La teologia geometrica (ma non euclidea) di Pavel Florenskij
di Simone Paliaga - 31/10/2021
Fonte: Avvenire
«Mi permetto di disturbare la censura con quanto segue». Suonano così le parole, scritte il 13 settembre 1922, in apertura alla lettera indirizzata alla sezione politica per distoglierla dal proposito di censurare alcune parti di un testo di geometria. Sono trascorsi cinque anni dalla rivoluzione bolscevica e uno dalla proclamazione della nascita dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche quando Pavel Florenskij si vede cassate talune riflessioni sulle geometrie non euclidee contenute nel testo Gli immaginari in geometria. Estensione del dominio delle immagini bidimensionali nella geometria (Esperimento per una nuova interpretazione dei numeri immaginari) (pagine 114, euro 12), tradotto per la prima volta integralmente ora dall’editore Mimesis con la curatela di Andrea Oppo e Massimiliano Spano. Ma cosa di tanto eversivo e pericoloso per il neonato regime sovietico poteva adombrarsi tra le righe di un testo tecnico dedicato alla rappresentazione geometrica dei numeri complessi? Florenskij, che da molti è considerato il Leonardo da Vinci russo, è un autore dai poliedrici interessi. Matematico, filosofo, teologo consacratosi nel 1909 alla Chiesa ortodossa, ingegnere elettrotecnico, esperto di linguistica, estetica e simbolismo, matura, dall’intreccio delle sue competenze, una visione organica e unitaria del mondo. Una coerenza dottrinaria che non si incrina all’incontro con la vita. Le scelte di padre Pavel lo portano infatti all’arresto nel 1933 e alla fucilazione nel 1937 nei pressi di Leningrado dopo cinque anni trascorsi nel gulag delle isole Solovki. Matematica e teologia in Florenskij non sono due continenti separati ma si corrispondono senza requie. Lo dimostra proprio l’anno 1922. Sono dodici mesi impegnativi in cui Florenskij consegna alle stampe sia Gli immaginari in geometria sia Iconostasi (anche conosciuto con il titolo Le porte regali) quasi a conferma che le due dimensioni si intrecciano indissolubilmente una con l’altra. Per il teologo russo la matematica non è un vezzo ma una «abitudine di pensiero » che «aiuta a vedere rapporti geometrici in tutta la realtà» e «lega in un unico modo la visione del mondo», scriverà dalla prigionia alla figlia Olga. E Gli immaginari in geometria, in particolare l’ultimo paragrafo aggiunto con vent’anni di ritardo, conferma questa concezione, dove le teorie più spinte della ricerca scientifica si fondono con la teologia mostrando la convivenza di reale e immaginario. Il raggiungimento di questi risultati non è però immediato. Ci vogliono ben quattro lustri perché il testo giunga a un suo compimento. La gran parte di esso è redatta nel 1902 quando Florenskij è ancora un giovane studente di matematica e fisica all’università di Mosca. Poi, nella primavera del 1921, il pensatore russo decide di integrarlo con un capitolo generalizzando le considerazioni della prima parte. Ma ancora il testo non sembra maturo e così, l’anno seguente, padre Pavel aggiunge un ultimo capitolo in cui lega le sue considerazioni matematiche con la disamina di alcune concezioni cosmologiche e geometriche che fanno capolino tra le terzine della Divina Commedia di Dante. L’importanza del Fiorentino non deve stupire. Egli non solo gioca un ruolo non marginale nella cultura russa dei primi decenni del Novecento ma recita una parte non trascurabile pure nel pensiero di Florenskij come sottolinea anche un recente breve saggio di Natalino Valentini, Il Dante di Florenskij (Lindau), che insieme all’introduzione di Oppo e alla postfazione di Spano costituisce un importante trittico per muoversi tra le pagine non sempre agevoli di Gli immaginari in geometria. Come Florenskij prova a illustrare anche nell’immagine di copertina composta dall’amico artista Vladimir Favorskij, il modello dello spazio e tempo previsto dalle teorie della relatività generale e ristretta di Albert Einstein, il piano della geometria ellittica di Rieman, la superficie di Felix Klein e la geometria complessa di August Möbius confermano la concezione cosmologica espressa da Dante e dalla fisica tolemaica come rappresentato dalla superficie ricurva (tipo il nastro di Möbius per capirsi) che sembra adombrarsi al passaggio di Dante e Virgilio dall’Inferno al Purgatorio. Per Florenskij le avanguardie della ricerca matematica e fisica anziché iscriversi in continuità con la scienza moderna, che molto deve al prospettivismo rinascimentale contestato dal russo proprio nei saggi sull’icona, ne rappresentano una discontinuità e confermano la prospettiva aristotelico-tolemaica dantesca al punto che per Florenskij «attraversando il tempo, la Divina Commedia si trova inaspettatamente davanti, e non dietro la scienza moderna». Lungo questo cammino, dove matematica e teologia sono come germani celesti che contribuiscono ad abbattere la concezione materialista del marxismo sovietico, «il collasso della figura geometrica non significa la sua eliminazione ma solo il suo passaggio all’altro lato della superficie, e di conseguenza la sua accessibilità agli esseri che lì si trovano, allo stesso modo deve essere inteso il carattere immaginario dei parametri di un corpo, non come un segno della sua irrealtà ma semplicemente come l’evidenza del suo passaggio a un’altra realtà».