Le attese miracolistiche sul vaccino ci rendono ancora più vulnerabili
di Claudio Risé - 26/07/2021
Fonte: La Verità
Il partito degli esperti ha fin da subito dipinto il siero come arma per sconfiggere la morte. La realtà dice invece che, purtroppo, il rischio zero non esiste. Inseguirlo crea false illusioni e ci rende ostaggi dello scientismo.
Tra le infinite affermazioni snocciolate sull'epidemia di Covid, è quasi sempre mancata quella che la morte, comunque, non si può sconfiggere. Eppure, tutta la campagna contro l'epidemia è, in fondo, una campagna contro la morte. Non sarebbe stato dunque così insensato ricordare a tutti il potere dell'avversario, non per impaurire e demoralizzare le persone, ma per sgombrare il campo da attese miracolistiche che non fanno altro che moltiplicare le delusioni. Boris Johnson è stato l'unico a dire fin da subito che ci sarebbero stati molti morti, e l'ha ribadito recentemente, annunciando che l'Inghilterra riapriva tutto il riapribile, ma di morti ce ne sarebbero stati altri, e il virus non se ne sarebbe andato. Anche perché i vaccini funzionano e indeboliscono la capacità del virus di uccidere massicciamente, ma ne producono nuove varianti, anche se meno pericolose.
La rimozione dell'ineluttabilità della morte, la sua superstiziosa impronunciabilità, se non come inaccettabile prospettiva, ha viziato la gestione del Covid 19 fin dall'inizio, diminuendone l'efficacia in modo evidente. Intanto perché, in ogni fase, moltissimi hanno preferito sperare di uscirne completamente, e quindi si sono poi delusi moltissimo perché ciò non accadeva. E poi perché, anche nelle battaglie sanitarie, la forza della risposta dipende da quanto seriamente e con precisione si affronta la sfida e la battaglia. Se si tratta di un invasore che occupa momentaneamente il campo, ma chiudendoti in casa e vaccinandoti poi se ne va, sei salvo. Si può anche fare, anche se sicuramente non fa bene (anzi malissimo) a tutto il tuo corpo e psiche, che presentano il conto in seguito. Se però non ti dicono chiaramente che il virus e i suoi variabili fratelli sono lì per restare, e che la questione è salvare adesso la pelle con questi primi vaccini e poi con altri che toccherà prendere dopo, rimani sempre appeso all'incertezza, che ti impedisce di mobilitare le tue energie e reagire efficacemente, senza deprimerti. Soprattutto perché non ti dicono neppure, (non lo sanno bene neppure loro) che per uscirne davvero occorrerebbe soprattutto cambiare profondamente quei modi e stili di vita che ti rendono fragile e attaccabile. Ma in parte bisognerebbe cambiare anche gli strumenti con cui siamo abituati a leggere la realtà, come alcune convinzioni scientifiche. Temi grossi, solidi, ridotti però a tabù continuamente evitati, accuratamente nascosti dietro il totem dell'Immunità obbligatoria; anche se - a quanto pare - difficilmente raggiungibile. Una modalità minacciosa e semplificatrice, adottata (purtroppo) anche nell'ultima conferenza stampa di Mario Draghi.
I ministri della salute e la loro terrorizzata e terrorizzante corte dei miracoli, non sono tuttavia i soli responsabili, al di là delle loro ignoranze. Lo strabismo nel guardare alla morte, di cui loro neppure si accorgono, ha origini profonde, culturale e spirituali, e affonda le sue radici all'inizio della modernità e della sua scienza. Come racconta in Da zero a uno (Rizzoli) il "cattivo" genio controcorrente Peter Thiel, ex Silicon Valley, unico trumpiano di quella brigata di miliardari: "già le migliori menti del Rinascimento consideravano la morte qualcosa da sconfiggere", da togliere proprio dalla faccia della terra. La feroce competizione con Dio che è all'origine della modernità è infatti un vecchio mito, in cui molti lasciarono letteralmente le penne, fin dall'inizio. Come uno dei più autorevoli di loro, l'importante filosofo e politico inglese Francis Bacon, che si "prese una polmonite mentre stava provando a prolungare la vita di una gallina congelandola nella neve", e morì. Nella competizione con il mondo trascendente la morte, con la sua indifferenza alla scienza, viene comunque gradualmente oscurata, e non più riconosciuta come un vincolo trascendente, di cui l'uomo non può liberarsi. Ammetterne il potere ferirebbe la fantasia di onnipotenza che sta dietro alle tentazioni scientiste dell'uomo e del suo sapere; che invece è più o meno solido, ma sempre "fallibile" ( come ricorda Karl Popper).
Questo imbarazzato travestimento della realtà finisce però col rendere ambigua e quindi falsa la relazione della scienza con l'ostinata morte, vista sempre come un avversario da sopprimere (cosa in realtà impossibile), e non come un aspetto con il quale continuamente trattare e convivere. Mi viene in mente il diktat posto dal professor Veronesi a un'impegnata esponente della società milanese, assicurandole che se non avesse sottoposto subito alla chemioterapia il suo tumore sarebbe morta di lì a pochi mesi. Lei però decise di curarsi con le terapie oncologiche steineriane a base di vischio e altri rimedi naturali e visse per oltre quarant'anni una vita attiva e piena di interessi, affrontando altri tumori e curandoli con gli stessi protocolli; fino a pochi mesi fa, quando morì, pochi anni prima dei cento. Non a caso in molti paesi europei quei rimedi sono riconosciuti e parzialmente rimborsati dai servizi sanitari nazionali.
Agli evidenti limiti del progresso tecnoscientifico (riconosciuti peraltro da decenni dal più saldo pensiero scientifico) si oppongono però le forze politiche più legate alla vecchie ideologie di fine ottocento e primi novecento. Le loro mitologie vedono il progresso come un fatto materiale ed in gran parte tecnico, e non come ricerca complessiva di un'esistenza piena e più soddisfacente possibile, che coinvolge tutte le potenzialità umane. Così queste posizioni, abbracciate da quasi tutta la sinistra, ma tutt'altro che assenti anche a destra, si oppongono ostinatamente ad ogni apertura verso tutte le forze presenti nell'esistenza umana, comprese quelle spirituali e quelle naturali. È in realtà ancora la visione del tardo positivismo ottocentesco, con i suoi miti dell'invincibile potenza della razionalità umana di cui si abbeverarono i regimi autoritari di sinistra e di destra. Così si sbandiera una transizione ecologica che (con ragioni anche forti ma presentate in toni già retorici) rischia di mettere in crisi interi settori produttivi e per strada masse importanti di lavoratori, ma contemporaneamente si continua a considerare la natura e le sue risorse, anche cognitive, fisiche e spirituali come retaggi di antiche ignoranze. Si dimostra così di non conoscere l'attualità dei saperi di sempre, ben nota invece alle forme più avanzate e efficienti di capitalismo, produzione, pensiero e forme di vita.
Non caso l'unica indicazione fornita è difensiva: "immunizzarsi". Impegnarsi a diventare forti, e quindi puliti, fuori e dentro, sarebbe forse meglio. Certo è più impegnativo. Tuttavia l'iniezione, come si vede, non basta.