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La Terza guerra mondiale come guerra per procura

di Andrea Zhok - 03/12/2024

La Terza guerra mondiale come guerra per procura

Fonte: Andrea Zhok

Oggi esiste un unico grande fronte di guerra che passa dal Donbass si dirama in direzione di Tbilisi prosegue in Siria e Libano. Si tratta di una singola guerra composta da una pluralità di conflitti per procura. La geometria è variabile. Fino a qualche mese fa sul fronte sembravano stare anche la Serbia con il Kosovo e l'Armenia. Vedremo quali sorprese ci riserverà il futuro.
In nessuno di questi casi abbiamo mai a che fare con guerre ufficialmente dichiarate.
Il formato privilegiato è quello della militarizzazione di un conflitto politico interno attraverso il supporto e finanziamento estero (il modello "rivoluzioni colorate", i cui meccanismi Laura Ruggeri ha analizzato dettagliatamente).
Nel caso ucraino questo meccanismo ha semplicemente superato una soglia di guardia tale da renderlo una guerra ad alta intensità di tipo classico, ma gli antecedenti da Maidan al 2022 rientrano nel canone delle "rivoluzioni colorate" fomentate e finanziate dall'estero.
Questa modalità operativa dipende dalle caratteristiche peculiari di un ordinamento di tipo imperiale che convive con forme di democrazia formale.
Forme di impero più tradizionali, dove la concentrazione di potere è istituzionalmente più esplicita, possono gestire la politica estera e le tensioni esterne in forme altrettanto brutali, ma più dirette e meno ipocrite: si pongono richieste, un po' si minaccia, un po' si negozia, un po' si concede, talvolta si dà seguito alle minacce sul piano militare.
Nel contesto dell'impero americano, e dei suoi bungalow Nato, l'imperialismo si deve sempre gestire tenendo da conto l'opinione pubblica interna, che perciò dev'essere costantemente manipolata e a cui bisogna sempre fornire una narrazione in cui "il Bene da noi rappresentato corre in soccorso delle vittime".
La strategia narrativa esige che si presenti costantemente la propria parte come "vittima che si difende da un'aggressione", giacché solo la strategia vittimistica fornisce in un contesto liberale una motivazione sufficiente per giustificare il ricorso alla violenza. (In una cornice liberale non esistono valori obiettivi condivisi tranne la libertà negativa, cioè la richiesta di non subire interferenze altrui sulla propria azione; perciò l'unico modo per giustificare un'azione violenta è dire che è la risposta ad una violazione altrui della propria sfera vitale.)
Per ottenere questo effetto narrativo è sufficiente avere una stampa compiacente che si produce in resoconti selettivi e memorie selettive.
Se Israele macella decine di migliaia di civili in tre paesi diversi, basta raccontare che tutto comincia il 7 ottobre 2023: prima il nulla, dopo la "legittima risposta" senza limiti spaziotemporali.
Se russi e ucraini si sbudellano per anni, basta iniziare a raccontare la storia con il 24 febbraio 2022: prima il nulla, dopo la legittima difesa e il conflitto fino all'ultimo ucraino.
In Georgia un partito non filoatlantista vince le elezioni con il 53% dei voti (il secondo partito ha l'11%), ma basta raccontare (senza uno straccio di prova) che le elezioni sono illegittime, disconoscerle, e presentare le violentissime proteste di piazza (che a Parigi o Londra verrebbero spazzate via senza complimenti) come legittima protesta di fronte alla "prevaricazione filorussa", e anche i Black bloc diventano eroi della libertà.
In Siria incontriamo il fenomeno dei “terroristi moderati”, scopriamo che quelli che un tempo erano "tagliagole di Al Quaeda" dopo tutto erano dei bravi ragazzi che meritano la fiducia e il sostegno di Israele. E le notizie iniziano con le bombe russe sulle città siriane (scordando che sono attacchi alle truppe di invasione, in risposta all'occupazione di Aleppo).
Come dicevamo sopra, si tratta di un singolo conflitto che si sta accendendo in varie parti del mondo e che tutto lascia presagire continuerà ad infiammarsi, ampliandosi.
I fronti sono ampiamente frammentati al loro interno: niente unisce idealmente i contestatori georgiani, i terroristi dello Hayat Tahier al Sham, i nazionalisti ucraini e il Likud, così come ben poco unisce gli alawiti in Siria, la resistenza russofona del Donbass, i palestinesi di Gaza e il partito "Sogno georgiano".
Ciò che unisce queste diverse iniziative è il sostegno esterno di due macrogruppi a confronto: da un lato l’impero americano con le sue propaggini Nato e dall’altro il variegato fronte BRICS, accomunati solo dal volersi indipendenti dall’impero americano.
All’origine di questo confronto c’è il tentativo dell’impero americano (erede storico di quello britannico) di mantenere la propria posizione di privilegio storico che detiene da circa 250 anni. Non c’è alcuna possibilità che questo tentativo riesca, perché quel privilegio storico era legato ad un evento straordinario come il primo accesso alla moderna industrializzazione, con la conseguente primazia militare. Con il procedere dell’industrializzazione in altre parti del mondo la primazia unilaterale di un’esigua minoranza demografica sulla schiacciante maggioranza non è più pensabile. Ma che si tratti di un tentativo disperato, non toglie che sia l’unica prospettiva che l’Occidente a guida americana oggi riesce a vedere. E questa cecità segnerà l’epoca presente, annegandola nel sangue.