La stabilità tedesca e il suicidio dell’Europa
di Luigi Tedeschi - 25/02/2025
Fonte: Italicum
Elezioni tedesche: ha vinto l’Unione (CDU/CSU)? Ha vinto la UE? Di sicuro la grande sconfitta è la democrazia.
Ci si chiede come possa sussistere un ordinamento democratico qualora alcune forze politiche identifichino se stesse quali depositarie esclusive della democrazia e si ritengano pertanto le sole legittimate a governare. La Germania, così come l’Europa, sono nella realtà governate da oligarchie che si sono accaparrate fraudolentemente del monopolio della democrazia. I cordoni sanitari, i muri eretti contro AfD, a prescindere dai suoi specifici contenuti politici, sono la manifestazione più evidente di un processo di degenerazione delle istituzioni democratiche che coinvolge sia la Germania che la UE. I governi di unità nazionale si configurano come roccaforti atte a difendere la democrazia dalle minacce del consenso popolare: un tragico paradosso.
Con la vittoria dell’Unione si ripropone la “Grosse Koalition” di merkeliana memoria. Coalizione ristretta con tutta probabilità a cristiano – sociali (28,52%) e socialdemocratici (16,41%). La SPD, pur registrando il minimo storico dei consensi, torna al governo: gli orientamenti emersi dalla volontà popolare sono stati ignorati.
Le elezioni tedesche sono state precedute da una violenta campagna mediatica di criminalizzazione contro l’estrema destra, ma ciò non ha impedito che ad AfD di diventare, con il 20,8%, la seconda forza politica tedesca. La stessa sinistra, ha riscosso, con al Linke all’8,77% e la BSW al 4,97% (che tuttavia non è riuscita a superare la soglia di sbarramento del 5%), quasi il 14% dei voti di protesta. Nel clima di recessione economica e di crisi politica in cui versa da tempo la Germania, la repressione, la censura e la demonizzazione del dissenso, non potranno che fomentare alla lunga la crescita del malessere e dei conflitti sociali già in atto.
Dal responso elettorale sono emerse le profonde fratture interne della Germania. Nella ex Repubblica Federale dell’ovest, il partito di maggioranza è l’Unione, mentre nella ex Repubblica Democratica dell’est, il primo partito è AfD. Si è riprodotta la divisione tra i due stati tedeschi, quale evidente dimostrazione di una riunificazione (rivelatasi nei fatti una incorporazione della DDR nella BDR), mai realizzatasi nella coscienza del popolo tedesco. Tale frattura si evidenzia anche dal punto di vista socio – economico e culturale. L’elettorato cristiano – sociale, benestante, culturalmente occidentalizzato e filo – atlantico, è maggioritario nell’ovest, mentre quello di AFD, delle classi disagiate eredi del socialismo reale, i cui legami culturali con la Russia non sono mai venuti meno, ha conseguito il primato nell’est.
L’accentuarsi della crisi economica potrebbe esasperare le fratture identitarie già esistenti all’interno di una Germania, in cui il sentimento di appartenenza regionale generalmente prevale su quello nazionale, e potrebbe condurre alla disgregazione progressiva dello stato unitario.
Occorre rilevare comunque, che l’opposizione dell’estrema destra di AfD non è un fenomeno eversivo, ma interno al sistema tedesco. AfD esprime una protesta incentrata soprattutto sulle politiche antimigratorie e sul disagio sociale, ma è comunque una forza politica con una visione liberista – rigorista in economia, filo – occidentale (trumpiana) e filo – sionista in politica estera.
Al di là della propaganda mediatica, non c’è davvero da stupirsi del sostegno manifestato da Musk e Trump ad AfD. Gli USA hanno sempre esercitato la loro influenza nella politica dei paesi dell’area atlantica, supportando le forze politiche più affini agli orientamenti della presidenza di turno. Biden infatti sostenne le forze progressiste, così come Trump appoggia in Europa i conservatori. Il braccio teso di Musk, volto a suscitare i consensi delle frange neonaziste di AfD ha prodotto un vasto allarme mediatico, ma è del tutto coerente con l’appoggio conferito dagli USA di Biden al battaglione Azov, spacciato per gruppo patriottico, ma dichiarato erede dei filo - nazisti ucraini di Bandera.
La Germania, così come la UE, è dominata da classi politiche che innalzano muri contro ogni opposizione, evocando l’emergenza democratica al fine di sopravvivere ai propri fallimenti. Vogliono infatti autoassolversi dalle proprie responsabilità di non aver fatto nulla per prevenire una guerra russo – ucraina, poi sostenuta a fianco della Nato, in virtù della subalternità europea agli USA, contro la Russia, spacciandola per una crociata ideologica atta a difendere le democrazie contro le autocrazie ed infine perduta con relativo e puntuale voltafaccia americano nei confronti dell’Ucraina e degli alleati europei. Dovrebbero rispondere inoltre delle sciagurate scelte filo - atlantiche della UE, che hanno comportato, con la rottura dei rapporti economici – energetici con la Russia, il crollo della potenza tedesca ed una crisi sistemica di una economia europea, che si ritrova oggi priva di difese dinanzi alla politica protezionista di Trump.
La UE è governata da perenni politiche di emergenza, che hanno materialmente abrogato le istituzioni democratiche. Le classi dirigenti europee, evocando lo spettro de populismo filo – putiniano e/o antieuropeo, vogliono sottrarsi al giudizio dei popoli. Infatti, il tema dominate nelle elezioni tedesche è stato quello di far fronte al pericolo “neonazista” rappresentato dalla ascesa populista di AfD, non certo quello inerente alle responsabilità di una classe politica che ha trascinato la Germania nel buco nero di una crisi senza sbocchi. La Germania avrebbe dovuto mettere sotto accusa il ventennio della Merkel ed il modello economico ordoliberista imposto alla UE, rivelatosi fallimentare.
Scholz è stato di certo il peggior cancelliere tedesco dal dopoguerra in poi, ma l’insuccesso del suo mandato è in larga parte dovuto agli squilibri e alle carenze ereditate dal modello merkeliano.
Con la fondazione della UE e con il varo dell’euro, la Germania risultò enormemente favorita nell’export dato che la moneta unica si rivelò nei fatti un marco svalutato. Venuta meno la fluttuazione dei cambi all’interno della UE, allo sviluppo della Germania fece riscontro la deflazione degli altri paesi.
L’adozione di un modello economico basato sull’export, comportò politiche di bilancio rigoriste, con tagli al welfare, compressione dei salari e dei consumi. La rigidità finanziaria pregiudicò gli investimenti pubblici e quelli relativi all’innovazione, col risultato di rendere l’Europa dipendente nel campo tecnologico dagli USA.
L’interruzione delle forniture energetiche russe ha inciso profondamente sulla competitività dell’export tedesco. Rivelatasi fallimentare la politica degli investimenti nella transizione green, con le sanzioni imposte alla Russia e la riduzione drastica delle esportazioni verso la Cina, la Germania si scopre disarmata dinanzi alla politica protezionista americana, dato che la sua economia è in larga parte dipendente dall’export negli USA.
La potenza economica tedesca è crollata, coinvolgendo tutta la UE, in specie l’Italia, la cui economia è largamente legata alla catena di valore tedesca. La crisi che affligge la Germania, con il progressivo crollo della produzione industriale, potrebbe provocare nel prossimo futuro la delocalizzazione di grandi imprese e disoccupazione dilagante a macchia d’olio. Tale debacle epocale ha svelato gli esiti fallimentari del sistema economico impostosi con la Merkel.
Grandi scandali hanno inoltre minato la credibilità delle istituzioni tedesche nell’era Merkel: quello della Siemens relativamente alle tangenti erogate per gli appalti nella difesa e nelle telecomunicazioni ai politici greci, quello legato alle emissioni gassose fuori norma delle auto Volkswagen, quello relativo alle false comunicazioni della Deutsche Bank negli USA. Tali comportamenti illeciti hanno tuttavia goduto, con la Merkel, della copertura governativa. Si rileva inoltre che con la crisi del 2008, il default del sistema bancario tedesco fu scongiurato con massicci interventi statali effettuati con fondi pubblici.
Riguardo poi al default del debito greco provocato dallo strangolamento messo in atto dalle banche tedesche, con la complicità del governo Merkel, ci si chiede se ci sia qualche tedesco che avverta un minimo senso di colpa per l’olocausto finanziario perpetrato ai danni della Grecia, con l’imposizione di disumane politiche di austerity.
La Germania della Merkel è stata una potenza economica ma un nano politico. Il suo vorticoso sviluppo è stato reso possibile dalla devoluzione alla Nato dei costi della difesa. Ma l’impegno americano nella Nato oggi viene meno. La fine della potenza tedesca è da attribuirsi alla sua irrilevanza politica. La politica del riarmo non potrà che accentuare il suo depotenziamento economico. La Germania nelle ultime elezioni ha dimostrato di essere incapace di fare i conti con se stessa. La sua classe politica è impegnata solo a rimuovere le proprie responsabilità relative al fallimento di un sistema economico e politico.
Le credenziali del prossimo cancelliere Friederich Merz non sembrano prefigurare un cambio di passo, ma nuova rigida continuità. Merz vuole garantire la stabilità del sistema e riaffermare il primato tedesco nella UE. Pertanto l’impostazione economica neoliberista e le politiche di austerity si accentueranno. Merz è un acceso fautore della militarizzazione della Germania, con ulteriori tagli al welfare e riduzioni salariali. Tali politiche non faranno che diffondere malcontento popolare e accrescere i consensi di AfD.
Ma chi è Merz? E’ un uomo ricchissimo, avvocato d’affari, già membro dei Cda di grandi imprese tedesche e presidente del Consiglio di Sorveglianza del maggior fondo di investimento americano Balck Rock. Un uomo della finanza prestato alla politica, che potrebbe rivelarsi un utile alleato nelle strategie di accaparramento del sistema finanziario europeo già messe in atto da parte delle Big Three. Si è sempre distinto come un falco dell’austerity ed è apertamente contrario alla creazione di un debito comune europeo. I suoi orientamenti fanno presagire una estremizzazione dell’ordoliberismus inaugurato nell’era Merkel.
E’ prevedibile che con questa rigida continuità con il passato ventennio, la Germania e l’Europa non potranno che dissanguarsi ulteriormente, dibattendosi in una crisi senza soluzioni.
Nella recenti elezioni tedesche, con la vittoria dell’Unione si è voluta garantire la stabilità della Germania. Sono state ignorate però le antiche e fondamentali contraddizioni interne alla Germania, che rappresentano le cause da cui si è generata questa crisi. La Germania non ha coscienza di sé e del proprio ruolo nel mondo. Si rivela incapace di fuoriuscire dai paradigmi di un modello economico e politico istituito dalla Merkel, ormai dimostratosi inadeguato allo spirito dei nuovi tempi. La Germania non si è dimostrata in grado di concepire una visione alternativa di se stessa, che le consentirebbe di assumere una soggettività politica autonoma nel contesto un mondo multipolare che ha profondamente trasformato la geopolitica mondiale.
Il preservare stabilità e la continuità può condurre solo al suicidio della Germania e dell’Europa.