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La sconfitta dell’Occidente. L’irrinunciabile analisi di Emmanuel Todd

di Roberto Iannuzzi - 26/10/2024

La sconfitta dell’Occidente. L’irrinunciabile analisi di Emmanuel Todd

Fonte: Sinistra in rete

Todd ha il grande merito di aver aperto un dibattito troppo a lungo rifiutato dall’ipocrisia delle élite occidentali, tracciando un quadro realistico delle ragioni del declino dell’Occidente

141728668 3e652bf2 6490 4181 b830 e009e9e06f0c.jpgA più di due anni dall’inizio del conflitto ucraino, sebbene la guerra continui a infuriare soprattutto nella parte orientale del paese, se ne sente parlare molto meno.

Una ragione c’è: le cose non stanno andando come la gran parte degli strateghi, dei commentatori, dei grandi mezzi di informazione occidentali aveva previsto.

Kiev è sulla difensiva, la speranza ucraina di riconquistare i territori perduti si è rivelata un’illusione, le forze russe stanno avanzando sull’intero fronte del Donbass. L’invasione estiva dell’oblast russo di Kursk da parte ucraina si è risolta in un estemporaneo episodio di avventurismo militare.

Ma soprattutto, l’entusiasmo occidentale per il sostegno all’Ucraina si sta affievolendo, con una Germania sempre più alle prese con la sua crisi economica interna, e gli Stati Uniti assorbiti da un’incerta campagna presidenziale.

 

Le ragioni del fallimento occidentale in Ucraina

Sebbene il conflitto sia tutt’altro che concluso, e presenti tuttora rischi di escalation a seconda delle scelte che compiranno i leader occidentali, esso ci parla di un fallimento.

Ad aver fallito sono le strategie militari della NATO, le sanzioni che avrebbero dovuto mettere in ginocchio un’economia russa che è invece più che mai vitale, l’industria militare americana ed europea che si sono rivelate incapaci di stare al passo con la produzione bellica russa.

Ma, ancora una volta, USA ed Europa stanno compiendo un processo di rimozione, di autoinganno. Non si analizzano le ragioni dell’ennesimo disastro occidentale, le tragiche conseguenze di aver sacrificato un intero paese sull’altare dell’ostilità occidentale contro Mosca, ci si illude di poter magari giungere a un “pareggio” con Putin.

C’è però un’eccezione a questo panorama desolante, un volume uscito da pochi giorni in edizione italiana per Fazi Editore: La sconfitta dell’Occidente, di Emmanuel Todd, storico, sociologo e demografo francese.

Oltre che un best-seller, il libro ha rappresentato un caso editoriale in Francia, e il suo autore, il quale si definisce un dissidente dell’intellighenzia francese, è stato prevedibilmente accusato di simpatie putiniane.

Eppure tale opera solleva interrogativi fondamentali sulla crisi in cui si dibatte l’Occidente, interrogativi che pochi hanno avuto il coraggio di affrontare, e che sono invece necessari per comprendere le ragioni del fallimento occidentale contro la Russia.

Il libro viene scritto nell’estate 2023, con l’intento di fornire una previsione: la sconfitta dell’Ucraina. Oggi questa previsione è una certezza, sostiene Todd nella prefazione scritta per l’edizione italiana.

Temi centrali del volume sono il collasso dell’Occidente – e soprattutto degli USA, il paese che lo ha guidato per circa un secolo – e la ritrovata centralità della Russia.

In maniera stupefacente, per chi non conosce la genesi della guerra ucraina, o per chi l’ha seguita solo attraverso i media occidentali, Todd descrive il conflitto come una “aggressione promossa dall’Occidente” (riferendosi, com’è ovvio, alla continua espansione a est della NATO, e soprattutto alla sua progressiva infiltrazione dell’Ucraina dopo il 2014).

Egli pone quindi tre interrogativi fondamentali: perché l’Occidente non accetta la sconfitta? Per quale motivo sembra disposto a correre il rischio di uno scontro diretto con la Russia?

Perché la pace viene descritta dai leader occidentali “come se rappresentasse una minaccia ancora più grave di uno scontro termonucleare”?

Le sorprese del conflitto ucraino

L’autore traccia anche un possibile scenario di fine conflitto (un conflitto congelato?), con l’ampliamento obbligato degli obiettivi militari russi a seguito dell’intransigenza occidentale, e le relative incognite che potrebbero riguardare un simile quadro (in particolare il destino di Leopoli, e le Repubbliche Baltiche).

Il conflitto ucraino, inizialmente provocato dagli USA, e quello a Gaza e in Medio Oriente, dimostrano, secondo Todd, la crescente impotenza di Washington, trascinata da alleati radicalizzati (Ucraina e Israele) che avrebbe in realtà dovuto controllare – una tesi che si applica maggiormente al caso israeliano che non a quello ucraino, dove le sorti del presidente Volodymyr Zelensky restano tuttora incerte.

Una pace alle condizioni russe significherebbe la sconfitta americana e la fine dell’egemonia USA, scrive lo storico francese. Per Washington la guerra deve dunque continuare, al fine di mantenere il controllo sui propri vassalli in Europa e nel Pacifico.

Egli descrive l’Unione Europea come totalmente assoggettata, e la NATO come strumento di asservimento del vecchio continente agli USA.

L’Europa va tuttavia incontro a una crisi crescente che deriva dal suo distacco dalla Russia, ed in particolare dalla sua rinuncia alle fonti energetiche russe a basso costo.

In tre paesi chiave dell’UE (Italia, Germania e Francia), ci troviamo in una crescente dinamica di popoli contrapposti ai governi: le oligarchie europee hanno perciò poco tempo per trascinare le loro popolazioni in una guerra a oltranza con la Russia.

Todd enumera le sorprese prodotte dal conflitto ucraino. Fra esse spiccano la resilienza economica russa, l’evanescenza europea, il bellicismo antirusso dei paesi scandinavi, l’insufficienza militare dell’industria bellica USA, la solitudine ideologica dell’Occidente (abbandonato dal Sud globale) e, in conseguenza di tutto ciò, l’imminente sconfitta occidentale.

Ma la sorpresa maggiore, che include le altre fin qui enumerate, non è la ritrovata assertività della Russia (un paese che, con una popolazione in calo e un territorio addirittura troppo esteso per essa, non minaccia nessuno), ma il fatto che a mettere a rischio l’equilibrio del pianeta è la crisi occidentale, e “più precisamente, la crisi terminale degli Stati Uniti”.

 

Crisi dello Stato-nazione occidentale e stabilità russa

Todd attribuisce il declino dell’Occidente alla progressiva scomparsa dello Stato nazionale. USA ed Europa soffrono di differenti forme di disgregazione dello Stato-nazione, accompagnate dalla morte del cristianesimo, in particolare nella sua forma protestante, che aveva sostenuto il capitalismo occidentale.

Alla morte del cristianesimo fa da contraltare l’emergere di un nichilismo inteso da Todd come pulsione a distruggere, a livello fisico, ed a negare la nozione stessa di verità e di qualsiasi descrizione ragionevole del mondo, a livello concettuale.

Vengono così messe a confronto due Weltanschauung, secondo lo storico francese. Da un lato, il realismo strategico degli Stati-nazione come la Russia. Dall’altro, la mentalità post-imperiale occidentale, emanazione di un impero in disfacimento che tuttavia ambisce a rappresentare la totalità del mondo, non ammettendo più l’esistenza dell’altro (si pensi al totalitarismo del moderno sistema neoliberista globalizzato, che non ammette altro da sé).

Todd esamina, in particolare a livello demografico, le ragioni della stabilità russa (calo del tasso di decessi legati all’alcolismo, del tasso di omicidi e di suicidi, del tasso di mortalità infantile che scende addirittura al di sotto di quello americano) e dell’incredibile abbaglio occidentale, ovvero dell’incapacità dell’Occidente di riconoscere tale stabilità. Questo abbaglio è dovuto, secondo l’autore, alla progressiva scomparsa, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, dell’abilità occidentale di concepire la diversità del mondo.

Scrive Todd:

“Era evidente che la Russia postcomunista: avrebbe mantenuto alcuni tratti comunitari nonostante l’adozione di un’economia di mercato; che una di queste caratteristiche sarebbe stata l’esistenza di uno Stato più forte che altrove; che un’altra sarebbe stato un modo diverso, rispetto a quello occidentale, di rapportarsi con le varie classi sociali da parte di questo Stato; e che un’altra ancora sarebbe stata l’accettazione, in misura differente, da parte di tutte le classi sociali – più forte in quelle popolari, più mitigata in quella media – di una certa forma di autoritarismo e di aspirazione a un’omogeneità sociale”.

Perciò, aggiunge l’autore:

“Il ‘sistema Putin’ risulta stabile in quanto è frutto della storia russa e non dell’opera di un singolo individuo. Il sogno di una rivolta antiputiniana, che ossessiona Washington, altro non è che un vagheggiamento, il quale nasce dal rifiuto occidentale di constatare come sotto il suo regno le condizioni di vita siano migliorate e di riconoscere la specificità della cultura politica russa”.

 

Ascesa e morte del protestantesimo

Dopo aver analizzato le ragioni della stabilità russa, come anche quelle della strana “resilienza” ucraina – uno Stato apparentemente fallito – nel conflitto (cfr. cap. 2), Todd passa al cuore del problema, che è anche il cardine centrale del libro.

La radice dell’attuale crisi mondiale, egli scrive, va ricercata nella decadenza dell’Occidente. Alla luce della centralità mondiale dell’Occidente fra il 1700 e il 2000, la sua crisi equivale alla crisi del mondo.

E qui Todd si dichiara discepolo di Max Weber, allorché afferma che all’origine dello sviluppo occidentale non troviamo “il mercato, l’industria e la tecnologia”, bensì una religione: il protestantesimo. Nella sua opera L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Weber poneva la religione di Lutero e di Calvino all’origine della cosiddetta “superiorità occidentale”.

Ma, se il protestantesimo è stato davvero alla base del decollo dell’Occidente, scrive lo storico francese, è la sua morte oggi a causarne la dissoluzione.

Per affrontare questo discorso, Todd identifica due Occidenti, uno ristretto, emerso dalla rivoluzione liberale, e composto da Inghilterra, Stati Uniti e Francia.

Esso si fonda su tre eventi fondamentali: la “Gloriosa rivoluzione” inglese del 1688, la Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776, e la Rivoluzione francese del 1789.

La seconda definizione, più ampia, di Occidente è quella che coincide essenzialmente con il sistema di potere statunitense. In questo Occidente, così definito, il decollo dello sviluppo economico rispetto al resto del mondo è stato determinato da due rivoluzioni culturali: il Rinascimento italiano e la Riforma protestante tedesca.

La Germania ha dunque giocato essa stessa un ruolo centrale nello sviluppo occidentale, in quanto la religione protestante “ha accidentalmente forgiato una forza lavoro altamente efficiente”.

Il nucleo protestante dell’Occidente è dunque emerso “a cavallo tra le sue componenti liberali e autoritarie”, essendo uno dei suoi poli il mondo anglosassone, e l’altro la Germania. La Francia cattolica, scrive Todd, “per contiguità” è riuscita a mantenersi “nella sfera più sviluppata dell’Occidente, che è essenzialmente protestante”.

Altro elemento chiave del protestantesimo, a livello sociale, è il seguente: esso ha ereditato dalla dottrina della predestinazione l’idea “secondo cui alcuni sono eletti e altri dannati, per cui gli uomini non sono tutti uguali”.

Perciò non sorprende, scrive l’autore, che le due forme più potenti e durevoli di razzismo siano emerse nei paesi protestanti: il nazismo e la discriminazione americana nei confronti dei neri.

A ciò, bisogna dire, si potrebbe aggiungere il radicato razzismo che tutte le potenze coloniali europee, pressoché indistintamente, hanno manifestato nei confronti delle popolazioni colonizzate.

Non vanno poi dimenticate, aggiunge Todd, l’eugenetica e le sterilizzazioni forzate, nella Germania nazista, ma anche in Svezia e negli Stati Uniti, che furono conseguenza di una prospettiva protestante la quale non riconosceva tutti i diritti fondamentali a ogni individuo.

Il protestantesimo fu però anche un potente motore di sviluppo degli Stati nazionali, instillando tramite la lettura della Bibbia la convinzione dei popoli protestanti di essere “eletti da Dio”.

 

Declino della democrazia occidentale

L’aspetto paradossale dell’attuale fase di declino dell’Occidente, è che esso pretende di rappresentare la democrazia liberale in contrapposizione alle “autocrazie”, come quella russa, proprio mentre il suo nucleo anglo-americano-francese, quello che ha inventato tale forma di democrazia, è in una crisi profonda.

La rappresentazione “democratica” che l’Occidente dà di sé in questa fase di contrapposizione mondiale, fra l’altro, è in completa contraddizione con il dibattito interno sulla crisi della democrazia che, sebbene in sordina, nei paesi occidentali è in atto almeno dalla fine del secolo scorso.

Al di là delle negazioni ufficiali e di facciata, dunque, “l’idea di una democrazia occidentale in crisi terminale non è affatto eccentrica o marginale; è ormai un luogo comune e condiviso, seppure con sfumature diverse, da molti intellettuali e politici”.

Tale crisi è stata accompagnata e favorita da un aumento generalizzato delle disuguaglianze “che ha frantumato le classi tradizionali, ma ha anche peggiorato le condizioni materiali e l’accesso all’occupazione degli operai e delle stesse classi medie”.

Il malessere occidentale, dunque, precede di gran lunga la guerra in Ucraina, contrapponendo due categorie ideologiche: l’elitismo e il populismo. “Se il popolo e l’élite non riescono più ad accordarsi per lavorare insieme”, scrive Todd, “il concetto di democrazia rappresentativa perde ogni suo significato: si finisce con l’avere una élite che non vuole più rappresentare il popolo e un popolo che non è più rappresentato”.

Questa constatazione altera il significato della guerra in corso in Ucraina:

“Annunciata dal pensiero dominante come la lotta delle democrazie liberali dell’Occidente contro l’autocrazia russa, questa diventa piuttosto un confronto tra le oligarchie liberali occidentali e la democrazia autoritaria russa”.

Il malfunzionamento delle oligarchie liberali ha l’effetto di selezionare élite incompetenti sul piano politico e diplomatico, provocando inevitabilmente gravi errori nella gestione della competizione con avversari come Russia e Cina.

Ma, ovviamente, anche sul piano interno si assiste a crescenti disfunzionalità, sebbene istituzioni e leggi della democrazia liberale apparentemente non siano mutate, sostiene Todd:

“Formalmente, sono ancora delle democrazie liberali, dotate del suffragio universale, di Parlamenti e talvolta di presidenti eletti, nonché di una stampa libera. A sparire sono stati invece i costumi democratici. Le classi più istruite si ritengono intrinsecamente superiori e le élite, come abbiamo detto, si rifiutano di rappresentare il popolo, al quale non resta che adottare dei comportamenti bollati come populismo. Ovviamente, sarebbe un errore credere che un sistema del genere possa funzionare in maniera armonica”.

Ne segue semplicemente, conclude Todd, che “essendo le elezioni una procedura ancora in vigore, il popolo deve essere tenuto fuori dalla gestione economica e dalla distribuzione della ricchezza; in sostanza, deve essere ingannato”.

 

Nichilismo e atomizzazione sociale

Assieme a questa crisi, “si assiste a un fenomeno di atomizzazione sociale, di polverizzazione delle identità, che interessa tutti i livelli della società”. Un fenomeno in gran parte conseguenza della progressiva scristianizzazione e secolarizzazione delle società occidentali.

La prima fase della secolarizzazione non può essere considerata come una condizione realmente post-religiosa, scrive l’autore:

“E’ allora che compaiono le credenze sostitutive, in genere delle ideologie politiche forti che organizzano e strutturano gli individui nello stesso modo in cui lo faceva la religione. Per quanto sconvolte dalla scomparsa di Dio, le società rimangono comunque coerenti e capaci di agire”.

Nella fase finale della secolarizzazione,

“i costumi e i valori ereditati dalla religione iniziano a infiacchirsi o a disintegrarsi, per poi infine sparire; ed è allora, e solo allora, che appare ciò che stiamo vivendo: un vuoto religioso assoluto, in cui gli individui sono privi di qualsiasi credenza collettiva sostitutiva. Uno stato zero della religione”.

Questa condizione post-religiosa e post-ideologica coincide con la dissoluzione dello Stato-nazione e il trionfo della globalizzazione, “in società atomizzate dove non è più neanche concepibile che lo Stato possa agire efficacemente”.

Lo “stato zero della religione” è dunque per Todd quello nel quale sono stati spazzati via il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, il concetto di una morale sociale vincolante, e la capacità di sacrificarsi per la comunità.

Ci siamo dunque liberati dalle credenze metafisiche, fondanti e derivate, comuniste, socialiste o nazionali, per sperimentare semplicemente un vuoto che ci sfinisce, ci ridimensiona e ci rende deboli.

 

Agonia di un impero

Todd articola la crisi complessiva dell’Occidente nelle sue varie declinazioni: quella europea, tedesca e francese in particolare, progressivamente asservita ai meccanismi di una globalizzazione finanziaria guidata dagli USA i quali, paradossalmente, pur in declino, hanno accresciuto la loro influenza sul vecchio continente.

Un quadro, questo, in armonia con l’emergere di un rapporto generale di “sfruttamento sistemico della periferia da parte del centro americano”.

Gli Stati Uniti, a loro volta, non escono illesi da questa crisi. Al contrario, ne costituiscono il centro:

“La loro dipendenza economica dal resto del mondo è diventata immensa; e la loro società si sta disgregando. I due fenomeni interagiscono. Perdere il controllo delle proprie risorse esterne provocherebbe un calo del tenore di vita, già poco brillante, della popolazione. Ma è tipico di un impero il fatto di non poter più separare ciò c