempi di Darwin, in Gran Bretagna (inizio seconda metà del XIX secolo), erano tutti convinti che, in accordo con la Bibbia, la “settimana creativa” di Dio fosse datata al 4004 a.C. Ancora oggi che in archeologia scopriamo così incredibili antichissime, viene facile a History Channel ed altra masnada di cialtroni, convocare alieni a spiegazione di cose umane, troppo umane. Il “mistero”, debitamente manipolato, vende. Ma non c’è nessun mistero se non la nostra ottusa convinzione che “il mondo che conta” abbia poco più di duemila anni. Da ciò tutto il complesso di influenza culturale ebraico-cristiano che è poi quello che ci ha raccontato il passato, incluso quello greco, a modo suo. Inclusa una nostra “specialità predestinata”, diciamo razziale. Strano scoprire invece quanto dobbiamo a dei prepotenti pastori ponto-caspici.
Ed a proposito di questa regione, si tenga conto che fino a trenta anni fa lì era URSS e non si scavava o se si scavava (i sovietici scavavano) i risultati rimanevano chiusi nel complesso culturale del “nemico” in tempi di guerra fredda. Gli IE non avevano scrittura e non costruivano città, templi, palazzi di potere, difficile leggerne l’esistenza, se non per le panciute e sontuose tombe di prestigio (kurgan).
Infine, anche la narrazione critica originata in Rousseau e continuata col primo socialismo e poi quello “scientifico”, si accordava alla scaturigine della “proprietà privata” prima e dei “modi di produzione” poi, per spiegare l’origine della gerarchia. Indubbiamente la modernità occidentale è formata da un ordinamento economico che produce classi e gerarchia sociale, fatto questo che come hanno dimostrato ampiamente gli antropologi (nonché i fruttuosi studi di Karl Polanyi) non si è mai verificato nella storia del mondo precedente (cioè avere per ordinatore l'economico). Ma non si vede come poter retro-fondare questa struttura come spiegazione universale dell’avvento della gerarchia sociale ovvero il dominio dell’uomo sull’uomo in ogni luogo e tempo. Non solo non si vede sul piano logico-argomentativo non risulta per niente neanche dalle ricerche sul campo (si pensava, ad esempio, che fu l’agricoltura a portare alla gerarchia in Mesopotamia, ma il vasto areale dei popoli dell’Europa antica e della civiltà della Valle dell’indo, erano altrettanto agricoli ma per niente gerarchici). Così per la inesistente “rivoluzione neolitica” mesopotamica inventata da un influente archeologo anglosassone marxista negli anni ‘60 ed oggi rasa al suolo da decenni di scavi che mostrano tutt’altra storia, in tutt’altri tempi con tutt’altre variabili causative.
In breve, l’ipotesi che sfida ciò che rimane del “mistero” degli IE è che questi popoli crearono un pacchetto strutturale fatto di ordine sociale piramidale, fatti militari, violenza, armi, casta commerciale, rigide scale di prestigio sociale condite di segni da esibire socialmente e con narrazioni ultrasofisticate amministrate dalle prime élite della storia del mondo che erano sacerdotali, i primi amministratori dell’immagine di mondo. E’ anche probabile che queste tribù originariamente singole entrarono in processi di federazione (come poi gli Unni ed i Mongoli) che portarono alla figura sacerdotale e relativa casta, in luogo dei singoli sciamani. Un accenno di tale processo si trova nei druidi. Questa sarà la base delle famosa tripartizione classica degli IE ipotizzata da Dumézil ma nota ai primi del Medioevo (Adalberone di Laon): oratores, bellatores, laboratores.
Il pacchetto risultò la soluzione giusta al momento giusto e per varie ragioni venne adottato estensivamente o per imposizione o più spesso per acquisizione mimetica e da lì vastamente applicato per “contagio”. Nella sola Europa la faccenda si ripeté in seguito con le invasioni barbariche che sedimentarono l’aristocrazia terriera. Risultò “adattativa” a modo suo, funzionava, dato che le società e la loro convivenza in areali limitati crescevano di complessità portando nuovi e numerosi problemi di decisione, lungo i millenni che dal mesolitico portarono al neolitico.
Quanto al libro (il primo di una trilogia di letture dello stesso Autore di cui probabilmente darò conto), può esser interessante soprattutto per chi non conosce nulla di questa storia che è in tutta evidenza grande parte -ignorata e rimossa- della nostra stessa Storia. Sul meccanismo di diffusione-imposizione-acquisizione detto “acculturazione”, però, c’è ancora da ricercare e comprendere.
Capire quali furono le ragioni del formarsi di società gerarchiche è essenziale per capire la natura di questa forma, quella di allora e quella di oggi.