Il mese di marzo è stato contrassegnato da un aumento sensibile dei livelli di scontro e tensione lungo i punti di contatto dell’Ucraina orientale, sotto forma di violazioni crescenti del cessate il fuoco e di un inquietante ammassamento di truppe e armamenti da parte di Kiev, e si è concluso con una video-trilaterale fra Vladimir Putin, Angela Merkel e Emmanuel Macron avente come obiettivo la ricerca della de-escalazione.
Che cosa sta accadendo
Il governo ucraino ha lanciato l’allarme a fine marzo a causa di alcuni movimenti di truppe russe lungo i confini orientali delle nazione. Nessuna invasione all’orizzonte secondo Dmitrij Peskov, il portavoce ufficiale di Putin, ma un semplice (e legittimo) trasferimento di forze armate entro i confini territoriali della Russia, che, in quanto tale, non dovrebbe destare preoccupazione né essere strumentalizzato per alimentare la tensione nel Donbass.
Il nervosismo, comunque, è palpabile da ambo le parti: l’ultima settimana di marzo ha visto l’aumento del livello di allerta in Europa da parte dell’EuCom, l’approvazione di un documento strategico da parte ucraina nel quale si definisce Mosca un “avversario militare”, si reitera la volizione di entrare nell’Alleanza Atlantica e viene ribadito l’obiettivo di de-occupare la Crimea, mentre nel Donbass sono stati uccisi quattro soldati ucraini e un civile. A fare da cornice a questo quadro, tutt’altro che roseo, un’imponente esercitazione delle forze armate russe nella penisola crimeana, che ha avuto luogo dal 16 al 19, una chiamata alla mobilitazione nella repubblica di Donetsk per tutti i maschi nati fino al 2003 e, lungo il Donbass, innumerevoli violazioni della tregua da parte ucraina – 54 soltanto tra il 2 e il 16 – accompagnate da una crescita dei rifornimenti di armamenti pesanti alle truppe dispiegate in loco e da un’esercitazione militare che ha visto l’impiego di carri armati.
La conferenza a tre fra Putin, Merkel e Macron è stata organizzata all’indomani di questa sequela di eventi e con il fine specifico di tentare l’avviamento di un processo di de-escalazione attraverso il rinnovo del dialogo tra i garanti dei separatisti (la Russia) e dell’Ucraina (Germania e Francia). L’evento, durante il quale si è discusso anche di cooperazione vaccinale e altri argomenti, sembra che sia stato contrassegnato dalla sintonia e dall’armonia e si è concluso con un appello congiunto per la fine delle provocazioni.
Chi provoca chi?
Numeri alla mano, ad esempio quelli del crescendo di violazioni della tregua da parte ucraina, tutto sembra suggerire che nel Donbass stia avendo luogo un’operazione ben congegnata e pianificata di distruzione progressiva del cessate il fuoco. Il processo di escalazione sta avvenendo per tappe, a colpi di attacchi chirurgici con droni e scontri a fuoco estemporanei ma sempre più frequenti, e può essere indicativamente fatto risalire allo scorso novembre, mese a partire dal quale è stato osservato un incremento costante delle irregolarità.
Mosca e Kiev si accusano reciprocamente di essere dietro l’aggravamento della situazione e di anelare ad una riaccensione delle ostilità funzionale ad un possibile allargamento del conflitto sull’intero territorio ucraino. Il Cremlino, però, non ha alcun interesse alla traslazione in realtà di un simile scenario per una molteplicità di ragioni:
- Le ricadute potenzialmente esiziali su Donetsk e Lugansk. Le due repubbliche separatiste sono pericolosamente vulnerabili alla luce dell’ammassamento di truppe e armamenti da parte ucraina lungo i loro confini.
- I rischi per la Crimea. Il Mar Nero è in fermento per via delle manovre delle flotte statunitense, rumena e turca e la penisola è oggetto di un interesse quasi ossessivo da parte ucraina, che ha recentemente svelato una “piattaforma per la de-occupazione” nell’ambito della quale si preannunciano pressioni nuove e multilivello su Mosca con l’obiettivo di rendere “anti-economica” l’annessione. Riaprire il fronte Donbass equivarrebbe a distogliere l’attenzione del Cremlino dalla penisola, esponendola a sabotaggi ed altre operazioni asimmetriche.
- Il fattore Biden. Alla Casa Bianca si trovano i co-registi di Euromaidan, cioè Joe Biden ed Antony Blinken, i quali hanno inviato dei segnali chiari e univoci riguardanti la volontà di inasprire il confronto egemonico con la Russia. Conoscitori del dossier ucraino, nonché formulatori del piano sanzionatorio, Biden e Blinken saprebbero come massimizzare il profitto da un ritorno alla guerra nel Donbass.
- Il dialogo con l’Unione Europea. Il Donbass è uno dei motivi principali alla base del regime sanzionatorio euroamericano e del consolidamento del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica, ragion per cui il riavvio dei combattimenti non potrebbe che avere ricadute immediate e perniciose sulle relazioni (già precarie) tra Bruxelles e Mosca.
In sintesi, un’eventuale riapertura delle ostilità lavorerebbe in senso contrario agli interessi attuali del Cremlino e a favore di quelli di Kiev, che, attraverso lo scoppio di una crisi, potrebbe raggelare ulteriormente le relazioni tra i blocchi, spezzando quel timido riscaldamento avvenuto nel nome della cooperazione vaccinale, e dare impeto al processo di inglobamento nell’orbita euroamericana. Le operazioni sotto falsa bandiera (false flag) potrebbero essere dietro l’angolo: attenzione a quanto sta accadendo.