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La rivolta dei covid maledetti

di Alessio Mannino - 24/10/2020

La rivolta dei covid maledetti

Fonte: L'intellettuale dissidente

Icoprifuochi fatui sono “un palliativo per non chiudere tutto”, servono “anche per limitare l’utilizzo di alcol e altre sostanze che rilassano i freni inibitori esponendo a rischi i giovani” (sic!); per decongestionare il trasporto pubblico si potrebbero “utilizzare autobus privati fermi, perché in questo momento nessuno viaggia”; contro la mancanza di camici bianchi andrebbe fatto ricorso ai “medici di base” e ai “pediatri” dopo averli “equipaggiati in sicurezza e in modo adeguato”; prioritario “investire nelle scuole, oltre che in sicurezza anche su nuovi programmi per i giovani adulti, in modo da evitare di avere in futuro altri terrapiattisti”. Tutto, pur di evitare una seconda quarantena generalizzata (lockdown lo dicono gli angloschiavizzati, usiamo l’italiano, per carità di Dio), “perché provocherebbe rivolte armate”. Sono le perle donate al Fatto Quotidiano (23/10) dall’illustrissimo professor Ranieri Guerra, legato dell’Oms presso il Comitato di scienziati consiglieri del governo Conte.

Ora: a parte che i giovani – ma anche i meno giovani, sa esimio prof. Guerra? –  qualora non bevano fuori casa possono inquartarsi di alcolici lo stesso, magari in compagnia del babbo cassintegrato, e i “freni inibitori” non dovrebbero essere affar suo, semmai del ministro dell’Interno, e neanche tanto; a parte che requisire mezzi privati presuppone un relativo pagamento, o in alternativa l’economia di guerra; a parte che l’equipaggiamento, come lo chiama l’esperto, per dottori non in corsia e non specializzati richiede tempo, nonché formazione che a sua volta esige altro tempo, e in un’escalation pandemica a mancare è proprio il tempo; a parte che investire nelle scuole non si capisce, nell’immediato, che diavolo significhi, né a cosa corrisponda una programmazione per adulti non ancora adulti (sembra la formula dei film porcelloni quando, bei tempi, non esisteva l’internet), e quanto ai terrapiattisti, forse sono sinonimi di negazionisti del virus, putribondi figuri rispecchiabili alla rovescia nei negazionisti del tracollo economico, tutti estremisti dello squilibrio, tutti, come sempre, feccia neo-liberale; a parte tutte queste chiamiamole fesserie che neanche al baretto sotto casa mia (fucina d’alta filosofia, dopo una certa…), interessante è lo spauracchio della rivolta, addirittura armata.

Eccallà, direbbero a Roma. Si agita già adesso, subito, preventivamente, con le mani avanti per pararsi il didietro il timor panico dell’insurrezione popolare. E non solo popolare: pure munita di oggetti immaginosamente contundenti, forconi et similia, o magari da fuoco, schioppi o fucili da caccia, vai a sapere tu. E chi lo armerebbe, questo popolo insorgente la cui minaccia incombe sulla sicurezza dei nostri governanti e sul pubblico mortorio? Mistero fitto. Qualche cavalcatore professionale di tigri piazzaiole, tipo quell’ex graduato dei caramba tutto vestito di arancione dai discorsi incendiari che si spengono dopo due secondi netti? Oppure, tipo quell’intellettualino docentino cagalibri, vanitoso come una influencer spillaquattrini, che lancia anatemi contro la dittatura che lo lascia libero di straparlar di dittatura? O saranno mica la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, la sacracoronaunita e tutte le gang criminali del Paese unite nella lotta, che qualche jacquerie vuoi che non se la mettano in conto spese voluttuarie, giusto per fare un po’ di caos anziché approfittare e allargare in silenzio i propri lucrosi affari che in genere amano appunto il silenzio? Ma che ne sappiamo noi, incolti e incliti, profani di microbiologia, non tesserati al partito della Scienza Pura né a quello del Business As Usual. Herr professor Guerra, forte di bellicoso cognome, ne saprà più di noi senz’altro.

Ma più del diavolo no, non ne sa una, e nemmeno due. Il diavolo si nasconde nei dettagli, e a volte sotto i coperchi. La pentola sotto pressione ribolle di acqua sempre più densa, scura, insudiciata da terrori di intubazione e paure di lastrico occupazionale. Sì insomma, si alza nel popolaccio, nella plebe (che poi saremmo noi) l’affanno da futuro nero, e questo al netto di tutte le previsioni strumentali e criminalizzanti dei nostri reggitori di gran fava governativa, e dei loro consulenti di sanità in divisa mondialista. Vedrete, vedrete quando terminerà la campana di vetro dei licenziamenti bloccati: sarà la strage di innocenti, la fame del nostro tempo, la depressione più recessione più stagnazione. Ma sarà anche rivolta, la nuova rivolta del pane? Pressurizzati fra quattro mura, con la mamma che raccomanda di non uscir troppo di casa (ah, le mamme, questa sciagura nazionale, bisognerebbe metterle fuori legge al 20esimo anno d’età del coglionato figliolo), mentalmente infrolliti dall’abuso di sostanze virtuali (Web nostro padrone, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà, mica la nostra), refrattari a prender botte, denunce e ludibrio in strada (avete visto che fine fanno d’altronde tutti i moti di piazza, no? Gilet Gialli insegnano: poderose e benedette fiammate, poi senza la triade capo-organizzazione-infiltrazione nel sistema, si torna alla maison, a sognar rivoluzioni e pagar bollette), in sintesi privi come siamo di quella disposizione a rischiare in prima persona, facile che la sobillazione finisca per giocare al gioco dell’eterno gattopardo. Gli scoppi di furore si spiegano, son comprensibili, sono adrenalinici, possono anche risultare utili a livello simbolico, san sacri e santi, ma da soli hanno un effetto di auto-placebo, assolvono la funzione ingenua e sterile di sfogare l’ira del momento e niente di più. Fanno godere i dannunzio dei poverissimi, i tribuni spaghettari, i ribellisti pavloviani. Ma non possono sostituire il lavorìo paziente, lucido, incessante, a martello di una forza che si prepari a gestire eventuali insorgenze spontanee per farne Politica, possibilmente Grande Politica.

I morsi dell’inedia non sono mai stati sufficienti a far tremare nessun Palazzo. E’ quando si forma un gruppo coeso determinato a prendere il posto dei suoi inquilini per abbatterlo e costruirne un altro, che allora l’acqua che risale dal pozzo ha una chance di sommergere il campo di battaglia. Noi siamo l’acqua in ebollizione. Può esondare e infilarsi ovunque, ma non se non ci mette il suo zampino qualche scaltro satanasso, qualche insolente interprete del pessimo umor popolare che lo porti ben oltre l’umor di cane rognoso – verso una meta. Si sta preparando, più o meno inconsciamente, un esercito di scontenti, di disoccupati espulsi, di ospedalieri sfiniti, di piccoli imprenditori indebitati, di genitori impazziti, di figli abbandonati, di soli sempre più soli, le vittime da trincea codivista, impoveriti, sacrificati, schiacciati, avviliti e umiliati non solo nelle tasche, ma anche nei legami spezzati, nei talenti negati, nella vita ristretta di tutti i giorni, rimpicciolita, scarafagizzata (e non perché non si fa più su e giù su Ryanair, fotte sega, semmai perché la notte è proibita, causa sindrome-cenerentola per decreto, e per sopravvivere rinascono i ritrovi carbonari nel desco casalingo, almeno finchè dura).  

Una carica di energia compressa monta e potrà implodere come esplodere, non sappiamo. Sappiamo però che serve, si diceva una volta, un’avanguardia per l’after-Coronavirus, quando potrebbe arrivare il momento. La rivoluzione non è una mascherina buttata nel cesso. Come non è discorrere in un webinar col frigo pieno. E’ non avere nessun tabù, a parte l’onore, padre d’onestà e servitor di libertà. Esisterai mai, demonio d’un novello e de-comunistizzato Lenin? Lo scetticismo è d’obbligo. Il volontarismo pure.