Lagarde affossa l’Europa
di Luigi Tedeschi - 16/06/2022
Fonte: Italicum
La tempesta dello scorso venerdì nero delle borse europee era da lungo tempo annunciata. Le decisioni di Lagarde relative all’aumento dei tassi di 25 punti e alla fine del programma di acquisto di titoli da parte della BCE, hanno determinato questo crollo: in Europa si sono verificate perdite per 265 miliardi di capitalizzazione, di cui 39 nella borsa di Milano, che, con un ribasso del 5,17% è stata la peggiore nella UE.
Gli effetti dell’aumento dei tassi della BCE erano del tutto prevedibili. L’inflazione negli USA ha raggiunto l’8,6%, il picco massimo da 40 anni. In relazione ai recenti rialzi dei tassi americani di 75 punti e degli ulteriori incrementi previsti nei prossimi mesi dal programma della FED, anche l’Europa prima o poi avrebbe dovuto adeguarsi, data l’interconnessione economico – finanziaria tra USA e UE. Anche al fine di scongiurare fughe in massa di capitali euro attratti da tassi più remunerativi nell’area dollaro.
Trattasi di misure monetarie atte a contenere l’inflazione manifestatasi nella fase di ripresa post pandemica con il rialzo dei prezzi energetici e con la carenza dei semiconduttori per l’industria. Le banche centrali prevedevano che tale fenomeno inflattivo fosse momentaneo, in quanto dovuto all’eccesso di domanda sorto alla fine della pandemia e alla enorme massa di liquidità emessa dalle banche per far fronte alla crisi del COVID 19. Tali previsioni si sono rivelate fallaci. La crescita dell’inflazione perdura e sembra inarrestabile.
La guerra in Ucraina e le sanzioni imposte alla Russia hanno accentuato gli effetti di una crisi già in atto. Occorre tuttavia considerare che le cause dell’inflazione americana rispetto a quella europea presentano rilevanti differenze. Negli USA l’inflazione è stata causata da un eccesso di domanda ed è quindi da considerarsi un fenomeno congenito ad una accentuata fase di crescita. Non a caso la terapia anti inflazione americana è assai più aggressiva rispetto a quella europea. Ma comunque, il governatore della FED Jerome Powell, al contrario di Lagarde, ha annunciato anche provvedimenti che consentano un “atterraggio morbido”, che compensino cioè gli effetti del rincaro del costo del denaro, onde non pregiudicare la crescita economica. I risultati di tali scelte sono però tutti da verificare. In Europa invece il fenomeno inflattivo è dovuto al rincaro delle materie prime, con rilevante incidenza sui costi di produzione e perdita di competitività dell’export. L’inflazione inoltre corrode il potere d’acquisto dei cittadini, con conseguente depressione dei consumi. Pertanto in Europa si va delineando una fase economica di stagflazione, con bassa crescita e inflazione.
Il rialzo dei tassi della BCE si rivela dunque una misura atta ad incidere negativamente sulle prospettive di ripresa dell’economia europea. Lagarde ha infatti annunciato solo un rialzo dei tassi, cui farà seguito in settembre un ulteriore aumento di 50 punti, senza alcuna misura di salvaguardia per la crescita. Le prospettive di incertezza dell’economia europea si accentuano e la reazione negativa dei marcati non si è fatta attendere. La fondamentale carenza della politica della BCE è riscontrabile nell’approccio esclusivamente monetario adottato nell’affrontare le problematiche dell’inflazione, ignorando gli effetti collaterali che poi non tarderanno a manifestarsi nell’economia reale. Osserva a tal riguardo Giulio Sapelli in una recente intervista: “Chi crede che siano questioni risolvibili con gli strumenti a disposizione di una banca centrale, il famoso whatever it takes, si rende semplicemente ridicolo. Ancor più per il fatto che la Bce è tutto tranne che una banca centrale. Possiamo definirla un’istituzione finanziaria che finora acquistava titoli di stato stampando moneta comune a favore di nazioni firmatarie di un trattato che però non modifica né le politiche fiscali né il welfare. L’aumento dei prezzi viene determinato soltanto delle aspettative borsistiche, che stanno schizzando verso l’alto”.
Lagarde non ha infatti annunciato, in concomitanza con l’aumento dei tassi, la contemporanea creazione di uno scudo anti spread, di un programma cioè teso a salvaguardare la sostenibilità dei debiti pubblici degli stati membri della UE che, in questa fase, potrebbero diventare oggetto di ondate speculative aggressive, con conseguenti crisi finanziarie che potrebbero propagarsi in tutta l’Eurozona. Occorre infatti tenere conto che gli effetti di questo rialzo vanno a sommarsi a quelli relativi alla decisione di porre fine al programma del QE, con cui, attraverso l’acquisto indiretto di titoli da parte della BCE e quindi mediante emissioni periodiche di liquidità, la banca centrale aveva sostenuto il debito degli stati membri nelle fasi deflattive succedutesi alla crisi del 2008 e nella crisi pandemica. Tali misure potranno forse arginare l’inflazione, ma a discapito della ripresa economica e potrebbero produrre incontrollabili innalzamenti degli spread. Le previsioni di crescita per l’Italia sono state riviste al ribasso: il 2,6% per il 2022, l’1,6% per il 2023 e l’1,8% per il 2024.
Ma la creazione di uno scudo anti spread, già invocata in varie sedi, al fine di prevenire la speculazione finanziaria sui debiti sovrani, appare irrealizzabile. La BCE dovrebbe in realtà acquistare titoli del debito italiano ad alto rischio di sostenibilità e cedere contemporaneamente titoli del debito tedesco, massimamente garantito, al fine di mettere in sicurezza il debito pubblico degli stati membri dell’Eurozona. La proposta di creare uno scudo anti spread incontrerebbe l’ostilità irremovibile dei paesi frugali. Ma comunque occorre fare qualche osservazione specifica, in merito al rigido moralismo finanziario predicato dai paesi frugali (Germania & C.). La crisi del debito italiano non fu innescata dalla cessione di 7 miliardi di titoli detenuti da Deutsche Bank, poi approdati nei porti sicuri del debito tedesco? Dinanzi a tali manovre speculative, apertamente destabilizzanti nei confronti di uno stato membro, non si registrarono critiche moralistiche né alcun allarme dinanzi alle prospettive di un default italiano. Anzi tali prospettive innescarono nuove spirali speculative sui derivati. Fu però l’Italia a subire gli effetti della politica di austerity imposta dalla UE attraverso il governo tecnico di Mario Monti.
Data l’impossibilità di costituire uno scudo anti spread europeo, si è riaffacciata negli ambienti finanziari europei l’ipotesi di demandare al MES la gestione dei debiti pubblici degli stati. In realtà la BCE non è una banca centrale vera e propria, ha solo il compito di garantire la stabilità finanziaria dell’Eurozona, non svolge funzioni di politica economica, né ha il ruolo di prestatore in ultima istanza. Quindi, poiché eventuali interventi sugli spread esulano dalle sue competenze statutarie, tale funzione dovrebbe essere delegata al MES, organo esterno alla UE, atto ad intervenire nelle crisi del debito imponendo condizionalità capestro nell’erogazione dei prestiti, in quanto possono essere suscettibili di modifica in base a situazioni variabili nel tempo: il MES può anche imporre misure di ristrutturazione del debito che potrebbero comportare il default degli stati. L’esperienza della macelleria sociale della austerity cui fu condannata la Grecia è illuminante riguardo alle condizionalità poste dal MES.
Nelle fasi di crisi riemergono i limiti, le contraddizioni e i conflitti insanabili interni alla UE, una struttura finanziaria rigida imposta all’Europa e soprattutto dimostratasi inadeguata a operare in contesti geopolitici mondiali in costante trasformazione.
Col rialzo dei tassi e la fine del QE si è ripresentato in Italia l’incubo dello spread. Il differenziale tra i titoli italiani e il bund tedesco è salito a 233 punti, il massimo dal febbraio 2014. Sono assai pessimistiche le previsioni di Giulio Sapelli, espresse nell’intervista sopra citata: “L’Italia si sta avviando verso una situazione non tanto simile a quella del default dell’Argentina quanto a quello del Libano. E così finirà che ci saranno sempre gli stessi partiti a guidare il paese, anche a livello economico, sarà riconfermato il governo Draghi e ci sarà una ripartizione del territorio economico tra le banche francesi e le industrie tedesche. Al trattato del Quirinale firmato tra Roma e Parigi ne seguirà uno italo tedesco che converrà soprattutto a Berlino e, le dirò di più, perfino uno italo spagnolo”.
Nel venerdì nero i ribassi più consistenti si sono registrati nel settore bancario, con perdite dell’8,6%. Tale settore registra da inizio anno ribassi complessivi intorno al 22%. Tale trend negativo è in connessione diretta con l’andamento dei titoli del debito pubblico. Le banche detengono in portafoglio 400 miliardi di Btp. Il rialzo dello spread ha comportato una rilevante svalutazione dei titoli di stato nel patrimonio delle banche. Questi decrementi potranno determinare un deterioramento progressivo dei coefficienti patrimoniali del sistema bancario italiano e ciò potrebbe incidere pesantemente sulla loro capacità di erogare credito a imprese e cittadini. Gli effetti devastanti sull’economia reale sono evidenti. L’aumento del costo del denaro grava sui costi delle imprese in una fase già estremamente critica per l’economia italiana. Inoltre, l’aumento dei tassi si ripercuote sull’incremento degli interessi sui mutui, con rilevanti aggravi per i bilanci familiari, falcidiati da una inflazione che peraltro incide su salari il cui potere d’acquisto era già largamente inferiore alla media europea nella fase pre crisi. Assisteremo al moltiplicarsi delle insolvenze che, oltre a distruggere economicamente migliaia di famiglie, contribuiranno a creare ulteriore instabilità nel sistema bancario.
Il problema del debito degli stati è insolubile, in quanto quest’ultimo rimane in balia delle ondate speculative della finanza globale. Solo una crescita strutturale programmata dell’economia reale potrebbe assicurare la sostenibilità del debito pubblico.
E’ vero che l’erogazione dei fondi del NG-EU mediante sovvenzioni e prestiti a tassi assai ridotti avrà l’effetto di ridurre il fabbisogno dello stato di circa il 50% e pertanto diminuiranno le emissioni dei titoli pubblici. Ma l’impatto nella ripresa economica dei fondi europei sarà comunque decurtato dall’inflazione e da un rallentamento della crescita dovuto ad eventi geopolitici destinati a mutare le prospettive economiche nel prossimo futuro. Occorrerebbe una revisione del NG-EU onde adeguarlo a nuove situazioni. Sarebbe inoltre necessario creare nuovi fondi europei per far fronte ad una crisi energetica che comporterà mutamenti strutturali nell’economia europea. Tali proposte son sembrano trovare adeguato sostegno negli organi istituzionali della UE, data l’ostilità dei paesi frugali.
Le stesse prospettive dell’andamento dell’euro appaiono incerte. L’aumento dei tassi avrebbe dovuto determinare afflussi di valuta e dunque comportare un apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. L’euro si è invece svalutato del 2,2% in 48 ore. Nelle crisi i capitali sono alla ricerca di porti d’approdo sicuri. Quindi, poiché l’euro non offre in questo contesto garanzie sufficienti di stabilità, i capitali affluiscono nell’area dollaro, che ne esce rafforzata.
E’ dunque finita l’era del denaro a costo zero? Afferma Giulio Tremonti in una intervista sul “Giornale” dell’11/06/2022: “Quella che poteva essere una tecnica di emergenza, è diventata una lungodegenza. Durata 10 anni, con illusoria e universale soddisfazione. Ed è così che il whatever it takes è diventato un whatever mistakes: son stati commessi tutti gli errori possibili. Due anni fa, all'Eurotower, per il cambio di consegne tra i presidenti, in platea ad applaudire c'erano i Capi di Stato e di governo di tutta Europa. Sarebbe stato difficile vedere De Gasperi o Adenauer, Mitterand o Cossiga correre ad applaudire i banchieri”. … “L'immagine che ci trasferisce tale iconografia è questa: l'asse del potere si è spostato dai popoli e dai governi alla finanza. Oggi il potere dei banchieri viene contestato dal mercato e dalla realtà. È la fine di un decennio. Dieci anni iniziati con l'austerità e passati attraverso la magia, che a un certo momento ha avuto anche l'evoluzione nell'idea del debito buono. E adesso il processo si è fermato”.
In realtà l’erogazione illimitata di liquidità e i tassi a zero, se non negativi, sono stati gli strumenti finanziari mediante i quali si è realizzata la fuoriuscita dalla crisi del 2008. Essi hanno costituito per oltre un decennio le condizioni di sopravvivenza del capitalismo finanziario globalista. Tuttavia in Europa tali strumenti di finanza straordinaria, peraltro tardivamente adottati rispetto agli USA, hanno sortito effetti limitati, al di là della retorica filo – Draghi. Infatti la crescita europea è stata di gran lunga inferiore rispetto a quella cinese e americana (quella italiana è stata quasi inesistente), l’economia europea non è mai tornata ai livelli pre 2008 e nella fase deflattiva l’inflazione europea non è riuscita a risalire al 2% programmato. Osserva sarcasticamente Giulio Tremonti: “Obiettivo inseguito anche troppo: era il 2%, siamo già arrivati all’8%”.
La finanza straordinaria è stata necessaria a preservare un sistema neoliberista sempre uguale a se stesso, al di là dei ripetuti fallimenti. Dopo la crisi del 2008 il sistema economico mondiale avrebbe dovuto essere ampliamente riformato e regolamentato. Ma invece la deregulation finanziaria globale si è accentuata dato che la liquidità emessa nel corso della fase pandemica è affluita in massima parte nei mercati finanziari, a discapito del sostegno dell’economia produttiva. Abbiamo assistito a ripetute performance da record dei mercati finanziari, cui però ha fatto riscontro la recessione globale dell’economia reale.
Si verificherà, col rincaro energetico, l’inflazione galoppante e gli spread alle stelle quella tempesta perfetta mediante la quale il capitalismo genera le proprie ristrutturazioni creative? La tempesta perfetta è un dogma ideologico neoliberista ormai ripetitivo e inattuale. Le trasformazioni geopolitiche in atto condurranno ad un mondo multipolare dagli scenari inediti ed imprevedibili. Si potrebbe verificare un ridimensionamento dell’area dollaro ed una riduzione dell’area di influenza politica ed economica dell’Occidente nel mondo. La globalizzazione mondialista potrebbe frantumarsi in tante globalizzazioni regionali o al massimo continentali.
Questa volta anche per l’avvenire del capitalismo si preparano orizzonti ignoti ed oscuri.