La società adatta e i suoi nemici
di Pierluigi Fagan - 07/04/2019
Fonte: Pierluigi Fagan
[Post della serie "la lingua batte dove il dente duole"] Se le società sono veicoli adattivi, esse hanno un esterno ed un interno. Come tutte le cose, hanno una loro forma interna, un perimetro semi-aperto/chiuso ed un ambiente nel quale si collocano e nel quale debbono trovare il loro miglioro adattamento. Le società umane che derivano dalla strategia sociale animale ed anche vegetale di più lunga tradizione evolutiva, sono più complesse ma per logica a grana grossa, appartengono a questo discorso più generale.
Come società italiana, noi oggi all'esterno siamo vincolati da una serie di fattori che vanno dall'UE, all'euro, alla libera circolazione dei capitali, molti diretti in luoghi a cui nessun fisco ha accesso. Si può e si deve fare una battaglia contro questi poteri sovra-ordinanti, ma i tempi per ottenere risultati sono molto lunghi. All'interno però, forse qualcosa si può fare, era questo il senso originario del post dell’altro giorno che riprendeva il pornografico concetto di “patrimoniale” che tanto scandalo ha fatto. Credo che alcuni non abbiano la percezione statistica corretta della distribuzione della ricchezza in Italia. Anche alcuni che hanno di recente approcciato il problema delle diseguaglianze più a livello teorico (Milanovic, Piketty, Atkinson, Sen, Stiglitz, Gallino) che concreto. Nel concreto, i dati Bankitalia ed OCSE, alcuni dati ISTAT, ma si potrebbero aggiungere quelli su evasione ed elusione o la semplice percezione empirica sul numero di auto sopra i 2000 cc., piuttosto che certi luoghi di ricreazione e vacanza, porticcioli, luoghi esclusivi e templi dello sfarzo, interi quartieri e metro quadro medio delle abitazioni, prime-seconde-terze case, negozi del lusso, danno una idea del divario di ricchezza tra fasce della popolazione.
Io, personalmente, non ho nulla di personale contro la ricchezza, ne faccio solo una fredda questione di funzionalità della società: chi ha di più deve contribuire di più poiché la funzione adattiva della società in cui vive è bene comune. Se la distribuzione della ricchezza ci divide, l'appartenenza ad una comune società ci unisce, volenti o nolenti. La contribuzione di ricchezza privata al bene pubblico è il pagamento delle quota d’iscrizione al club del vantaggioso vivere associato. Ci sono alcuni che usano il bene comune società italiana e non pagano in proporzione al dovuto, tutto qua. Ed al di là del generale senso di giustizia sociale per il quale chi non paga le quote del club non dovrebbe avere accesso ai servizi, ci sono oggi questioni molto concrete di bisogno di reazione alla grave crisi in cui l’Italia versa nel suo complesso, ci sarebbero molte cose da fare e non ci sono i soldi. In più, è realisticamente anche questo l'unico livello in cui rimane una agibilità politica immediata stante che uscire dalla UE o euro (ammesso si abbiano queste strategie) o il neoliberalismo, è facile a parole ma terribilmente difficile nel concreto nei fatti. Chissà che poi, premendo su i detentori di ricchezza privata questi non si uniscano a noi nella battaglia per allargare le maglie della ricchezza pubblica contro i limiti variamente imposti dall’esterno e non solo. Del resto, una parte della loro ricchezza privata deriva anche dal non aver contribuito correttamente alla spesa pubblica aiutando la formazione di un debito che grava su tutti. Se invece che scrivere post ci si immagina un ritorno alla pratica politica, questo è argomento su cui si può fare battaglia politica.
Nel dibattito informato ed in quella che potremmo chiamare sociologia economica, da più parti si è lamentata la mancanza di una fotografia meno nebbiosa della composizione sociale del reddito e dei patrimoni, quale quella fornita dal mitico saggio di Sylos Labini del 1974 “Saggio sulle classi sociali” (Laterza). E’ per certi versi sintomatico che a metà degli anni ’70 c’era chi (non solo Sylos Labini) analizzava le cose nella loro grana fine con evidente intento di fornire strumenti per l’azione politica concreta, mentre oggi viene lasciato spazio solo alle analisi a grana grossa che tra l’altro lasciano pure un fondo di deprimente impotenza visto che quando ho saputo che il grande capitale se ne va ibero e bello a zonzo per il mondo, posso solo prenderne atto o poco più.
L’assetto neo-liberale della società si riflette anche in questa concessa libertà di analisi a grana grossa (se è liberale darà libertà di parola, ovvio), purché a nessuno venga in mente di metter davvero mano alle questioni della distribuzione di ricchezza. La mancanza di quella fotografia fa sì che quando si dice “patrimoniale” i più si immaginano i propri risparmi. Se non sai qual è la composizione sociale della ricchezza, capita che tu usi te stesso come metro di misura, per questo serve quella fotografia ed è per questo che quando c’è te la nascondono così che tu insorga a difendere l’interesse comune che poi si basa sul tuo. Ma quell’interesse non è distribuito come tu pensi, è molto meno "comune" di quanto pensi.
Come qui argomenta lo storico Piero Bevilacqua, la patrimoniale non è che un concetto da declinare. A che scopo, per qual intento, in quale forma, su quali ricchezze (mobiliari, immobiliari), modulata su quali fasce, di quale entità, di quale forma? Il prestito forzoso ad esempio, come già qualcuno negli interventi dell’altro giorno suggeriva, non è neanche un sequestro di ricchezza, ma appunto un prestito, al limite anche remunerato sebbene in forme limitate alla semplice inflazione. In più, questo dibattito aiuterebbe concretamente a mettere a fuoco una lista di urgenze su cui intervenire (ambiente, giovani, ricerca etc.), darsi un piano concreto. Cosa fare e quanto costa viene prima del dove vado a prender i soldi. Infine, aiuterebbe a guarire dall’impotenza politica e ci distrarrebbe dalle grandi partizioni polarizzate con le quali ci fanno auto-intrattenere nel mentre subiamo passivamente lo stato delle cose. Vedremo anche con più chiarezza quella melmosa questione che vorrebbe estinta la distinzione tra destra e sinistra, stante che le due hanno entrambe vista lunga su alcune cose e molto corta su altre (ad esempio chi più sulla questione nazionale, chi più su quella sociale ovvero esterno ed interno della società).
La ribellione alla partizione tipicamente liberale che vuole solo temi civili e non sociali, astratti e non concreti, polarizzati e non declinati, d’opinione e non di pratica politica, passa forse anche da questa ripresa della fotografia economico-sociale del Paese, per dire: ci sono cose urgenti da fare, chi ci mette i soldi?
Forse potremmo anche smetterla di farci portare in giro tra apprezzamento delle libertà civili o apprezzamento delle questioni stato-nazionali o apprezzamento della giustizia sociale e maggiore uguaglianza e dirci francamente che non vediamo motivo per scegliere uno di queste cose e non l’altra. Forse il primo atto di sovranità parte dal pensiero, dal dire io la penso così e non mi costringerai a girare in tondo mentre tu, dividendo il mio pensiero, continui ad imperare. Comincia a pagare ciccio, poi chiacchieriamo …