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Le chiavi della pace

di Enrico Tomaselli - 16/06/2024

Le chiavi della pace

Fonte: Enrico Tomaselli

Oggi si conclude la 'sceneggiata per la pace' tenuta in Svizzera, per volontà di Zelensky. Com'era prevedibile, non apporterà alcun cambiamento alla situazione conflittuale. Purtroppo, con due terribili scenari di guerra aperti (entrambe ad un tiro di schioppo da noi) si continua a far finta di non vedere l'enorme elefante in cristalleria: le chiavi della pace, in Ucraina come in Palestina, stanno a Washington.
È evidente che su tutti e due i teatri di guerra sussistono interessi dei contendenti così contrastanti da rendere assai complicato il raggiungimento di una tregua, sia pure temporanea, per non parlare di una soluzione di lunga durata (la cosa più prossima all'idea di pace).
Per quanto riguarda il conflitto ucraino, sia i russi che gli ucraini hanno pagato un prezzo elevato in questa guerra, e nessuno dei due è così facilmente disponibile a buttarlo via, a renderlo vano. Tanto meno, ovviamente, chi la guerra la sta vincendo, ovvero i russi. È chiaro che le acquisizioni territoriali russe sono ormai fuori discussione; piaccia o meno ai nazionalisti ucraini, il ritorno di queste regioni sotto il regime di Kiev è semplicemente impensabile. E non solo perché Mosca non vi rinuncerà. La questione vera, quindi, riguarda in effetti il futuro dell'Ucraina, senza le regioni russofone. La Russia può accettare l'adesione all'UE - che però sarebbe una disgrazia proprio per l'UE... - ma assolutamente non quella alla NATO. Che del resto la NATO stessa dichiara che potrà avvenire solo quando l'Ucraina avrà sconfitto la Russia - cioè mai. A questo punto, risulta evidente che l'unica variabile ancora indeterminata è quale prezzo pagherà l'Ucraina per continuare a combattere - in termini di vite umane, di distruzione materiale, di ulteriori perdite territoriali, di svendita dei beni ed indebitamento colossale, di cancellazione del futuro...
Per quanto riguarda il conflitto palestinese, Israele non intende in alcun modo mollare la presa su Gaza e sulla Cisgiordania, e mai e poi mai consentirà la nascita di una qualsiasi entità statuale palestinese. E non è questione che riguarda l'attuale maggioranza che governa a Tel Aviv, ma lo stato ebraico nella sua interezza, nelle sua fondamenta e nella sua intera storia. D'altro canto, quel che ha graniticamente dimostrato il 7 ottobre, è che i palestinesi non si arrenderanno mai, non rinunceranno mai alla propria terra ed al proprio diritto di vivere da esseri umani, e che quindi non smetteranno mai di combattere. La resilienza mostrata dai palestinesi, per quasi ottant'anni - e negli ultimi otto mesi in misura enorme - è insoverchiabile. Gli israeliani non la reggerebbero nemmeno per un decimo del tempo, e per un centesimo della sofferenza. Fuggirebbero tutti come lepri (ne sono già scappati 500.000, in questi mesi; in proporzione alla popolazione ebraica, è qualcosa di simile a quello che è accaduto in Ucraina). Dunque, anche in Terra Santa, la questione non è chi vince e chi perde, ma quanto a lungo la società israeliana sarà disposta a pagare (e quanto a lungo reggerà) per mantenere il suo regime di apartheid, per di più su terre illegalmente occupate.
In Ucraina, la supremazia militare russa è incontrovertibile. In Palestina, la supremazia militare israeliana (quantomeno sui palestinesi) è incontrovertibile.
L'unica via per la pace è, per forza di cose, un compromesso tra le parti, perché l'ostinazione a combattere della parte soccombente (Ucraina) e di quella prevalente (Israele) non può condurre alla vittoria, ma solo alzare il prezzo della guerra. Ma, come si diceva all'inizio, la contrapposizione è andata troppo avanti, e troppo a lungo, e né Kiev né Tel Aviv - da sole - lo accetteranno mai. Devono essere persuase a farlo. E ciò può avvenire attraverso la 'moral suasion' del loro 'main sponsor' americano o, assai più probabilmente, attraverso la sua decisa pressione; in fondo, a Washington basta chiudere il rubinetto degli aiuti, ed entrambe le guerre finirebbero, più o meno rapidamente.
Ci sono ovviamente svariate ragioni per cui gli USA non lo fanno - e pensare che questo dipenda dagli interessi dell'industria bellica è un errore: gli interessi geopolitici degli Stati Uniti sono ben più ampi e più profondi di questo, e crederlo è davvero una ingenuità. E sicuramente sono diverse anche rispetto ai due scenari di guerra, che preferirebbero si presentassero in modalità diverse da quelle attuali.
Ma fondamentalmente la questione è un'altra, e cioè che gli USA - forse il paese più guerrafondaio della storia moderna - stanno attraversando una fase cruciale della propria storia, e le élite che ne controllano i poteri hanno assoluto bisogno di uno stato di guerra permanente, poiché questo è il solo modo che conoscono e capiscono per mantenere il predominio mondiale. Che poi sia anche efficace, è ovviamente tutta un'altra storia.