La questione Ucraina e il vero nemico dell'Europa
di Fabio Falchi - 22/02/2022
Fonte: Fabio Falchi
La questione di ciò che è o non è giusto fare, allorché si tratta del Politico, non si può nemmeno porre in modo corretto e sensato se si ignora che in politica non è necessario fare ciò che si ritiene giusto, bensì è giusto ciò che si ritiene necessario fare per la “salute” (sicurezza nazionale inclusa) dello Stato. Ignorare questo principio equivale a commettere un errore categoriale ossia è come chiedersi di che colore siano i numeri dispari. È quindi in una prospettiva “realistica” e “razionale” che si deve trattare anche la questione ucraina.
Prima di tutto, occorre tener presente che chi afferma che i confini stabiliti alla fine della Seconda guerra mondiale non si possono modificare, si dimentica che quei confini vennero già modificati alla fine del secolo scorso, con la riunificazione della Germania e la dissoluzione dell’Unione Sovietica (nonostante che i popoli della Russia, della Bielorussia e della stessa Ucraina si fossero espressi in senso opposto) e della Iugoslavia.
Il riconoscimento del Kosovo in particolare - uno Stato “sotto tutela americana”, che si potrebbe paragonare ad una Sicilia resasi indipendente dall’Italia e governata dal clan dei corleonesi– costituisce un precedente di cui bisogna necessariamente tenere conto allorché si affronta la questione della “integrità” di uno Stato. E comunque l“integrità” dell’Ucraina era già venuta meno nel 2014, né poteva essere altrimenti considerando il modo in cui avvenne il “regime change” a Kiev. Peraltro, anche la stessa espansione ad Est della NATO ha contribuito a creare una situazione geopolitica del tutto diversa da quella che c’era alla fine della Seconda guerra mondiale.
D’altronde, chi continua a ripetere che si devono rispettare gli accordi di Minsk II “ignora” che è proprio Kiev che si è sempre opposta all’implementazione di questi accordi che prevedevano il riconoscimento dell’autonomia delle due province del Donbass ovverosia la creazione di uno Stato ucraino federale e multietnico, di cui il governo di Kiev non vuole nemmeno sentire parlare. Ma è pure noto che in Ucraina il potere di fatto è nelle mani di oligarchi russofobi e perfino neonazisti che non esiterebbero a fare massacrare la popolazione russa del Donbass (come accadde ad Odessa) se ne avessero la possibilità. Del resto, non è neppure un mistero che adesso le milizie delle due repubbliche del Donbass non potrebbero resistere ad un attacco dell’esercito ucraino (armato dall’America e schierato in massa ai confini del Donbass) senza il diretto sostegno dell’esercito russo.
Comunque sia, si deve prendere atto che Mosca (che non ha intenzione né ha la possibilità di occupare l’intera Ucraina) non è (più) disposta a lasciare che la NATO le punti il coltello alla gola, e quindi ha ritenuto che fosse giusto fare ciò che è necessario fare per la sicurezza della Russia e delle due repubbliche del Donbass, i cui abitanti in gran numero sono cittadini russi. Del resto, la Russia controllava già da tempo il Donbass e in pratica adesso ha, per così dire, “formalizzato” questo controllo, senza annettere le due repubbliche di Donetsk e Lugansk. Certo, la Russia dovrà pagare il costo di questa sua decisione, ma si deve anche riconoscere che la situazione è ancora estremamente fluida e quindi sono possibili diversi scenari.
D’altra parte, le "chiavi strategiche" dell’Ucraina sono possedute dagli USA, che usano l’Ucraina come una pedina geopolitica per destabilizzare la Russia e al tempo stesso per creare una nuova cortina di ferro in Europa, di modo da ridurre il più possibile anche le relazioni economiche tra l’UE e la Russia e consolidare la propria egemonia sul Vecchio Continente (di fondamentale importanza per l’America anche nella sfida con la Cina).
In particolare, con l’elezione di Biden (uno dei “registi”, insieme con Blinken e Nuland, del golpe neofascista di piazza Maidan) alla presidenza degli Stati Uniti, la pressione della NATO ai confini occidentali della Russia è enormemente aumentata, nonostante che pensatori conservatori come Kissinger, Kennan e Mearsheimer abbiano sempre sostenuto, basandosi su un “elementare” principio della geopolitica, che all’America convenga concentrare le proprie forze contro la Cina, ossia il suo maggiore avversario, e cercare di dividere la Russia dalla Cina, anziché agire in modo tale da rafforzare sempre più l’alleanza tra questi due Paesi.
Non è però solo l’America che rischia di rivolgere contro sé stessa la punta distruttiva della propria politica di prepotenza, dato che rischia, nel medio-lungo termine, assai più di quanto si possa pensare, sebbene sia riuscita ad ottenere la sospensione del gasdotto Nord Stream 2 e possa pure (anche grazie all’immagine fasulla della realtà diffusa dai media mainstream, che in relazione alla questione ucraina hanno, per così dire, perfino “superato sé stessi”) sostenere di difendere la libertà e l’indipendenza dell’Europa.
A pagare le conseguenze della politica di prepotenza di un’America sempre più incapace di confrontarsi con un mondo multipolare sarà infatti anche e soprattutto l’Europa. All’UE sarebbe convenuto, non schierarsi dalla parte della Russia (dato che non ci sono le condizioni geopolitiche per una tale scelta), ma perlomeno “smarcarsi” dalla politica di prepotenza americana, prendere nettamente le distanze dagli oligarchi neofascisti o addirittura neonazisti ucraini e fare pressione, usando la leva economica (dal momento che pure l’UE contribuisce a “mantenere in vita” lo Stato ucraino), sul governo di Kiev perché implementasse gli accordi di Minsk II. Invece l’UE ha confermato di essere una “nullità geopolitica”, preferendo seguire pedissequamente le direttive strategiche di Washington, anche a costo di danneggiare gravemente i propri interessi, perché le sanzioni che l’UE imporrà alla Russia di fatto le imporrà anche ai cittadini europei. E come sempre saranno soprattutto i ceti sociali più deboli a pagare il costo più alto.
Tuttavia, se perfino le grandi potenze non sono come astronavi che si muovano nel vuoto cosmico, anche la questione della difesa dell’interesse nazionale non la si può comprendere senza considerare che gli interessi di una élite dominante possono essere anche assai diversi dall’interesse nazionale. In questo caso cioè non conta quel che è necessario fare per la “salute” della comunità cui si appartiene, bensì la difesa “ad ogni costo” dei propri privilegi. In sostanza si tratta di qualcosa che non è molto diverso da ciò che i marxisti definiscono come “lotta di classe”.
In definitiva, per comprendere la politica dell’UE non si può non considerare che l’élite dominante europea è legata “a doppio filo” alla élite dominante americana, giacché l’America è pur sempre il gendarme del sistema liberal-capitalistico. In quest’ottica, pertanto, è lecito affermare che anche l’attale crisi ucraina ha dimostrato che non la Russia (indipendentemente dal giudizio che si può avere sul “regime di Putin) bensì l’euro-atlantismo è il vero nemico dell’Europa, ossia che europeismo non è affatto sinonimo di euro-atlantismo.